Massimo Campanini
Nel turbine della storia- Parte I Le Primavere nell’area del Maghreb
Le analisi sono complesse quando i fatti sono ancora in atto e in continua evoluzione. Molte le chiavi di lettura e i punti oscuri
Mi trovavo ad assistere ad avvenimenti insoliti e i contorni di quella nuova mappa non cessavano di affascinarmi” scriveva Ryszard Kapuściński e ancora: “Un impetuoso fluire della storia che scorre e trasforma ogni cosa. Mi sono chiesto fino a che punto noi stessi, immersi come siamo nella corrente, siamo in grado di comprenderne l’intero corso. E fino a che punto possiamo farne una sintesi”. Saggio Kapuściński. Anche noi rispetto al Medio Oriente e alle cosiddette ‘Primavere arabe’ siamo immersi nel pieno della corrente. Analisi e sintesi sono complesse da fare. E in più dobbiamo districarci con la massa di informazioni che arriva dal web, spesso incontrollata e incontrollabile. E quanta retorica nella tesi delle rivolte nate sui Social Network e delle rivoluzioni causate dai tweet? Intendiamoci, il web 2.0 si è rivelato un ‘amplificatore’, uno strumento di diffusione. Ha dato la possibilità di sapere cose che non avremmo saputo.
Ma senza la presenza contemporanea ed esplosiva di altri fattori come la situazione economica e sociale disperata, l’aumento della popolazione giovane e la crescente disoccupazione, i sistemi autoritari sempre più avidi e corrotti e incapaci di rendersi conto delle nuove richieste, la crisi economica in Europa, il fuoco si sarebbe spento in fretta. Non possiamo ancora comprendere l’intero corso di questo fiume in piena, certo. Ma cerchiamo di fare un punto, pur relativo, della storia dei Paesi arabi delle Primavere, dopo la caduta dei regimi (dove ci sono stati); dei cambiamenti; delle transizioni o delle mancate transizioni. Oggi prenderemo in esame l’area del Maghreb.
Nel Maghreb (Marocco, Tunisia, Libia, Algeria, Egitto)
È iniziato tutto qui, nella sponda sud del Mediterraneo. E in questa regione soltanto il Marocco, la monarchia marocchina, ha dimostrato di saper cogliere le richieste di riforme in maniera reale, non solo di facciata. Anche se in tutti e cinque i Paesi si sono svolte libere elezioni. Ma in Libia non c’è di fatto alcuna stabilità e si continua a combattere fra clan e gruppi jihadisti. In Tunisia e in Egitto la transizione si sta svolgendo con difficoltà fra la divisione interna dello stesso partito Al- Nahda (in Tunisia) e lo scontro politico fra i partiti islamici e le ali più radicali.
Sta già fallendo dunque la promessa di un nuovo modello di ‘democrazia islamica’? Secondo Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento, esperto dei movimenti radicali contemporanei e autore di ‘L’alternativa islamica‘: “Senza dubbio quanto sta accadendo in Egitto e Tunisia sembra far fallire le promesse di un nuovo modello politico ispirato all’islamismo moderato, modello che la partecipazione dei partiti islamici alle rivolte arabe avevano suscitato. I partiti islamici non sembrano essere in grado di svolgere, all’interno della società tunisina ed egiziana, quella funzione egemonica necessaria per coagulare un ampio consenso popolare dietro le scelte (moderatamente) islamiste di cui al-Nahda e i Fratelli Musulman si facevano portavoce. Anche la scelta del Presidente egiziano Morsi e dei Fratelli Musulmani d’ impadronirsi delle leve del potere ha suscitato più opposizione che consenso, pregiudicando la vittoria elettorale acquisita solo pochi mesi fa”.
