Lavoro
Libertà
Libertà, libertà… E’ solo un nostro diritto? Perché gli Egiziani, i Tunisini non dovrebbero averlo, il diritto di ribellarsi e di scegliere “in libertà”, come vivere e da chi essere governati? Gli egiziani si stanno battendo per uno Stato di diritto, stanno dicendo “basta” alla dittatura. Perché, invece, negli articoli e nei servizi televisivi italiani questa parola compare così poco? Perché mi sento domandare dalla gente, dagli amici: “l’Europa è in pericolo? La rivolta porterà al potere i “fondamentalisti”?
Come sempre l’informazione scarsa, la disinformazione, l’antinformazione fanno danni. Vi segnalo due post illuminanti, esaustivi di Paola Caridi:
J’accuse
Ah, già, la paura dell’islamismo…
Per riflettere, conoscere meglio i fatti, cercare di capire.
Le italiane: 150 anni di storia al femminile
Dal Risorgimento ai nostri giorni, centocinquant’anni di storia nazionale raccontanti attraverso le biografie delle protagoniste della politica, della cultura, della scienza, dell’economia e dello sport.
Nella ricorrenza dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia il volume “Le italiane” edito da Castelvecchi, rappresenta un omaggio e un ricordo doveroso alle molte, non tutte, donne che, con il loro impegno hanno percorso e tracciato, dal Risorgimento ai giorni nostri, la storia del nostro Paese in vari campi.
Il pregio del libro è quello di raccontare le biografie di queste donne, con un linguaggio fresco e attuale, come un manuale piacevole e interessante di lettura e studio, adatto a ogni fascia generazionale. Questo è molto importante dato che esso sarà divulgato massicciamente nelle scuole grazie all’impegno dell’associazione “Telefono Rosa”, che ne ha curato la pubblicazione su idea e progetto della giornalista Anna Maria Barbato Ricci.
Le protagoniste raccontate in questa raccolta di brevi saggi a esse dedicati “vuole rendere il giusto omaggio alle italiane che anno solcato la storia dell’Unità d’Italia. Lo fa attraverso alcuni ritratti femminili che sembrano animare il profilo marmoreo della donna turrita, l’autorevole figura allegorica che rappresenta il nostro Paese. Impariamo da queste pagine i tratti originali e il potere dell’identità femminile, che legano ogni biografia e che ciascuna donna esprime quando può o vuole agire la propria libertà” (Anna Finocchiaro).
Le biografie riguardano Cristina Di Belgioioso, Francesca Cabrini, Contessa Lara, Matilde Serao, Teresa Filangieri Ravaschieri Fieschi, Grazia Deledda, Maria Montessori, Luisa Spagnoli, Le Costituenti, Tina Anselmi, Le attrici, Palma Bucarelli, Nilde Iotti, Rita levi Montalcini, Sara Simeoni e Fiorella Kostoris.
Raccontate da Sandra Artom, Laura De luca, Brunella Schisa, Donatella Trotta, Antonella Cilento, Antonella Appiano, Danila Comastri Montanari, Mari Rita Parsi, Anna Vinci, Laura Delli Colli, Simonetta Matone, Marta Ajò, Evelina Cristillin, Stefania Quaglio, Annamaria Barbato Ricci; autrici a loro volta impegnate in vari campi che hanno messo a disposizione il proprio impegno gratuitamente al fine di devolvere gli introiti della vendita del libro in favore di “Telefono Rosa”, Associazione di volontariato che cura ed assiste su tutto il territorio nazionale le donne vittime di violenza.
CONTESSA LARA di Brunella Schisa
Bionda, occhi azzurri, elegante, colta, poetessa dalla prima ora, poi giornalista e ancora scrittrice di novelle e romanzi. La sua vita è stata costellata di drammi e di scandali. Uccisa a 47 anni da un colpo di pistola dall’amante mantenuto.
