Libia

Minireport Esteri - ConBagaglioLeggero di Antonella Appiano

10 novembre 2014 : #Minireport_Esteri

#Minireport_esteri. #Berlino ieri ha festeggiato i 25 anni dalla caduta del Muro, in #Ucraina, si combatte. A Donetsk, più di 200 vittime. Tregua a rischio? Giallo sul fronte #IS, il leader del Califfato è stato davvero ferito in in raid aereo della coalizione o è una bufala?. La città di Darma, in #Libia, sotto controllo degli estremisti. #Afghanistan: tre esplosioni, ieri a Kabul (fonti Reuters, Ap, Cnn)

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Il Fronte instabile dei Paesi delle Rivoluzioni

Intervista al Professor Massimo Campanini
Il fronte instabile dei Paesi delle Rivoluzioni
Perché hanno vinto i partiti islamici, il ruolo delle Petromonarchie del Golfo. La presenza di gruppi terroristici nei Paesi in via di trasformazione.
“Iniziare una rivoluzione è difficile, ancora più difficile è continuarla, e difficilissimo è vincerla. Ma sarà solo dopo, quando avremo vinto, che inizieranno le vere difficoltà. Sono le parole che – nel film, ’La battaglia di Algeri’ di Gillo Pontecorvo 

Primavere arabe:il punto della situazione

Preoccupa anche la Giordania

’Primavere arabe’: il punto della situazione

L’escalation siriana rischia di creare seri pericoli nei Paesi vicini e nell’intera regione. In Libia, a meno di un mese dalle prime elezioni libere, cade il governo del premier Mustafa Abushagur.

Mitt Romney spara a zero sulla politica estera di Obama in Medio Oriente dichiarando, davanti ai cadetti della Virginia Military Institute, che “il Presidente ha fallito nel trattare la questione siriana”. E non lo risparmia neppure riguardo la Libia, l’Iran e l’Iraq. Bellicoso e sicuro di sé, il candidato repubblicano ha affermato che il fallimento di Washington è totale in Siria, dove più di 30.000 tra uomini, donne e bambini sono stati massacrati dal regime di Assad negli ultimi 20 mesi. La Turchia, nostro alleato, è stata aggredita e il conflitto minaccia la stabilità nella regione”. Affermazioni pesanti, quelle di Romney, che afferma: L’assalto al consolato americano di Bengasi è stato compiuto dalle stesse forze che ci hanno attaccato l’11 settembre 2001. Per questo, il colpevole non può essere un riprovevole video contro l’Islam, nonostante il tentativo dell’amministrazione Obama di farlo”. Ancora critiche. L’Iran non è mai stato così vicino alla realizzazione di armi nucleari e in Iraq ha portato a un aumento delle violenze, al ritorno di al Qaeda, all’indebolimento della democrazia”. Promette di fare di meglio, Romney, e si appella alla necessità “dell’America come guida”.

La Primavera non è finita: alla ricerca dell’equazione fra Islam e democrazia, un processo di cambiamento lungo e attualmente in atto.

“Primavere sfiorite”. “La Primavera è diventata autunno”. “Scenari inediti per il mondo arabo”. “La vittoria dell’Islam politico nelle Primavere”. I titoli dei quotidiani di tutto il mondo si sprecano in questo periodo, dopo circa una anno e mezzo dal fermento cominciato il 17 dicembre 2010, con il suicidio a Sidi Bouzi in Tunisia, del fruttivendolo Muhammed Bouazizi. Un atto, un’azione che si è tramutata subito in agitazione a onda lunga e che ha sollevato e scosso i Paesi della sponda sud del Mediterraneo (Egitto, Libia Marocco), continuando inarrestabile il suo cammino a est, in Siria, Yemen, Bahrein.

Anche se la situazione è ancora fluida e i contesti differenti, si possono però fare alcune riflessioni ed evidenziare alcuni punti. In Tunisia, le elezioni sono state vinte dal partito islamista En-Nahdah (Rinascita, Rinascimento). I deputati dell’Assemblea Costituente hanno mantenuto l’articolo 1 sulla laicità dello Stato, che non prevede quindi la Sharia, resistendo alla spinte estremiste dei Salafiti. In Libia, dove è avvenuta ‘l’invasione di campo’ da parte dell’Occidente (Nato) che si è appropriato del processo rivoluzionario con l’intervento militare, la situazione è caotica.

