Mass Media
Reportage o no? Sulla Siria gli occhi di una giornalista clandestina.
da l’Unità.it
di Ella Baffoni.
Andare, guardare, capire, riferire. Le regole del giornalismo, in sintesi sono queste. Il fatto è che questo mestiere è molto cambiato – non so se in meglio – in questi anni. Un esempio ne dà il libro di Antonella Appiano “Clandestina a Damasco” (Castelvecchi, 124 pgg, 12.50 euro). Esperta di Medio oriente, Appiano ha fatto quel che avrebbe fatto un giornalista dell’altro secolo.
Tre libri…per saperne di più sulle Primavere arabe
Tre libri per chi è interessato alle primavere arabe.
“Mediterraneo in rivolta” di Franco Rizzi, edizione RX Castelvecchi, “Caos arabo” a cura di Riccardo Cristiano, edizioni Mesogea. Un terzo, che ho riletto, è del 2006 (spero sia ancora in commercio) “Primavere. Per una Siria democratica e un Libano indiendent”, di Samir Kassir, a cura di Elisabetta Bartuli. edizioni Mesogea. Samir Kassir, l’autore del celebre “L’infelicità araba”, giornalista, intellettuale, figlio di un palestinesee di una siriana, fu ucciso in un attentato, a Beirut il 2 giugno del 2005.
Ancora sull’informazione, le testimonianze e le fonti.
Una premessa necessaria prima del mio breve commento all’articolo di Lorenzo Trombetta su Limes on line in risposta al mio “La Siria vista dalla Siria”. Nel suo testo, vengo “contrapposta” ai giornalisti che, in quanto tali, non possono ottenere un visto d’ingresso. Sono anche io giornalista. Anche io non ho potuto entrare in Siria con un regolare accredito. Come altri colleghi sono entrata nel Paese con un visto turistico e come tutti ho rischiato di essere espulsa. O arrestata. Anche a me, per ragioni di sicurezza, l’Ambasciata italiana, aveva proposto di “essere accompagnata alla frontiera con Libano a bordo di veicoli dell’ambasciata”. Ma ho rifiutato, scegliendo di restare ancora nel Paese. Convinta di poter offrire ai lettori qualche informazione più diretta, qualche testimonianza vissuta in prima persona. Senza per questo pretendere “di aver capito tutto”. Non l’ho mai affermato. Mi sono limitata a raccogliere voci e testimonianze. Di giovani, meno giovani, attivisti on line. Attivisti e basta. La storia di uno degli organizzatori della manifestazione di Yarmud, per esempio Lettera43 – Il prezzo della libertà.
Un attivista che sono andata a incontrare e che mi ha raccontato i suoi sogni e le sue speranze per il Paese. Il cui amico da una vita è stato arrestato. Ma anche le voci dei non-attivisti. Perché ci sono anche loro. I siriani pro-Bashar e i siriani contrari alle manifestazioni. Che mi raccontavano le paure, le tensioni, le ansie di fronte a un futuro che consideravano incerto e pericoloso. Che mi riferivano i dubbi su possibili interventi esterni. Non dovevo scriverlo? Non ne avrei dovuto tenere conto? Come esisteva (esiste ancora) una parte di opposizione che credeva nel dialogo con le autorità di damasco, Bassam Al Kadi, Michel Kilo, Lettera43 – L’opposizione inesistente e che contestava l’opposizione all’estero. Tutto ciò si riferisce solo al periodo che va dall’inizio della crisi siriana a quando ho lasciato il Paese, a fine maggio. Ci sono rientrata per pochi giorni a giugno. Ora la situazione è certamente cambiata e anche se sono rimasta in contatto via e-mail e telefonica con le mie “fonti” non ritengo più di essere più i grado di seguire la transizione dall’Italia. Mi manca l’essere sul terreno”. D’altra parte anche io ritengo fondamentali l’uso delle fonti, l’affidabilità o meno dei testimoni, le manipolazioni televisive. Ho lavorato come giornalista in tv , ne so abbastanza, e anche per questo ho scritto “la Siria vista dalla Siria”. Se un noto quotidiano italiano, per esempio, riprendendo una agenzia, il primo aprile 2011 scrive ” circa duemila dimostranti sono stati rinchiusi all’interno della grande moschea degli Omayyadi” ed io ero presente (ero entrata in moschea con l’hijab) e posso testimoniare che è falso, quale testimonianza ha più valore? E’ un buon servizio per il lettore riportare la notizia di un fatto che non è avvenuto?