GRAZIA DELEDDA di Antonella Appiano
“Autodidatta, bruttina e anticonformista” come lei stessa si definisce. Passionale e sanguigna come i suoi personaggi. Trasgressiva, spregiudicata, scontrosa e difficile. Studia, legge, scrive e mantiene contatti con editori di molte città italiane. Riceve il Nobel per la letteratura nel 1927.
CRISTINA TRIVULZIO di BELGIOJOSO Di Sandra Artom
Femminista ante litteram, bella e affascinante, dotata di grande intelligenza e cultura, spirituale e spiritosa, ispiratrice di grandi amori e ammirazione da parte di scrittori, poeti, musicisti, storici e uomini politici tra i più importanti del suo secolo, italiani e stranieri.
Ma che c’entra il velo con il lavoro? Eccome se c’entra… provate a presentarvi a un colloquio con l’hijab
Velate o svelate? Il velo è un problema complesso al centro di un vivace dibattito non solo in Europa ma anche nel mondo musulmano.
In Italia, oggetto di polemiche e confusione. C’è, infatti, una gran differenza fra il niqab (velo integrale che lascia scoperti gli occhi), il burqa (mantello afghano che copre testa, viso e corpo, con una retina davanti agli occhi) e l’hijab (semplice foulard che nasconde solo capelli e collo lasciando scoperto il viso). Confusione alimentata anche dai nostri media. Anche stamattina molto quotidiani nazionali titolavano “No al Burqa”.
In realtà l’hijab è il velo più indossato dalle musulmane immigrate nel nostro Paese. Ho molte amiche che lo portano. Anche ragazze giovani. E lo “difendono” per motivi religiosi o semplicemente legati alla tradizione o all’identità. Non credo spetti a noi italiani giudicare. Il punto cruciale è che sia frutto di una libera scelta. Mentre la legge dovrebbe limitarsi al rispetto della normativa del 1975 in materia di sicurezza che vieta di “coprirsi il volto in pubblico impedendo il riconoscimento della persona”. L’hijab non infrange dunque nessuna norma. Eppure molte musulmane con l’hijab sono guardate con diffidenza e discriminate sul lavoro.
“Anche voi foste stranieri” di Antonio Sciortino: per i non italiani il posto c’è. C’entra il saper fare, ma anche il sorriso
In Italia quasi 13mila infermieri provengono da paesi extracomunitari. Oltre 5mila dall’Europa, quasi 3.500 dall’ Asia e altrettanti dall’Africa, scrive nel suo post Antonella Appiano, che ha letto per noi il saggio di Antonio Sciortino. Per gli stranieri c’è posto. Anzi, sono 181mila i posti in cui le nostre aziende prevedono di inserire lavoratori extracomunitari nel 2010 secondo i dati diffusi la settimana scorsa dalla Fondazione Moressa, sempre molto attenta a questo tema, elaborando i numeri di Excelsior-Unioncamere sui fabbisogni occupazionali. Si tratta del 22% sul totale delle assunzioni previste dalle imprese, che sono 802mila quest’anno, italiani e non, 20mila in più del 2009, di cui solo il 12,6% richiede la laurea, percentuale storicamente e tragicamente esigua. Per la maggioranza, i mestieri per i quali uno straniero è preferibile sono a tempo determinato (ma il numero di questi contratti è cresciuto anche in totale). Però non sono lavoretti, e neanche solo lavoracci, quelli offerti ai candidati stranieri: riguarderanno infatti profili con esperienza nel settore dei servizi alle persone e con qualifica nell’ambito di commercio e servizi. Specializzati ed esperti: cadiamo in pieno nella fascia dei profili che le aziende dichiarano difficili da reperire, un gap che nel 2010 corrisponde al 26% degli inserimenti programmati.