Morto Muammar Gheddafi, cacciata la dittatura, la Libia non ha ancora un governo né un esercito regolare. La sicurezza è affidata a milizie armate e il paese è diviso in fazioni e tribù. Per il 7 luglio è prevista l’elezione di 200 membri dell’Assemblea Costituente.

Yemen. Dopo 22 anni di dominio Alì Abdullah Saleh ha lasciato il Paese sotto la protezione degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita. Ma il potere è nelle mani del suo vice e uomo di fiducia, Abd Mansour Hadi, vincitore di un’elezione presidenziale-farsa (anche se controllate dagli Stati Uniti) in cui era presente lui come unico candidato. Intanto sono riprese le proteste in piazza perché il popolo vuole Salehrientri in Yemen per essere processato. E nel sud del Paese, come scrive Jonathan Steele sul ‘TheGuardian’, “sventolano le bandiere nere di Al Qaeda”. Anzi di Aqpa, nata nel gennaio del 2009 dall’unione della sezione saudita e yemenita dell’organizzazione creata da Osama Bin Laden. “In questa parte dello Yemen – si legge ancora sul ‘Guardian’ – sparisce la presenza del governo. La sicurezza è gestita alle milizie jihadiste e i servizi pubblici sono affidati a un emiro”.

In Marocco re Mohammed IV ha reagito con solerzia alle richieste del popolo che nelle piazze di Casablanca, Marrakech e Rabat scandivano lo slogan “vogliamo un re che regni ma che non governi”. Il re ha quindi emendato la Costituzione e ha sottoposto la riforma il primo luglio 2011 a un referendum popolare. Alle elezioni ha vinto il partito islamista Giustizia e Libertà.

Bahrein. Un caso insolito. Le manifestazioni contro la Monarchia, sedate con l’intervento militare dell’Arabia saudita, si sono svolte nel silenzio dei Media. La maggioranza della popolazione sciita sta chiedendo da oltre un anno alla monarchia sunnita riforme e pari opportunità ai cittadini.

Siria. Il processo storico nel Paese è “più in atto che mai”, anche perché dopo 18 mesi dall’inizio delle prime manifestazioni il presidente Bashar Al-Assad è ancora al potere.

La crisi si è internazionalizzata. E gli eventi si complicano ogni giorno di più. E incalzano. Mentre scriviamo, su richiesta della Turchia, l’Alleanza Atlantica si è riunita a Bruxelles per discutere del recente abbattimento del caccia turco Phantom F-4 da parte della contraerea siriana. “La Nato valuterà la situazione alla luce delle informazioni disponibili. Ankara sosterrà che l’aereo si trovava nello spazio aereo internazionale, mentre il governo di Damasco afferma che il jet era penetrato in quello siriano”. (fonte AGI).

In Egitto, i ragazzi di piazza Tahrir – promotori e anima della Rivoluzione che ha portato alla caduta di Hosni Mubarak, l’ex Generale dell’aviazione rimasto al potere per 30 anni – non hanno saputo trasformarsi da forza propulsiva a organizzazione politica. Così al potere per tutti questi mesi di transizione è rimasto l’esercito, con Mohammed Hussein Tantawi, non solo comandante in capo dell’Esercito, ma ministro della Difesa e della Produzione Militare, nonché presidente della Corte suprema. Carica di cui si è servito per sciogliere nei giorni scorsi il Parlamento (eletto il gennaio) in cui la Fratellanza musulmana godeva di una forte maggioranza. La corte ha anche ammesso al ballottaggio per le Presidenziali il candidato dell’esercito Ahmed Shafik. Le elezioni sono state vinte dal candidato dei Fratelli Musulmani Mohammed Morsy, che rimane però senza il Parlamento, già conquistata dalla Fratellanza.

