libertà
Tre libri…per saperne di più sulle Primavere arabe
Tre libri per chi è interessato alle primavere arabe.
“Mediterraneo in rivolta” di Franco Rizzi, edizione RX Castelvecchi, “Caos arabo” a cura di Riccardo Cristiano, edizioni Mesogea. Un terzo, che ho riletto, è del 2006 (spero sia ancora in commercio) “Primavere. Per una Siria democratica e un Libano indiendent”, di Samir Kassir, a cura di Elisabetta Bartuli. edizioni Mesogea. Samir Kassir, l’autore del celebre “L’infelicità araba”, giornalista, intellettuale, figlio di un palestinesee di una siriana, fu ucciso in un attentato, a Beirut il 2 giugno del 2005.
Ancora sull’informazione, le testimonianze e le fonti.
Una premessa necessaria prima del mio breve commento all’articolo di Lorenzo Trombetta su Limes on line in risposta al mio “La Siria vista dalla Siria”. Nel suo testo, vengo “contrapposta” ai giornalisti che, in quanto tali, non possono ottenere un visto d’ingresso. Sono anche io giornalista. Anche io non ho potuto entrare in Siria con un regolare accredito. Come altri colleghi sono entrata nel Paese con un visto turistico e come tutti ho rischiato di essere espulsa. O arrestata. Anche a me, per ragioni di sicurezza, l’Ambasciata italiana, aveva proposto di “essere accompagnata alla frontiera con Libano a bordo di veicoli dell’ambasciata”. Ma ho rifiutato, scegliendo di restare ancora nel Paese. Convinta di poter offrire ai lettori qualche informazione più diretta, qualche testimonianza vissuta in prima persona. Senza per questo pretendere “di aver capito tutto”. Non l’ho mai affermato. Mi sono limitata a raccogliere voci e testimonianze. Di giovani, meno giovani, attivisti on line. Attivisti e basta. La storia di uno degli organizzatori della manifestazione di Yarmud, per esempio Lettera43 – Il prezzo della libertà.
Un attivista che sono andata a incontrare e che mi ha raccontato i suoi sogni e le sue speranze per il Paese. Il cui amico da una vita è stato arrestato. Ma anche le voci dei non-attivisti. Perché ci sono anche loro. I siriani pro-Bashar e i siriani contrari alle manifestazioni. Che mi raccontavano le paure, le tensioni, le ansie di fronte a un futuro che consideravano incerto e pericoloso. Che mi riferivano i dubbi su possibili interventi esterni. Non dovevo scriverlo? Non ne avrei dovuto tenere conto? Come esisteva (esiste ancora) una parte di opposizione che credeva nel dialogo con le autorità di damasco, Bassam Al Kadi, Michel Kilo, Lettera43 – L’opposizione inesistente e che contestava l’opposizione all’estero. Tutto ciò si riferisce solo al periodo che va dall’inizio della crisi siriana a quando ho lasciato il Paese, a fine maggio. Ci sono rientrata per pochi giorni a giugno. Ora la situazione è certamente cambiata e anche se sono rimasta in contatto via e-mail e telefonica con le mie “fonti” non ritengo più di essere più i grado di seguire la transizione dall’Italia. Mi manca l’essere sul terreno”. D’altra parte anche io ritengo fondamentali l’uso delle fonti, l’affidabilità o meno dei testimoni, le manipolazioni televisive. Ho lavorato come giornalista in tv , ne so abbastanza, e anche per questo ho scritto “la Siria vista dalla Siria”. Se un noto quotidiano italiano, per esempio, riprendendo una agenzia, il primo aprile 2011 scrive ” circa duemila dimostranti sono stati rinchiusi all’interno della grande moschea degli Omayyadi” ed io ero presente (ero entrata in moschea con l’hijab) e posso testimoniare che è falso, quale testimonianza ha più valore? E’ un buon servizio per il lettore riportare la notizia di un fatto che non è avvenuto?
Di persona , il 27 aprile, ho potuto verificare che non c’erano carri armati al centro di Damasco come affermavano testimoni citati da Aljazeera. Di persona ho assistito all’ingresso dell’esercito in città Lettera43 – Il venerdì militarizzato della capitale. Di persona, seguendo il tam tam degl informatori sono andata a Midan, Kafr Susa, a piazza Abassye, di venerdì. Ogni venerdì ho girato la città. Rischiando di persona. Damasco non è la Siria, ma le persone che ci abitano, centro e sobborghi, sono in contatto con parenti, amici. Che la sera del venerdì commentavano, confermavano le manifestazioni.
Poi c’è il mondo di internet. E della blogosfera. Ho potuto verificare più volte che c’erano notizie che non corrispondevano. Anche io conosco bene la Siria, ho casa a Damasco e molte conoscenze negli ambienti più disparati. Che vivono anche in periferia. Nei sobborghi. Zone che ho girato con i micro, il bus, a piedi. E a proposito del caso della finta blogger Amina, sono stata messa in guardia da amici e da un paio di attivisti che il caso non li convinceva. “O vive fuori dalla Siria e vuole farsi pubblicità o non esiste”, mi dissero. E io ho creduto a loro. Non sono caduta nella trappola dell’intervista on-line, proprio perché vivendo a Damasco, ho potuto tastare il terreno, chiedere, indagare. Nessuno nega l’enorme importanza dei social network ma sono quasi sempre meno affidabili. Possono suggerire piste ma vanno verificate “incrociando i dati con altre fonti credibili, meglio se personali e dunque fidate” come scrive lo stesso Trombetta nel suo articolo” Sangue e Misteri sulla via di Damasco”. E’ quello che ho cercato di fare. Con coscienza. Onestà.
