Kuwait
29 giugno 2015 : Minireport Esteri
#Tunisi annuncia l’impiego di poliziotti armati sulle spiagge degli alberghi e il fermo dei tunisini sotto i 35 anni provenienti dalla Libia. Gravi danni per una economia basata sul turismo come quella tunisina. Invece Yassin Salhi, il sospettato principale dell’attacco a Saint-Quentin-Fallavier, in#Francia ha ammesso di aver decapitato il suo datore di lavoro per motivi personali.
Secondo le autorità del #Kuwait l’attentatore suicida che venerdì si è fatto esplodere nella moschea sciita di Al-Imam al-Sadeq è un cittadino saudita ( Fonti Al Jazeera).
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Le Kuwait Towers
Le Kuwait Towers sono il simbolo del Paese. Le tre torri, sul mare, progettate da uno studio di architetti svedesi, sono state inaugurate nel 1979. I Kuwaitiani non dimenticano che, durante l’invasione del 1990, gli iracheni hanno cercato di distruggerle.
Medio Oriente: un 2012 di conflitti
Cambiamenti, speranze, violenze, caos
La Siria e una guerra civile sempre più cruenta. Egitto, Tunisia e Libia: rivoluzioni tradite?
Il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussenafferma: ”Abbiamo la conferma di nuovi lanci di missili Scud in Siria, testimonianza di un regime disperato vicino al collasso”. Ma il vice presidente siriano Farouk al-Sharaa ha dichiarato qualche giorno fa al giornale libanese ‘Al Akhbar’, che “sul terreno non possono vincere né ribelli né il governo ed è necessaria una soluzione politica”. A una soluzione politica si è appellato anche il Presidente della Commissione d’inchiesta Onu sulla Siria, Paulo Sergio Pinheiro, presentandoi risultati del rapporto a Bruxelles: “Non esiste una soluzione militare al conflitto in Siria. La fine del conflitto non è vicina se le forze in campo continuerannoad affrontarsi con le armi”. Parole che risuonano a vuoto. E sembrano una beffa tragica perché in Siria si muore e “la violenza ha raggiunto picchi di crudeltà elevatissimi con crudeltà incredibili da entrambe le parti in lotta” come ha denunciato ancora Carla Del Ponte, ex procuratore generaledel Tribunale per la ex Jugoslavia (Tpi), oranella commissione d’inchiesta Onu per la Siria. La tanto invocata soluzione politica appare un miraggio. Dopo mesi di fallimenti, pochi giorni fa è saltato infatti anche il verticetra il premier turco Erdogan e il presidente iraniano Ahmadinejad come riferisce ‘Russia Today’. Turchia e Iran.Due attori protagonisti sulla scena siriana.
La Turchia appoggia la guerriglia mentre l’Iran continua a sostenere il presidente siriano Bashar Assade accusa addirittura la Nato di avere messo le basi per una terza guerra mondiale schierando i Patriot in Turchia.
Intanto Putin ha ribadito la contrarietà della Russia a qualsiasi cambiamento che preveda l’uso delle armi oa un ripetersi di uno scenario libico. I rumors sono tanti.I fatti accertati sul campo pochi.
Secondo una inchiesta del ‘New York Times’, i gruppi jihadisti (fra cui il Fronte al-Nusra dichiarato dagli Usa, il 20 novembre scorso, una organizzazione terroristica internazionale) sono ben equipaggiati e i più operativi nei combattimenti contro le forze lealiste. Tanto da aver messo in secondo piano l’Esercito siriano libero (composto dai disertori che per primi,si sono schierati con le armi, appoggiati dalla Turchia, contro il regime).
Continua la lettura su L’Indro http://www.lindro.it/politica/2012-12-21/63263-medio-oriente-un-2012-di-conflitti
In esclusiva per L’indro. Riproducibile citando la fonte.
Le donne musulmane che scendono in campo.
Maria Grazia Silvestri, autrice del documentario ’Islam/women emancipation via sport’: “non basta giudicare dal velo”.
Una laurea in giurisprudenza nel cassetto e una passione profonda, quella per le arti marziali, che l’ha portata in giro per il mondo a fissare in uno scatto immagini significative, a filmare testimonianze, storie. Maria Grazia Silvestri, racconta sorridente, con entusiasmo, come il suo lavoro le abbia permesso di vivere da vicino ’uno spaccato’ del mondo femminile musulmano sconosciuto ai più.
Com’è nata l’idea?
Ho cominciato a chiedermi se le donne musulmane praticassero lo sport con limitazioni, e quali fossero. E se lo sport potesse, al contrario, invece rappresentare un veicolo di emancipazione.
Da dov’è partita la sua ricerca?
Dalle mie attività sportiva di elezione, le arti marziali. La Federazione Mondiale è molto severa e proibisce d’indossare gioielli, ornamenti, cappelli. Come potevano quindi praticare questa disciplina le atlete che indossavano l’hijab? ( n.d.r. il foulard che copre solo i capelli lasciando scoperto il viso). Avevo alcune amiche egiziane e le ho contattate. Sono andata a vivere a Il Cairo.