Fin qui un riassunto dei fatti. Tanti. Non ancora del tutto inquadrabili e definitivi. Una, almeno, la riflessione obbligatoria. La vittoria in Tunisia, Marocco ed Egitto di partiti islamisti e dell’Islam politico rende l’Occidente inquieto. Soprattutto per la grande confusione che si fa tra partito islamista ’moderato’ – confessionale dunque – e movimento estremista, se non terrorista. Tanto rumore per nulla dunque, per parafrasare Shakespeare?
Secondo la tesi formulata dallo studioso Olivier Roy, sì. Roy, infatti, già nel celebre saggio ’L’echoc de l’Islam politique’ affermava che il “mondo arabo vive ormai in una fase post-islamista derivata dal fallimento dell’Islam politico. Una fase che ha spezzato il legame fra impegno religioso e rivendicazione politica”.

Lo studioso Massimo Campanini, autore del saggio ’L’alternativa islamica’, sostiene invece che per quanto la tesi del post-islamismo “contenga una parte di verità perché durante le manifestazioni tunisini ed egiziani chiedevano ’Pane, giustizia e libertà’, quindi rivendicazioni del tutto laiche. Tuttavia, quando il movimento rivoluzionario si è istituzionalizzato l’Islam è tornato alla ribalta”. Ma c’è Islam e Islam. E senza dubbio la vittoria dei partiti islamisti è avvenuta soprattutto per ragioni sociali e politiche (le organizzazioni dei Fratelli Musulmani o di Ennahda, hanno sempre svolto un’azione sociale, di supporto e aiuto alla popolazione più povera) e identitarie.

E il 70% della popolazione nel mondo arabo ha meno di 25 anni. Una nuova generazione che fa comunque parte della società globale e rivendica una democrazia declinata secondo le proprie esigenze e non imposta dall’Occidente. Anche questi giovani, o almeno una parte, hanno votato per i partiti islamici. Dovranno essere loro, come protagonisti dell’Islam politico (post o comunque rinnovato) a dover cercare l’equazione fra Islam e democrazia. Cambiamenti, contraddizioni, incertezze. Ma la regione mediorientale sta vivendo un momento storico. È in fase di transizione. L’Occidente non deve trarre conclusioni affrettate. E soprattutto non deve intervenire per guidare i processi di cambiamento, piegandoli alle proprie visioni.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro La primavera non è finita (riproducibile citando la fonte)

L’enigma siriano

La rivolta si militarizza, trattative segrete tra ribelli e nuovo governo libico. Di Paola: “ma la Siria non è la nuova Libia”.

In medio Oriente, a volte si ha la sensazione che nessun evento della storia abbia mai un orizzonte finito” aveva scritto scritto Robert Fisk, del quotidiano inglese ’The Independent’, nel celebre saggio ’Cronache mediorientali’. Una definizione perfetta per la crisi siriana: in continua evoluzione, con nuovi scenari ed ipotesi. Tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre gli eventi hanno subito una forte accelerazione con la progressiva militarizzazione della rivolta: imboscate, uccisioni mirate, blitz contro centri di comando.

L’esercito siriano libero- composto da migliaia di disertori dell’esercito regolare al comando del colonnello Riyadh al Asaad – pare sempre più forte e organizzato. Le fonti sull’addestramento dei militari ribelli nella base turca di Iskenderun non sono confermata anche se sembrano attendibili. Dall’altra parte Ankara, dall’inizio della crisi siriana, ha sempre sostenuto le rivolte contro il regime di Assad. In Siria entrano armi di contrabbando già da agosto, ma in questo ultimo periodo l’afflusso attraverso il confine libanese e turco è aumentato. Su ’L’Indro’ avevamo già riportato le tesi opposte sui “finanziatori”. e a fine novembre sul Daily Telegraph è apparsa la notizia di trattative segrete tra i ribelli siriani e le nuovo governo libico che avrebbe offerto armi e addestratori.