Oggi il fronte dell’opposizione è meglio definito, sono stati resi noti documenti programmatici e sono successe molte cose. Anche se Damasco e Aleppo, non sono ancora scese in piazza proprio perché –come avevo scritto più volte- un ampio settore della borghesia commerciale sosteneva e sostiene il regime. Lo scenario può cambiare ancora. La crisi economica che già si sentiva ad aprile per il crollo del turismo, è galoppante. Magari quei siriani, quei damasceni che non volevano ammettere “il problema” di una parte della società siriana in rivolta e anzi speravano che “ogni venerdì di proteste sarebbe stato l’ultimo”, avranno cambiato idea. Mi piacerebbe sentirmelo dire da loro. Quasi, quasi torno a Damasco…
Un fatto, mille voci
Un fatto è certo: le proteste in Siria non stanno coinvolgendo “le masse”, come è accaduto al Cairo, Tunisi, Manama, Sana’a, Tripoli. I disordini di Homs, Aleppo (non confermati) persino di Dar’aa, dove ha preso fuoco la rivolta più impetuosa, non sono paragonabili, per il numero di persone coinvolte, a quelle degli altri Paesi arabi. Le voci. Tante. Spesso contraddittorie. Un tam-tam d’informazioni. Che arrivano da chi è sul posto, da chi ha parenti o amici che vivono nelle zone “calde”. L’ultima notizia è arrivata stamattina. Altri sei morti a Dar’aa. Ma l’amico di Mohammed, originario della città non vuole raccontare di più. Scappa di nuovo, come ieri sera. “L’unico modo per sapere la verità in Siria – mi dice di nuovo Mohammad, – è esserci. Vedere”.
I media infatti, sono tutti filogovernativi (non esiste una stampa di opposizione) anche se, dopo due anni, ho verificato che è diventata più aperta e lascia spazio anche a notizie – come quelle sui casi di discriminazione e violenza nei confronti delle donne – che prima non venivano pubblicate.
Le voci, dunque. “Il Presidente ci piace, è amato dal popolo”. “I siriani non seguiranno chi vuole la rivoluzione”. “Sì, il Presidente sta facendo molto per il Paese ma il il gruppo al potere è troppo corrotto”. “Non siamo poveri come gli egiziani, le nostre condizioni economiche e sociali sono migliori, perché dovremmo mobilitarci?”. “Non vedo un gruppo politico in grado di sostituire il governo”. Il governo riesce comunque a tenere uniti e in pace armeni, curdi, drusi, cristiani, musulmani, alawuiti”. “Aleppo? No ci vive mio zio, lo avrei saputo!”. “Dar’aa? Situazione critica, 4 morti, anzi di più”. “Dar’aa? Non tutti, in citta, hanno preso parte alla rivolta”.
Dopo molti no, non so, forse, ora anche a Damasco i rumors concondano nel confermare che un cordone militare circonda la città. L’ingresso è consentito ma solo a chi è in grado di dimostrare ragioni valide. E le comunicazioni telefoniche sono interrotte a causa dell’incendio appiccato dai manifestanti alla sede di Syriatel. Le immagini che arrivano sono degli abitanti che riprendono con il cellulare perché – sembra – nessuna tv ha avuto i permessi (infatti anche Aljazeera si basa su fonti di Agenzia, l’inviata è qui a Damasco).
Il Presidente Bashar al Assad intanto, continua a fare concessioni. Domenica scorsa , con un decreto legislativo, ha ridotto di tre mesi il servizio militare obbligatorio, da 21 a 18 mesi. El l’8 di febbraio aveva fatto riaprire l’accesso ad Internet e ai Social Groups. Ciò che è sempre mancata su larga base – e che in parte continua a mancare – in Siria è una vera cultura del dissenso. Una presa di coscienza del concetto di libertà. Che rimane ristretto a nicchie di élite culturali.
Che succedera? Nessuno può prevederlo. Il fuoco si propagherà a tutto il Paese o si spegnerà? I prossimi giorni sono “cruciali”. I siriani non sono, come d’altra parte noi italiani, un popolo di rivoluzionari. Se non fosse scoppiata la seconda guerra mondiale, penso, ci saremmo tenuti Mussolini. Però l’esempio dei Paesi vicini potrebbe risvegliare ideali sopiti e portare più siriani in piazza. In due settimane le cose sono cambiate nel senso che, al mio arrivo, non si poneva neppure la questione. Ora, pro o contro, i rumors sulla “rivoluzione” percorrono in lungo e in largo la capitale.
Libertà
Libertà, libertà… E’ solo un nostro diritto? Perché gli Egiziani, i Tunisini non dovrebbero averlo, il diritto di ribellarsi e di scegliere “in libertà”, come vivere e da chi essere governati? Gli egiziani si stanno battendo per uno Stato di diritto, stanno dicendo “basta” alla dittatura. Perché, invece, negli articoli e nei servizi televisivi italiani questa parola compare così poco? Perché mi sento domandare dalla gente, dagli amici: “l’Europa è in pericolo? La rivolta porterà al potere i “fondamentalisti”?
Come sempre l’informazione scarsa, la disinformazione, l’antinformazione fanno danni. Vi segnalo due post illuminanti, esaustivi di Paola Caridi:
J’accuse
Ah, già, la paura dell’islamismo…
Per riflettere, conoscere meglio i fatti, cercare di capire.