Ma in Tunisia e in Egitto va rilevato anche una altro fatto. “Le forze di opposizione laica e di sinistra non hanno mai accettato il responso delle urne che aveva visto vincitori i partiti islamisti“, afferma Massimo Campanini.”L’atteggiamento delle forze laiche e di sinistra non è stato democratico: se un partito conquista il 45 per cento dei voti alle elezioni, deve pesare nel processo costituzionale e istituzionale per il 45 per cento. Quando si è eletta la costituente in Italia nel 1946, in seguito a un processo democratico, i seggi vennero ripartiti proporzionalmente tra le forze politiche. Questo non è uno scandalo. Scandaloso è il fatto che le forze di opposizione non abbiano accettato il responso delle urne. Come scandaloso il fatto che i partiti islamisti abbiano cercato con colpi di mano e forzature, di accelerare i processi a loro favore“. Una via di uscita? “Nuove elezioni (quelle egiziane dovrebbero essere in aprile) per determinare esattamente quali sono le forze in campo. A patto che tutti le accettino poi davvero in maniera democratica, qualsiasi sia l’esito, di sinistra o islamista . E che si lavori per governi di ampia coalizione in grado di portare i Paesi al di fuori delle secche di una crisi economica di cui non si vede la soluzione. E di un processo democratico bloccato”.
I punti oscuri sono tanti. In Tunisia non possiamo attribuire automaticamente l’assassinio di Belaid a una parte politica. Ancora Massimo Campanini “Senza dubbio, il fine era quello di destabilizzare. Ma non sappiamo con certezza chi è stato”. In ogni caso, sono in azione forze oscure. E i black bloc in Egitto? Da dove vengono? Chi li foraggia? Ex-mubarakiani o l’esercito? Esistono forze controrivoluzionarie in gioco ma è difficile nel calore degli avvenimenti capire quali”.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro Le primavere nell’area del Maghreb (riproducibile citando la fonte)
Fratelli musulmani: l’eccezione giordana
I rapporti di forza nel Regno Hascemita
Il Pragmatismo politico del Movimento e del Fronte d’Azione Islamico fra potere, necessità storiche e fratture interne.
Nel Regno Hascemita, al contrario della Tunisia, dell’ Egitto, della Siria, i Fratelli Musulmani non sono stati combattuti e costretti alla clandestinità. Anzi, con il partito del Fronte di Azione Islamico, braccio politico del Movimento, fanno parte integrante del sistema politico da almeno sessant’anni e rappresentano la principale forza di opposizione. “Il governo è solido, Abdallah non permetterà che in Giordania accada ciò che è accaduto in Tunisia, Egitto, Siria”, ripete Hamid ogni volta che gli telefono ad Amman. “Ma Hamid che cosa pensi della grande manifestazione del 5 ottobre?”, (i dati ufficiali parlano di circa 15mila partecipanti mentre quelli degli organizzatori, di 50mila). “E’ vero”, ammette riluttante, “c’è una certa lentezza nel procedere con le riforme e le nuova legge elettorale e la gente vuole cambiamenti più radicali”. Però Hamid non vuole commentare il fatto che la manifestazione di Ottobre – il giorno dopo lo scioglimento del Parlamento deciso dal Re – è stata promossa dal Fronte di Azione Islamico. Lo scioglimento del Parlamento, precede le elezioni politiche, più volte annunciate, e che dovrebbero tenersi alla fine dell’anno. Quale sarà il peso del Fronte di Azione Islamico nelle elezioni? Avranno lo stesso successo riscosso in Egitto e in Tunisia?
Il Fronte instabile dei Paesi delle Rivoluzioni
Intervista al Professor Massimo Campanini
Il fronte instabile dei Paesi delle Rivoluzioni
Perché hanno vinto i partiti islamici, il ruolo delle Petromonarchie del Golfo. La presenza di gruppi terroristici nei Paesi in via di trasformazione.
“Iniziare una rivoluzione è difficile, ancora più difficile è continuarla, e difficilissimo è vincerla. Ma sarà solo dopo, quando avremo vinto, che inizieranno le vere difficoltà”. Sono le parole che – nel film, ’La battaglia di Algeri’ di Gillo Pontecorvo
L’alternativa islamica, tra fede e politica
I fatti di Bengasi, l’Islam politico e le Primavere arabe
’L’alternativa islamica’, tra fede e politica
Violenza, libertà e rispetto: qualche considerazione con l’aiuto del professor Massimo Campanini
Nel saggio ’L’alternativa islamica’, il professor Massimo Campanini -esperto in pensiero politico islamico e in movimenti radicali contemporanei – cita Hasan Hanafi, filosofo egiziano del Novecento che sosteneva: “l’Islam contemporaneo è ancora vivo perché è l’unico sistema politico e ideologico che non si è arreso alla visione del mondo dominante imposta dall’Occidente”.