Burthan Ghalioun alla guida del CNS ( Consiglio Nazionale siriano) si dichiara contrario agli interventi dell’esercito Siriano libero, ribadendo che “il carattere della rivolta deve rimanere pacifico”. Nello stesso tempo però il CNS, che ha aperto da poco una sede ad Istanbul, chiede con insistenza la creazione di zone cuscinetto all’interno del territorio siriano per dare rifugio ai membri dell’ opposizione siriana”.

Una ’creazione’ che richiederebbe di fatto un intervento militare esterno. “Al momento attuale la Siria non è una nuova Libia. Quello che èstato fatto in Libia non necessariamente si deve ripetere anche in Siria, non c’è nessuna risoluzione del Consiglio di sicurezza e alcuna indicazione dalla Comunita’ internazionale“. Ha riferito a un gruppo di giornalisti italiani ieri (n.d.r 14 dicembre, fonte Adnkronos) il Ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, dalla base militare di Trapani Birgi. E le dichiarazioni contro un intervento armato straniero erano state escluse dalla stesa Lega araba.

L’altro evento che ha portato all’escalation della crisi in Siria è stato l’isolamento regionale del Paese. Alla fine del mese scorso la Lega Araba, ha approvato sanzioni commerciali contro il regime di Damasco. Anche la Turchia si è unita alla decisione interrompendo le transazioni con la Banca Centrale del Paese. Un danno economico grave per la Siria che aveva instaurato con i Paesi Arabi e soprattutto la Turchia ottimi scambi commerciali. Ricordiamo che prima della Lega Araba anche l’Ue (Unione Europea) e gli Stati Uniti avevano imposto sanzioni che hanno colpito il settore petrolifero siriano. L’Ue assorbiva infatti circa il 95% delle esportazioni petrolifere siriane, ben un terzo delle entrate di Damasco. Ed è innegabile che un tipo di embargo del genere vada a colpire, prima che il regime, il popolo siriano. A favore della leadership di Damasco continuano a rimanere schierati Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica (i cosidetti Paesi BRICS) contrari all’imposizione di altre sanzioni. Anche l’Iran ha intensificato lo scambio economico mentre Russia e Cina hanno posto il veto anche a qualsiasi risoluzione di condanna della Siria in sede ONU.

Una Libia da costruire

Il fallimento della ’Jamahariya’, il governo delle masse teorizzato da Gheddafi, lascerà il posto alla democrazia?

Oriana Fallaci e Mu’ammar Gheddafi

Gheddafi è stato arrestato dalle forze del Cnt, il governo di transizione libica, dopo la riconquista di Sirte”. Poi dopo un susseguirsi di notizie e smentite. “Il rais è morto”. Secondo le fonti della Tv satellitare Al-Arabiya e secondo fonti Ansa, il colonnello sarebbe arrivato senza vita nella città di Misurata. Ancora notizie discordanti. Secondo il Cnt,Ghaddafi è morto in seguito alle ferite riportate durante la cattura. AlJazeera, riferisce che il rais è stato ucciso durante una sparatoria. Secondo Libya Tv, invece Gheddafi sarebbe stato ucciso con un colpo alla testa.

Al di là dei particolari della cronaca, la morte del colonnello provoca alcune considerazioni. Fin dal primo momento dell’intervento Nato in Libia e definito “una crociata contro di lui”, aveva dichiarato che non sarebbe mai fuggito e che “sarebbe morto nel suo Paese”.Gheddafi non avrebbe certo voluto una fine come quella di Saddam Hussein in Iraq. Ed è stato accontentato dalla sorte.

L’arte della rivoluzione

Dopo la cacciata dei regimi è rinascita di musica, satira letteratura.

Una nuova, nahdah, ’rinascita’ araba in campo culturale? O piuttosto controcultura? Le rivolte nei Paesi arabi hanno lasciato un segno nella produzione letteraria, nel linguaggio, negli slogan, nella musica. Esplodono ovunque fantasia, creatività, ironia.

Hurryah, ’la libertà’ tanto richiesta, è ritmata ormai da una colonna sonora tutta sua, a partire da Hamada Ben Amor, in arte el General, il rapper tunisino che già nel dicembre scorso ha pubblicato su You tube la canzone ’Rais Lebled’. Un testo duro, scomodo con un ritmo trascinante che incita il popolo alla ribellione contro il governo del Presidente Zin el-Abidin Ben Ali.