A credere ai dati, i lavori che gli italiani non vogliono più fare e per cui non si sono formati (non sempre per colpa loro) sono quelli che partono da un bagaglio tecnico solido e impegnativo da acquisire, con poco glamour per i ragazzi autoctoni e le famiglie (sono stranieri anche i nuovi italiani, cioè le seconde generazioni, ricordiamolo…), o da quelle competenze non formalizzate che non si studiano da nessuna parte, perchè si acquistano solo lavorando.Tra cui ci sono la disponibilità, l’ascolto e l’attenzione al contesto e alle persone, aggiungerei anche la gentilezza: qui gli stranieri ci battono, basta frequentare per un giorno un ospedale. Noi italiani li abbiamo perduti per strada?
Ad Antonio Sciortino, direttore di “Famiglia Cristiana”, bastano una trentina di pagine per smantellare, nel suo ultimo libro “Anche voi foste stranieri,” con cifre e dati oggettivi, la costruzione dei cliché su immigrati e lavoro. Tabelle e statistiche li hanno fornitigli enti di ricerca. Ma i numeri da soli non bastavano: c’era chi li leggeva senza capire. E chi non li leggeva neppure. Così Antonio Sciortino nel libro – reportage – che naturalmente non parla solo di lavoro, ma affronta senza reticenze tutti i temi connessi con l’immigrazione e la multiculturalità, le posizioni assunte dalla classe politica e dalla Chiesa e il ruolo dell’informazione – ha fatto chiarezza”.
Talenti all’estero – Cristina Morea Dalle Ore, astronoma alla Nasa
Cristina Morea Dalle Ore, astronoma alla Nasa: «Qui professori e scienziati sono aperti al dialogo con i giovani. Ma devi lavorare sodo»
Una passione per stelle e galassie ereditata dal padre medico, una laurea in astronomia a Padova e un Phd a Harvard. Studio, tenacia e determinazione. Oggi Cristina Morea Dalle Ore, vive a San Francisco ed è ricercatrice alla National Aeronautics and Space Administration, un Istituto di ricerche e consulenza che lavora per la NASA.
Quando ha pensato di andare negli Stati Uniti?
Molto presto. Già all’ultimo anno dell’Università, avevo chiesto al mio professore, Francesco Bertola, di preparare la tesi all’estero. Volevo “distinguermi” dai miei compagni. Pochi astrofisici ma anche pochi posti di lavoro in Italia, già negli anni ’80. Sono andata all’University of California di Santa Cruz e ho preparato la tesi sulle “metallicità nelle galassie ellittiche” con una delle studiose più autorevoli, Sandra Faber.
Com’è stato l’impatto?
Duro. Parlavo un inglese scolastico, facevo fatica. Ma non mi sono lasciata abbattere anche grazie alla pazienza e alla disponibilità dei professori. Dopo sei mesi di studio intenso e tanti sacrifici, ho finito la tesi e sono tornata in Italia per laurearmi.
Perché non è rimasta?
In Italia c’erano poche prospettive. Non s’investiva nella ricerca. Risorse minime. Ho capito che sarebbe stato difficile esprimere al meglio me stessa, le mie aspirazioni. Mettere a frutto le qualità e farle circolare.
Le storie di Lina e Himad – Il lavoro come riscatto, la formazione come opportunità
Un lavoro Himad ce l’ha. Ma preferisce rischiare e lasciarlo per potersi specializzare. Ha deciso. S’iscriverà al Corso di Formazione Professionale per la lavorazione della madreperla, alla Casa della Pace di Betlemme. Himad è un ragazzo di Gerico con un curriculum di studi in archeologia e la passione per i mosaici antichi. Un percorso di conoscenza non solo teorico. Himad, infatti, ha seguito anche programmi tecnici di realizzazione del mosaico. Con un obiettivo ben preciso, dedicarsi al restauro. Perché un patrimonio artistico non vada perduto. Perché il recupero dell’eredità culturale del suo popolo è importante. E per partecipare attivamente al miglioramento socio-economico della regione.