La Primavera non è finita: alla ricerca dell’equazione fra Islam e democrazia, un processo di cambiamento lungo e attualmente in atto.
“Primavere sfiorite”. “La Primavera è diventata autunno”. “Scenari inediti per il mondo arabo”. “La vittoria dell’Islam politico nelle Primavere”. I titoli dei quotidiani di tutto il mondo si sprecano in questo periodo, dopo circa una anno e mezzo dal fermento cominciato il 17 dicembre 2010, con il suicidio a Sidi Bouzi in Tunisia, del fruttivendolo Muhammed Bouazizi. Un atto, un’azione che si è tramutata subito in agitazione a onda lunga e che ha sollevato e scosso i Paesi della sponda sud del Mediterraneo (Egitto, Libia Marocco), continuando inarrestabile il suo cammino a est, in Siria, Yemen, Bahrein.
Anche se la situazione è ancora fluida e i contesti differenti, si possono però fare alcune riflessioni ed evidenziare alcuni punti. In Tunisia, le elezioni sono state vinte dal partito islamista En-Nahdah (Rinascita, Rinascimento). I deputati dell’Assemblea Costituente hanno mantenuto l’articolo 1 sulla laicità dello Stato, che non prevede quindi la Sharia, resistendo alla spinte estremiste dei Salafiti. In Libia, dove è avvenuta ‘l’invasione di campo’ da parte dell’Occidente (Nato) che si è appropriato del processo rivoluzionario con l’intervento militare, la situazione è caotica.
Morto Muammar Gheddafi, cacciata la dittatura, la Libia non ha ancora un governo né un esercito regolare. La sicurezza è affidata a milizie armate e il paese è diviso in fazioni e tribù. Per il 7 luglio è prevista l’elezione di 200 membri dell’Assemblea Costituente.
Yemen. Dopo 22 anni di dominio Alì Abdullah Saleh ha lasciato il Paese sotto la protezione degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita. Ma il potere è nelle mani del suo vice e uomo di fiducia, Abd Mansour Hadi, vincitore di un’elezione presidenziale-farsa (anche se controllate dagli Stati Uniti) in cui era presente lui come unico candidato. Intanto sono riprese le proteste in piazza perché il popolo vuole Salehrientri in Yemen per essere processato. E nel sud del Paese, come scrive Jonathan Steele sul ‘TheGuardian’, “sventolano le bandiere nere di Al Qaeda”. Anzi di Aqpa, nata nel gennaio del 2009 dall’unione della sezione saudita e yemenita dell’organizzazione creata da Osama Bin Laden. “In questa parte dello Yemen – si legge ancora sul ‘Guardian’ – sparisce la presenza del governo. La sicurezza è gestita alle milizie jihadiste e i servizi pubblici sono affidati a un emiro”.
In Marocco re Mohammed IV ha reagito con solerzia alle richieste del popolo che nelle piazze di Casablanca, Marrakech e Rabat scandivano lo slogan “vogliamo un re che regni ma che non governi”. Il re ha quindi emendato la Costituzione e ha sottoposto la riforma il primo luglio 2011 a un referendum popolare. Alle elezioni ha vinto il partito islamista Giustizia e Libertà.
Bahrein. Un caso insolito. Le manifestazioni contro la Monarchia, sedate con l’intervento militare dell’Arabia saudita, si sono svolte nel silenzio dei Media. La maggioranza della popolazione sciita sta chiedendo da oltre un anno alla monarchia sunnita riforme e pari opportunità ai cittadini.