Nordafrica, è solo il primo tempo.

Libia, Siria, Tunisia, Egitto: dopo la rivolta dei popoli il finale resta da scrivere.

All’inizio sembrava un film epico. Il coraggio del popolo senza armi, forte della voglia di essere libero. Di abbattere regimi corrotti, incapaci di assicurare futuro e speranze. Di garantire eguaglianza economica, giustizia.

Un fermo immagine: Mohamed Bouazizi si dà fuoco, il 17 dicembre 2010, davanti al municipio di Sidi Bouzid, in Tunisia. Ha ventisette anni e non riesce più a sopportare una vita di soprusi e umiliazioni. Dopo il suo gesto, pubblico e estremo, prendono il via le prime proteste contro presidente Ben Ali, al potere dal 1987. Un’altra immagine, Egitto 25 gennaio.E’ il ’Giorno della rabbia’, dell’ invasione pacifica di piazza Tahrir, al Cairo. Il montaggio diventa veloce. Ragazzi, bambini, famiglie. Donne che abbracciano e baciano soldati che rifiutano di difendere Mubarak, il presidente in carica dal 1981.

Il 14 gennaio, meno di un mese dall’inizio della rivolta, Ben Alì, lascia il Paese e si rifugia in Arabia Saudita. In Egitto, dopo 13 giorni dal Giorno della rabbia Hosni Mubarak abbandona la capitale per Sharm el-Sheikh. Tunisia ed Egitto, in pochi giorni, hanno cambiato la propria storia. E in tutto il Nord Africa ed il Medio Oriente, come increspature che si trasformano in onde, dilagano le proteste e le rivolte.

L’Occidente resta a guardare. Meravigliato. Nessun analista lo aveva previsto. C’è chi partecipa entusiasta. Libertà, stato di diritto, democrazia. Perché dovremmo negare ad altri ciò che abbiamo sempre propagandato?
Ma c’è anche chi si preoccupa. In fondo abbiamo sempre parteggiato per questi regimi che chiamavamo ’moderati’. Una difesa contro ’la minaccia del terrorismo’.

Le immagini cambiano con la Libia dove le proteste arrivano il 16 febbraio. Gheddafi però non è un leader al tramonto come Ben Alì. Tripoli, la Capitale, non è contro di lui. E come paragonare gli eventi di un Paese antico come l’Egitto con quelli di Paese ancora diviso in tribù, come la Libia? E’ subito Guerra civile. Ora le immagini sono confuse. Un MinorityReportage. Un caos raccontato in modi differenti. Informazione, controinformazione sulle fosse comuni, sul numero dei morti. Il film diventa un western, in cui si dividono i buoni e i cattivi. E si addebitano le atrocità, di volta in volta, ai lealisti del regime, oppure ai rivoltosi.

Confusione anche in Siria dove le testimonianze reali e il mondo di Internet si sovrappongono. Un film nel film. E Amina, la blogger sequestrata, l’eroina della resistenza si scopre essere invece, Tom, un 40enne americano. In Siria, però, dopo sei mesi dall’inizio delle rivolte, il film sembra a un punto morto anche, se per paradosso, la trama cambia ogni momento. Lasciando il finale aperto.

Non così in Libia. Il film è trascinante. L’Occidente si rianima .Non si decide in tempo per una No Fly Zone e Gheddafi sta per riconquistare Misurata. E’ Odissey Dawn. Chi sono i cattivi ora? I bombardamenti NATO colpiscono obiettivi militari libici. Ma anche civili. Gli insorticonquistano l’aeroporto di Misurata, i raid aerei su Tripoli si fanno intensi, Gheddafi non si arrende. Però la fine è vicina. Il 21 agosto, i ribelli entrano a Tripoli dopo 6 mesi di combattimenti e 42 anni di regime.