«In Terra Santa ci sono di siti archeologici ricchi di mosaici decorativi e la maggior parte ha bisogno d’interventi di pulitura e ripristino di parti mancanti». A questo punto incominciano le difficoltà. Himad si rende conto di non conoscere « la struttura geometrica impiegata per la costruzione dei mosaici» Sprattutto si trova alle prese con un materiale per lui sconosciuto, la madreperla. Decide di non arrendersi e di continuare l’iter professionale per colmare le mancanze e diventare un buon restauratore. Una scelta coraggiosa. E soprattutto faticosa e impegnativa. Per arrivare a Betlemme partendo da Gerico, bisogna superare due check point israeliani, e il tragitto può durare anche 4 o 5 ore. Ma Himad è tenace e non ha dubbi. Vuole rimanere nella sua terra e fare il lavoro che ama. «I sacrifici non contano se ti aiutano a raggiungere la meta».
50 anni di parità – Intervista a Rosa Oliva
50 anni di parità – Intervista a Rosa Oliva: la sua battaglia aprì le carriere pubbliche alle donne nel 1960
Un’apripista. Una donna che non si è arresa e ha lottato per ottenere ciò che le spettava. E lottò per tutte le italiane, le madri delle venti-trentenni di oggi. Fu proprio grazie a lei che il 13 maggio 1960 la Corte Costituzionale abolì le discriminazioni di genere nelle carriere pubbliche con la sentenza n.33. Solo da allora le laureate italiane cominciarono a entrare in prefettura e diplomazia. Dal 1963, in magistratura. E dal 1999, intraprendere la carriera militare. Caschetto ramato e occhi vivaci, origini napoletane ma romana di adozione, Rosa Oliva accompagna le parole con sorrisi dolci. E un po’ divertiti. Come se fosse sorpresa di trovarsi al centro di tanta attenzione. Eppure è un personaggio importante nella storia dei diritti femminili
Come incominciò l’avventura?
Avevo studiato all’Università La Sapienza di Roma con il costituzionalista Costantino Mortati e mi ero laureata nel 1958 in Scienze Politiche con una tesi in dinamica degli ordinamenti giuridici.
Quale professione aveva in mente di fare?
Non avevo dubbi. Funzionario dello stato. In particolare mi attirava la carriera di Prefetto. Così fra i bandi di concorso del Ministero dell’Interno scelsi proprio quello di Consigliere di Prima Classe, il primo gradino per l’iter, e feci domanda. Anche se sapevo già che, fra i requisiti richiesti, ce n’era uno che proprio mi mancava. Essere uomo.
Quindi?
Mi convocarono al Commissariato di Vigna Clara, dove un maresciallo mi disse imbarazzato: «Dottoressa la sua domanda è stata respinta. Le donne non possono diventare Prefetto». Chiesi una dichiarazione scritta e andai subito da Costantino Mortati. Lesse il foglietto e mi chiese: “Ma lei viene da me come professore o come avvocato?” Così iniziò la battaglia.
Vittorio Sangiorgio, neo presidente Coldiretti «La mia sfida: attrarre giovani che non appartengano per nascita all’agricoltura»
Ventisette anni, occhi verdi e un’aria un po’ scanzonata. Vittorio Sangiorgio, neo Presidente della Coldiretti – Giovani Impresa è, leader dei giovani agricoltori italiani, ha conquistato la carica il 24 marzo scorso. E’ salernitano, crede nell’impresa innovativa e rispettosa dell’ambiente, nella ricerca e nella forza del Made in Italy.
Un testimonial attendibile. Ha modernizzato l’azienda agricola familiare di Pagani, in provincia di Salerno, diversificando l’attività in coltivazione di piante e fiori e fornitura di servizi per congressi e cerimonie. E sfrutta i principi della bioedilizia (coperture verdi con giardini pensili sugli edifici) per migliorare il rendimento termico e quindi il risparmio energetico.