E che cosa ha scoperto?
La questione del velo in occidente è spesso affrontata con un atteggiamento ’che giudica’. Se invece ci si avvicina al tema solo per capire, per sapere, le ragazze e le donne musulmane sono molto disponibili. Raccontano, spiegano. Nadia e Shaymaa, campionesse di Karate, per esempio, indossano l’hijab nella vita di tutti i giorni e lo tolgono durante gli allenamenti e le competizioni. Non si sentono in “contraddizione”, sono serene.
In Egitto le donne vantano il numero maggiore di conquiste sportive mondiali. Sono quindi incoraggiate a praticare queste discipline?
Sì, la mia ricerca ha portato alla luce che le famiglie e gli allenatori sono molto aperti e ’battono su questo tasto’ : potete rispettare i dettami religiosi o comunque tradizionali e nello stesso tempo conquistare onore e gloria per il vostro Paese. Salire su un Podio nei mondiali è una conquista personale ma anche, di riflesso, della nazione di appartenenza.
Maria Grazia, queste atlete le ha conosciute bene. Sono ragazze che studiano, qualcuna è fidanzata…Che cosa l’ha colpita di più?
Un fatto che viene sottovalutato. Chi proviene da famiglie povere, o comunque modeste, attraverso lo sport, conquista anche la possibilità di guadagnare, per mantenersi agli studi, per comperare una casa. E l’opportunità di viaggiare, conoscere il mondo, altre culture. Di aprirsi quindi, di confrontarsi.
Importanti le parole, l’esperienza e l’impegno di Maria Grazia Silvestri. Ma se in Egitto lo sport femminile è vissuto ’al positivo’, ci sono altri Paesi invece, come l’Arabia Saudita, per esempio, che mantengono un atteggiamento di chiusura.
Il 4 aprile scorso, il Principe Nawwaf al –Faisal, Ministro dello Sport e presidente del Comitato Olimpico saudita, in una conferenza stampa a Jedda, ha dichiarato: “Lo sport femminile non è mai esistito nel nostro paese e non abbiamo intenzione di muoverci in questa direzione“.
Infatti, il 27 luglio prossimo, all’inaugurazione dei Giochi Olimpici di Londra, la squadra dell’Arabia Saudita, ultraconservatrice monarchia wahabita, sfilerà senza atlete donne – a meno di novità dell’ultimo momento, fortemente improbabili.
Nel Paese secondo un rapporto di Human Rights Watch, le donne che vogliono fare sport sarebbero scoraggiate: palestre chiuse, mancanza di strutture nelle scuole femminili, addirittura ’raid’ delle autorità per spaventare le sportive. Eppure ai Giochi Olimpici della Gioventù del 2010, a Singapore, un’atleta saudita, la cavallerizza Dalma Rushdi Malhas, aveva partecipato e vinto la medaglia di bronzo nel salto a ostacoli.
Una nota positiva. Il Qatar ed il Brunei,, che fino ad ora avevano proibito alle atlete di partecipare alle Olimpiadi per motivi culturali e religiosi, quest’anno hanno detto sì.
Il video-documentario “Islam/women emancipation via sport“ in lingua arabo/inglese di Maria Grazia Silvestri è presentato da X-Kombat in collaborazione con il Robert F. Kennedy Center
Islamic Week Round Table
di Antonella Appiano, in esclusiva per L’Indro Le donne islamiche che scendono in campo, riproducibile citando la fonte.
Siria: rivolta o complotto
I ruoli strategici dell’esercito e di un’opposizione ancora divisa decidono il futuro del paese.
’Prima notizia’ sui media del Qatar e di tutta la Stampa del Medio Oriente, la rivolta siriana è invece seguita in Italia con scarsa attenzione se non nei momenti più drammatici: gli attentati con autobombe a Damasco o l’uccisione del giornalista francese, Gilles Jacquier, reporter di France 2, a Homs, in una esplosione nel quartiere alawita di Akrama. Episodi gravi che però non vengono mai analizzati in un quadro d’insieme. Come se la Siria e le sue proteste antigovernative, in atto da dieci mesi, fossero un problema che non ci riguarda,dimenticando la vicinanza geografica con il nostro Paese e gli scenari inquietanti che la rivolta potrebbe creare in tutta l’area del Medio Oriente. Noncuranza quindi o al massimo polemica ideologica fra chi crede nel movimento popolare o chi invece segue il filone del ’complotto’ occidentale appoggiato dalle petro-monarchie del Golfo.
Due i punti importanti a riguardo. Il primo. Se all’inizio delle proteste, a metà marzo del 2011, tale ipotesi – sostenuta subito dalla leadership di Damasco – doveva essere presa in esame, è pur vero che dopo dieci mesi di manifestazioni e repressioni non è più plausibile.Come credere che un apparato di sicurezza e un esercito come quelli siriani con l’aiuto delle milizie irregolari lealiste, non siano riuscite ancora a fermare “le bande di terroristi”?