Di persona , il 27 aprile, ho potuto verificare che non c’erano carri armati al centro di Damasco come affermavano testimoni citati da Aljazeera. Di persona ho assistito all’ingresso dell’esercito in città Lettera43 – Il venerdì militarizzato della capitale. Di persona, seguendo il tam tam degl informatori sono andata a Midan, Kafr Susa, a piazza Abassye, di venerdì. Ogni venerdì ho girato la città. Rischiando di persona. Damasco non è la Siria, ma le persone che ci abitano, centro e sobborghi, sono in contatto con parenti, amici. Che la sera del venerdì commentavano, confermavano le manifestazioni.
Poi c’è il mondo di internet. E della blogosfera. Ho potuto verificare più volte che c’erano notizie che non corrispondevano. Anche io conosco bene la Siria, ho casa a Damasco e molte conoscenze negli ambienti più disparati. Che vivono anche in periferia. Nei sobborghi. Zone che ho girato con i micro, il bus, a piedi. E a proposito del caso della finta blogger Amina, sono stata messa in guardia da amici e da un paio di attivisti che il caso non li convinceva. “O vive fuori dalla Siria e vuole farsi pubblicità o non esiste”, mi dissero. E io ho creduto a loro. Non sono caduta nella trappola dell’intervista on-line, proprio perché vivendo a Damasco, ho potuto tastare il terreno, chiedere, indagare. Nessuno nega l’enorme importanza dei social network ma sono quasi sempre meno affidabili. Possono suggerire piste ma vanno verificate “incrociando i dati con altre fonti credibili, meglio se personali e dunque fidate” come scrive lo stesso Trombetta nel suo articolo” Sangue e Misteri sulla via di Damasco”. E’ quello che ho cercato di fare. Con coscienza. Onestà.
Oggi il fronte dell’opposizione è meglio definito, sono stati resi noti documenti programmatici e sono successe molte cose. Anche se Damasco e Aleppo, non sono ancora scese in piazza proprio perché –come avevo scritto più volte- un ampio settore della borghesia commerciale sosteneva e sostiene il regime. Lo scenario può cambiare ancora. La crisi economica che già si sentiva ad aprile per il crollo del turismo, è galoppante. Magari quei siriani, quei damasceni che non volevano ammettere “il problema” di una parte della società siriana in rivolta e anzi speravano che “ogni venerdì di proteste sarebbe stato l’ultimo”, avranno cambiato idea. Mi piacerebbe sentirmelo dire da loro. Quasi, quasi torno a Damasco…
La Siria vista dalla Siria
Sono in Siria da quasi tre mesi. Una premessa sull’informazione.
1) Fin dall’inizio della “crisi siriana” l’informazione dei media internazionali – la maggior parte dei quali non aveva corrispondenti sul posto – è stata scorretta. L’ho potuto constatare in diverse occasioni come testimone diretta. Mi riferisco, in questo caso a Damasco.
E ne ho scritto qui sul mio blog, sul quotidiano online www.Lettera43.it e nelle mie corrispondenze, “Diario da Damasco”. Durante questo periodo ho raccolto testimonianze di attivisti, di oppositori, di sostenitori del regime, di esponenti del partito comunista, di gente comune. Persone in carne e ossa con un nome, un volto, un mestiere. Penso più attendibili quindi di voci anonime telefoniche. Eppure non le ho mai divulgate come “verità” in quanto le testimonianze non erano confermate da fonti indipendenti.
Leggo spesso “lo affermano testimoni”. Chi sono? C’è qualche conferma? E qualcuno verifica Twitter e Facebook? Io ho provato, più volte, e anche in questo caso spesso ho trovato notizie false. Le testimonianze che ho raccolto sul “terreno” e non a Beirut o in Giordania sono sempre state contraddittorie, e bisognerebbe tenerne conto.
Personalmente dagli stessi attivisti con cui sono in contatto a volte ho ricevuto informazioni diverse da quelle che poi leggevo sui grandi media, riguardo, per esempio, il numero dei partecipanti alle manifestazioni. Quasi sempre inferiori. E ancora.
A volte vivendo qui ci si trova contagiati da suggestioni, paure che vengono trasformate in realtà.
Un esempio recente. Sabato 7 maggio sono andata con il bus di linea ad Homs. I negozi erano aperti e ho pranzato con alcuni amici in un piccolo ristorante. Verso l’una e mezza, mentre ero vicino alla chiesa siriaco-cattolica, i negozianti hanno chiuso in fretta la serrande e hanno cominciato a dirmi “Musahara, manifestazione, c’è una manifestazione”. In un caffé ho chiesto notizie e mi è stato riferito “che in centro si era formato un corteo di 20 mila persone e che la strada per la stazione dei bus era interrotta”. Con un taxi ho fatto un giro in centro. Non c’era nessuno e sono ritornata senza problemi alla stazione.
