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Un inverno di stallo Siria: dialogo tra Washington e Mosca per una soluzione fra trattative, dichiarazioni, proposte respinte, la soluzione continua ad apparire lontana

 

siria - campo profughi

Fotografie di Damasco imbiancata di neve, ma non sono immagini che trasmettono pace perché il freddo rende ancora più dura la vita degli sfollati. Mentre nel Paese si continua a combattere e a morire. Vento e piogge gelide anche in Giordania, con gravi effetti sul campo profughi di Zaatari, come riferisce l’agenzia ‘Fides’. A Zaatari , in mezzo al deserto, vivono 50mila dei rifugiati scappati dalla Siria. Le tormente, secondo Wael Suleiman, direttore di Caritas Giordania, hanno distrutto almeno 500 tende .Intanto l’agenzia russa ‘Interfax’ comunica che nuovi colloqui si svolgeranno domani (11 gennaio) a Ginevra, fra il vice ministro russo degli Affari Esteri Mikhail Bogdanov e il vice segretario di Stato Usa William Burns, alla presenza dell’inviato dell’Onu e della Lega araba per la Siria, Lakhdar Brahimi. A questo proposito e sullo stallo della situazione in Siria, abbiamo rivolto alcune domande al Professor Paolo Branca, islamista e docente di lingua e letteratura araba presso l’Università Cattolica di Milano.Il diplomatico algerino, il capo della diplomazia UE, Catherine Ashton, il nostro ministro degli Esteri Giulio Terzi continuano a ribadire l’importanza di una soluzione politica in Siria. Ma secondo lei è ancora possibile giungere ad un accordo?Temo che la diplomazia debba parlare sempre e comunque di soluzioni politiche, ma al punto in cui siamo mi pare un esercizio retorico cui non sottostà alcuna volontà politica né tantomeno intenzione di intervenire realmente.La prima proposta di Brahimi, riguardo la formazione a Damasco di un Governo di transizione con Bashar al-Assad solo ufficiosamente in carica fino al 2014, era stata respinta dal leader della Coalizione di Opposizione, Ahmed Muaz al-Khatib. Non pensa che il piano avrebbe potuto comunque costituire un primo passo per porre fine alla sanguinosa guerra civile?Dopo le violenze e i lutti di tanti mesi solo un passo indietro autentico del regime potrebbe dare il via a una fase transitoria, ma non pare ve ne sia l’intenzione. Del resto l’incertezza del ‘dopo’ favorisce l’attendismo e l’ipocrisia di molti attori locali e internazionali. La Coalizione potrebbe iniziare a dare garanzie soprattutto sugli scenari futuri e comportarsi come governo ombra affidabile, ma sono cose che non s’improvvisano e il quadro di frammentazione del Paese certamente non le agevola.

Molti analisti sono dell’idea che anche in uno scenario post-Assad, la guerra civile continuerà a lungo. E che il risultato finale, sarà la divisione della Siria in una serie di Stati. Magari anche islamici. La sua opinione in proposito.

Ho il timore che parlare di nuovi stati e frontiere sia anacronistico… Andiamo verso un mondo dove i confini avranno sempre minor senso. Arrendersi all’inevitabile divorzio tra etnie e confessioni religiose apre le porte alla balcanizzazione del Medio Oriente e a infiniti irredentismi, in un’area che già troppo ha pagato per l’insensatezza delle divisioni settarie di ogni genere.

 

Dopo aver caldeggiato la proposta di una transizione che non “escludesse almeno formalmente”Bashar al-Assad, oggi invece, per la prima volta, Lakhadr Brahimi ha dichiarato che l’attuale Presidente deve essere lasciato fuori dal processo di transizione in Siria. E, riferendosi, all’ultimo discorso pubblico del 6 gennaio scorso di Bashar al Assad e al piano di pace proposto, lo ha definito “settario” e “unilaterale”. In un secondo tempo, Brahimi ha ammorbidito il giudizio, ponendo l’accento solo sulla rigidità del progetto (qui il link per il video del discorso).

Insomma negoziati difficili, trattative, proposte che non vanno in porto. I problemi sembrano quelli di sempre. Il Presidente Bashar al- Assad respinge ogni proposta di esilio e di ingerenza esterna mentre persistono le divisioni fra la parte ‘dirigente’ dell’Opposizione e i gruppi che operano sul campo e la frammentazione dei gruppi stessi. Brigate dell’esercito siriano libero (composte da ex militari dell’esercito regolare che hanno defezionato), gruppi jihadisti legati ai salafiti, mercenari e la fazione di al-Nusra (annoverata dagli Stati Uniti fra quelle terroristiche). Senza contare le bande armate che, come in tutte le guerre civili, approfittano del caos per rubare e saccheggiare. E i gruppi di miliziani lealisti.

La preoccupazione più alta riguarda le armi chimiche. Verranno usate? E da chi? Più volte gli Stati Uniti hanno espresso il timore che cadano nelle mani degli jihadisti. E non solo quelle chimiche. Certo sono consapevoli che il nord del Mali è stato conquistato dai Tuareg e dai miliziani di Al- Qaeda, grazie agli armamenti presi all’esercito di Gheddafi. Ma come è possibile controllare a chi vanno a finire le armi? Il problema è piuttosto a monte, creato dall’ingresso degli stranieri nel Paese. Ma ormai è un problema non risolvibile

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro Guerra civile Siria: soluzione (riproducibile citando la fonte)