Quali sono i suoi obiettivi principali?
“Intercettare” i giovani e creare una filiera agricola tutta italiana. Il processo di produzione deve svolgersi, dalla fase iniziale a quella finale, esclusivamente in Italia per garantire al consumatore genuinità, sicurezza, territorialità. La nostra forza è il “Made in Italy”, siamo leader nel mondo e dobbiamo batterci per non disperdere questo valore.
E i problemi da affrontare?
Prima di tutto l’agro-pirateria. Durante viaggi-esplorativi ho trovato, per esempio, negli Stati Uniti mozzarelle vendute con un marchio italiano e prodotte invece nel Wisconsin. E’ poi è indispensabile potenziare una cultura d’impresa basata sulla creatività, coinvolgendo anche la ricerca. Solo così riusciremo a sviluppare progetti nuovi, aderenti al presente senza dimenticare il rispetto e magari la riscoperta delle tradizioni.
Qual è stato l’impatto della crisi economica?
La crisi non ha risparmiato nessuna sfera, quindi neppure quella agricola. Però vorrei mettere in risalto, un dato positivo. Durante il 2009, il 78% degli imprenditori ha realizzato investimenti in azienda. C’è fiducia, quindi.
Ferdinando Cornalba: l’azienda creativa fa cow-pooling e mette la webcam in stalla
E’ geologo ma ha scelto gli spazi aperti della sua campagna. «Tra un esame e l’altro mi rilassavo guidando il trattore» ricorda Ferdinando Cornalba . «L’azienda è di famiglia, siamo una ‘dinastia di agricoltori’ però ho deciso di lavorare qui per passione». E insieme al fratello Giuseppe, perito agrario, ha modernizzato la struttura con una serie d’innovazioni creative. Il cow-pooling per esempio, e cioè la possibilità offerta a più famiglie di acquistare anche una mucca intera e di divedersi la carne.
«Una proposta che, in questo momento di crisi sta riscuotendo grande successo perché garantisce nello stesso tempo risparmio e qualità» afferma Ferdinando.
La novità più tecnologica? Una webcam fissa che, tramite collegamento internet, permette ai compratori, di vedere in diretta ciò che avviene nelle stalle. E di controllare quindi i sistemi di allevamento dei capi di bestiame.
L’azienda, che è a Locate Triulzi (Milano), vende direttamente i prodotti che produce già dal 1985. «Pioniere è stata mia madre. Ma anche se ero ragazzo, ricordo la felicità quando ci siamo liberati dalle imposizioni del mediatore. Il prezzo è questo, altrimenti, il riso ve lo vendete da soli. E così abbiamo fatto». Impegno, amore per la terra, dedizione, sicurezza alimentare, sono parole che emergono spesso nel racconto di Ferdinando. Insieme al concetto di studio, ricerca, sostenibilità ambientale, qualità.
Un altro punto di forza dell’azienda (che nel 2009 ha vinto il Premio Oscar Green) è, infatti, la vendita ‘sfusa’ di riso, farro, latte grazie a moderni distributori automatici che permettono così al consumatore di risparmiare sulla confezione.
Come molti giovani imprenditori (Ferdinando si schermisce: «Giovane, insomma: ho 39 anni») con una tradizione ‘contadina’ alle spalle anche i fratelli Cornalba, sono attenti al recupero delle usanze del passato.
«L’azienda un tempo era una piccola comunità di ben 30 famiglie. Si festeggiavano ‘la fine della semina’, la ‘fine del raccolto’. Per non dimenticare un patrimonio che fa parte della nostra cultura, abbiamo pensato di ricreare questi momenti. Una possibilità per chi lo desidera, di uscire per un poco dal ritmo vorticoso quotidiano e riassaporare, insieme al contatto con la natura, lentezza e ritualità».
di Antonella Appiano per IlSole24ore – job24.ilsole24ore.com