Fermiamoci un momento per fare un punto sulle immagini che stanno scorrendo sullo schermo. Anche se ognuno di noi guarda un film con occhi differenti. Quelli didell’opinionista Toni Karon, vedono, come racconta al ’Times’, una controrivoluzione.
I veri protagonisti, quelli che sono scesi nelle piazze, saranno sostituiti da nuovi attori.Entreranno in scena nazioni straniere, violenze settarie, etniche, tribali. O strutture di potere che già esistevano. In Egitto le voci più laiche e progressiste del ’Movimento del 6 aprile’ e del ’Kifaya’ si sentono tradite. Di fatto le redini politiche sono passate ai militari della giunta, al governo dalle dimissioni di Mubarak.

Le elezioni promesse e rinviate, sono state fissate per novembre, ed escludono la presenza di Osservatori internazionali. Ma secondo Kawkab Tawfiq, italo egiziana, copta, “saranno ritardate a maggio. Si doveva andare al voto subito. Questo stallo acuisce la tensione. Nel Paese è aumentata la delinquenza comune. La legge elettorale non è stata ancora riscritta e non è stato abrogato dalla costituzione l’articolo che vietava la formazione dei Partiti religiosi”. Tutto come prima?. “In realtà i Fratelli musulmani si presenteranno alle elezioni insieme a rappresentanti copti, in un partito nuovo, ’Libertà e giustizia’ che non esclude le donne dalla Presidenza”. Un partito innovatore dunque? “Non mi sembra, risponde, “perché l’obiettivo è di ripristinare la shari’a”. Kawkab è sicura. I partiti islamici, dopo anni di repressione vogliono ritornare alla ribalta.

In Tunisia si voterà il 23 ottobre. Sono state presentate 1700 liste, di cui circa il 40% di ’indipendenti’. Gli analisti sono divisi. Dinamismo nella partecipazione politica dei cittadini? O la conferma che la realtà sociale del Paese non è cambiata? Saranno premiati i soliti noti, senza badare alla sfera ideologica? Intanto anche in Tunisia l’esercito controlla il paese erumors insistenti denunciano interessi economici del Primo ministro Caied Sebbsi nella vendita degli alcolici. Un settore che, prima della ’Rivoluzione del Gelsomino’ era gestito dalla famiglia della moglie del Presidente Ben Alì. Cambiamenti di facciata dunque? Regimechange?

In Libia, secondo le dichiarazioni rilasciate alla Bbc da Guma al-Gamaty, rappresentante delCNT (consiglio di transizione libico) a Londra, il Cnt sta per trasferirsi a Tripoli e ha in programma un processo di transizione preciso. Il paese sarà guidato per 8 mesi dal Cnt, seguiranno la stesura di una nuova Costituzione e, dopo 20 mesi, le elezioni.

Ma sulla Libia pesa ancora un interrogativo. Gheddafi dal nascondiglio segreto continua a lanciare messaggi di incoraggiamento ai suoi sostenitori. La guerra tribale è veramente finita? E, senza alimentare allarmismi, bisogna ricordare che, responsabile della sicurezza di Tripoli, è stato nominato Abdel Hakim Belhaj. Fondatore del Gruppo combattenteislamico​, Abdel era stato arrestato come terrorista dalla Cia in Malaysia nel 2004, rinviato in Libia e rimesso in libertà nel 2010. Un garante particolare.

Infine sulla scena, all’ultimo come i grandi attori, compare ancora un personaggio, il Premier turco Erdogan che tre giorni fa ha iniziato una tournée nei tre principali Paesi delle Primavere arabe, acclamato come una star. E lui, per ora, l’unico leader di uno stato democratico musulmano e laico e come tale si è proposto. Come modello e punto di riferimento.
Il film non è finito.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/Nordafrica-e-solo-il-primo-tempo (riproducibile citando la fonte)

UnoMattina Caffè. I tiranni del nostro tempo e Riccardo III.

Ad UnoMattina Caffè, Rai1, si parla di tiranni reali e nell’Arte: la caduta di Gheddafi ed il Riccardo III di Shakespeare. Antonella Appiano, giornalista de L’Indro, in studio.