Che cosa è successo quindi?
Venerdì, Homs era stata teatro di manifestazioni e il giorno seguente, il sabato, dopo la preghiera, la gente spaventata, aveva trasformato un timore in un fatto reale. Io ho controllato la notizia. Mi domando quanti l’avrebbero invece “sparata” da un sito internet, una tv, una radio senza accertarsi prima.
Sono pochissimi i media che hanno voluto o sono riusciti a mandare un corrispondente a Damasco. Il regime siriano, poliziesco e autoritario, ha allontanato i giornalisti, è vero. Ma la mia impressione è che alle influenti catene televisive come Al Arabiya, Al Jazeera o la BBC non importi molto il ritrovamento diretto e incrociato delle notizie. Troppo spesso le informazioni vengono prese in rete e sono pubblicate solo quelle che parlano di proteste oceaniche, guerriglia nelle strade, le altre sono scartate. Credo sia stata ignorata dai media occidentali la notizia recente delle dimissioni dalla tv Al Arabiya della giornalista Zeina Al Yaziji, in polemica per come sono seguite le manifestazioni in Siria. Per le stesse ragioni ha dato le dimissioni il direttore della redazione siriana di Aljazeera Abdel Harid Tawfiq. E già da metà aprile l’editorialista Ghassan ben Jiddo ha lasciato la direzione dell’ufficio corrispondenza da Beirut.
Voci siriane
Shady è nato in Italia, a Milano, nel 1988, da padre siriano e madre italiana. Il padre, esiliato dalla Siria, perché da giovane, era stato dirigente del partito nazionalista arabo, ha riavuto, nel 1997, il permesso di rientrare in Patria, insieme alla famiglia.
Italiano per cittadinanza quindi ma portatore di un’altra cultura, quella araba, Shady è anche l’erede di una storia particolare, quella della famiglia paterna. Un intreccio interessante: i ricordi paterni e il suo immaginario di bambino su un mondo lontano ma nello stesso tempo presente. Shady ha pensato di scriverlo e ne è venuta fuori una raccolta di racconti “Voci di anime” (Voci di anime, Marietti Editore).
Un libro da leggere perché ci permettere di capire meglio la realtà dei nuovi italiani. Di un italiano-siriano come Shady. E anche una testimonianza importante proprio ora che la Siria è al centro dell’attenzione del mondo e dei media, che troppo spesso, non comprendono la complessità del Paese.
Ragazzi musulmani 2G e i media
Il grande orientalista Edward Said ha scritto nel 1997 “ la televisione è la fonte principale dei pregiudizi sull’Islam”. È ancora vero? Ed è vero in Italia? Come la pensano i giovani musulmani di Seconda Generazione? Da una veloce “indagine”, durante il Convegno, purtroppo la risposta è affermativa. “I fatti e le opinioni vengono spettacolarizzati” dice Yassine Lafram. Si mettono in luce solo casi limite. I drammi”. Così si alimentano i pregiudizi. I sospetti. La confusione.
I ragazzi vorrebbero essere descritti in maniera più veritiera. Realistica. Anche sui quotidiani a larga diffusione. “Spesso c’è dissociazione fra immagine e testo” mi fa notare Fatima Habib Eddine. Per esempio, la fotografia con una donna con il niqab (velo che copre tutto il viso, lasciando scoperti solo gli occhi) mentre il testo racconta la storia di una musulmana che trova difficoltà a trovare lavoro perché indossa l’hijab, cioè il foulard che copre solo i capelli”.
Un altro peccato dei mass media italiani nei confronti dei giovani musulmani? Quello di omissione. Vengono ignorati fatti “positivi”, proprio perché non fanno notizia. Paolo Branca- professore di Lingua e Letteratura araba all’Università Cattolica di Milano racconta di aver preparato con alcuni ragazzi musulmani un dvd “Conosciamo l’islam: i giovani musulmani italiani”. “Uno strumento propedeutico pensato per scuole, biblioteche, parrocchie, centri culturali”. Nel dvd c’erano anche le riprese di una significativa iniziativa di alcuni giovani musulmani. “Una piccola rappresentanza ha scelto, infatti, di portare la solidarietà della comunità islamica agli ebrei che ogni anno ricordano la partenza, dalla stazione di Milano Centrale, dei convogli per i campi di sterminio. A capo della delegazione, il secondo anno dell’iniziativa, un palestinese”. Ma di questo non ha parlato né scritto nessuno…
di Antonella Appiano per IlSole24ore – jobtalk.blog.ilsole24ore.com