Siria. Il processo storico nel Paese è “più in atto che mai”, anche perché dopo 18 mesi dall’inizio delle prime manifestazioni il presidente Bashar Al-Assad è ancora al potere.
La crisi si è internazionalizzata. E gli eventi si complicano ogni giorno di più. E incalzano. Mentre scriviamo, su richiesta della Turchia, l’Alleanza Atlantica si è riunita a Bruxelles per discutere del recente abbattimento del caccia turco Phantom F-4 da parte della contraerea siriana. “La Nato valuterà la situazione alla luce delle informazioni disponibili. Ankara sosterrà che l’aereo si trovava nello spazio aereo internazionale, mentre il governo di Damasco afferma che il jet era penetrato in quello siriano”. (fonte AGI).
In Egitto, i ragazzi di piazza Tahrir – promotori e anima della Rivoluzione che ha portato alla caduta di Hosni Mubarak, l’ex Generale dell’aviazione rimasto al potere per 30 anni – non hanno saputo trasformarsi da forza propulsiva a organizzazione politica. Così al potere per tutti questi mesi di transizione è rimasto l’esercito, con Mohammed Hussein Tantawi, non solo comandante in capo dell’Esercito, ma ministro della Difesa e della Produzione Militare, nonché presidente della Corte suprema. Carica di cui si è servito per sciogliere nei giorni scorsi il Parlamento (eletto il gennaio) in cui la Fratellanza musulmana godeva di una forte maggioranza. La corte ha anche ammesso al ballottaggio per le Presidenziali il candidato dell’esercito Ahmed Shafik. Le elezioni sono state vinte dal candidato dei Fratelli Musulmani Mohammed Morsy, che rimane però senza il Parlamento, già conquistata dalla Fratellanza.
Fin qui un riassunto dei fatti. Tanti. Non ancora del tutto inquadrabili e definitivi. Una, almeno, la riflessione obbligatoria. La vittoria in Tunisia, Marocco ed Egitto di partiti islamisti e dell’Islam politico rende l’Occidente inquieto. Soprattutto per la grande confusione che si fa tra partito islamista ’moderato’ – confessionale dunque – e movimento estremista, se non terrorista. Tanto rumore per nulla dunque, per parafrasare Shakespeare?
Secondo la tesi formulata dallo studioso Olivier Roy, sì. Roy, infatti, già nel celebre saggio ’L’echoc de l’Islam politique’ affermava che il “mondo arabo vive ormai in una fase post-islamista derivata dal fallimento dell’Islam politico. Una fase che ha spezzato il legame fra impegno religioso e rivendicazione politica”.
Lo studioso Massimo Campanini, autore del saggio ’L’alternativa islamica’, sostiene invece che per quanto la tesi del post-islamismo “contenga una parte di verità perché durante le manifestazioni tunisini ed egiziani chiedevano ’Pane, giustizia e libertà’, quindi rivendicazioni del tutto laiche. Tuttavia, quando il movimento rivoluzionario si è istituzionalizzato l’Islam è tornato alla ribalta”. Ma c’è Islam e Islam. E senza dubbio la vittoria dei partiti islamisti è avvenuta soprattutto per ragioni sociali e politiche (le organizzazioni dei Fratelli Musulmani o di Ennahda, hanno sempre svolto un’azione sociale, di supporto e aiuto alla popolazione più povera) e identitarie.
E il 70% della popolazione nel mondo arabo ha meno di 25 anni. Una nuova generazione che fa comunque parte della società globale e rivendica una democrazia declinata secondo le proprie esigenze e non imposta dall’Occidente. Anche questi giovani, o almeno una parte, hanno votato per i partiti islamici. Dovranno essere loro, come protagonisti dell’Islam politico (post o comunque rinnovato) a dover cercare l’equazione fra Islam e democrazia. Cambiamenti, contraddizioni, incertezze. Ma la regione mediorientale sta vivendo un momento storico. È in fase di transizione. L’Occidente non deve trarre conclusioni affrettate. E soprattutto non deve intervenire per guidare i processi di cambiamento, piegandoli alle proprie visioni.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro La primavera non è finita (riproducibile citando la fonte)