Moaz al-Khatib

Un giorno qualunque a Damasco.

Testimonianze dalla Siria nell’era della narrazione Web.2.0

“Ci stiamo abituando a vivere senza sapere che cosa accadrà domani. Il sentimento più forte: la tristezza”

 

Non lo scriveremo mai abbastanza. Per onestà e chiarezza. Siamo sommersi ogni giorno da video, fotografie, tweet, nuovi account Facebook che contengono informazioni quasi sempre impossibili da accertare. Le nuove guerre, le nuove rivoluzioni oggi si combattono anche così, a colpi di Tweet. Un cambiamento che abbiamo potuto seguire bene durante l’Offensiva israeliana Pillar of Cloud, a Gaza, come analizzano in maniera documentata, Veronica Orrù e Matteo Castellani Tarabini. Ma Social Media a parte, esistono ancora quelli che un reporter dovrebbe sempre avere e tenere attivi: i contatti. Le relazioni nate sul posto, con persone di cui si conosce l’identità. Collegamenti che a volte si rallentano ma che sono facilitati proprio dai Nuovi Media, come scrive Augusto Valeriani in ’Twitter Factor’ “molti reporter della vecchia guardia sono scettici eppure anche in Pakistan, Afghanistan alcuni politici e guerriglieri sono presenti sul web”. Un caso interessante riportato sempre da Orrù e Castellani, è l’account Twitter @AlqassamBrigade, del braccio militare di Hamas. E ci sono skype e la posta elettronica. Proprio ieri ho ricevuto via e-mail una testimonianza da Damasco. Conosco la persona da tempo, anche se da agosto non aveva più risposto alle mie lettere. Ma, nonostante questo, non sono a Damasco ora, non posso accertare di persona. Credo nel Web.2.0 ma anche all’importanza di essere sul posto. Un reporter può farsi aiutare dalla rete ma non esserne sostituito.

Quindi riporto la testimonianza di Ridha (nome di fantasia), consapevole che è una testimonianza che non ho raccolto guardandolo negli occhi. E che è una testimonianza che esprime l’opinione di una persona, non di tutti i siriani. Ho promesso di mantenere l’anonimato e quindi non riporterò né la sua età né la professione. Solo che è musulmano sunnita e vive a Damasco Scrive.

Ci stiamo abituando a vivere senza sapere che cosa accadrà domani. Il sentimento più forte: la tristezza. La mia famiglia ormai è divisa. Due fratelli si trovano a Dubai. Una sorella in Giordania con la famiglia. I miei genitori sono troppo anziani, non vogliono lasciare il Paese e io rimango con loro. Ricordi quando ti dicevo che la guerra non sarebbe mai arrivata a Damasco? L’ultima volta che ci siamo visti, a luglio, siamo ancora andati a bere il caffè nella città vecchia. Ma ora, dopo l’attentato a Bab Tuma, non mi sento più sicuro neppure lì. Alla sera, dopo le 8, la città è deserta. Nessuno per le strade. Non passa un taxi. In certi quartieri la gente continua a vivere normalmente. O si sforza di farlo. Gli uffici sono aperti, le scuole anche. Dobbiamo convivere con i colpi di cannone, le sparatorie, i posti di blocco. Sai che, a costo di apparire vigliacco, non mi sono mai schierato. Né da una parte né dall’altra. Guardavo i rifugiati che arrivavano qui, nella capitale, dalle altre parti del paese con compassione. Li riconoscevi, avevano un’aria sperduta. Come guardavo i profughi iracheni. E ti dicevo:”Mai come loro”:
Adesso sono io ad essere sperduto. Quando sono in auto, in colonna, perché la circolazione è rallentata dai posti di blocco, quando le vie d’accesso alla città sono chiuse dai carri armati. Così come certe vie del centro. Quando passo davanti a un’auto e ho paura che esploderà. Quando vedo le barriere di filo spinato e sacchetti di sabbia. E penso: è guerra.
Stanno costruendo un muro intorno all’area residenziale di Al Malki
(dove vive il Presidente Bashar al- Assad ndr). Per proteggerla dagli attentati? Non so. Oggi (ieri 28 novembre ndr)avrai letto, del doppio attentato dinamitardo nel quartiere di Jaramana, che conosci bene (alla periferia sud-est, abitata soprattutto da drusi e cristiani ma anche da musulmani e iracheni ndr). Non ho notizie precise però, solo quelle della tv di Stato. Quanti morti.
Parliamo tanto fra noi. Parliamo in famiglia, con gli amici. Della Nuova Coalizione nata a Doha.Di uomini d’affari, politici, anche guerriglieri. Un gruppo eterogeneo certo. Sappiamo che la Coalizione è sostenuta dalle monarchie del Golfo, dagli Stati Uniti, dalla Francia, dalla Turchia. Conoscevo l’Imam Moaz al Khatib. Se chiudo gli occhi lo rivedo ancora nella moschea degli Omayyadi mentre guidava la preghiera. Meglio lui di Ghalium… almeno non è una persona che vive all’estero da anni. Ma saprà davvero relazionarsi con le forze in campo? Il movimento di opposizione sta crescendo. Per forza, altrimenti sarebbe possibile questo combattimento continuo? Gli oppositori hanno preso l’aeroporto militare di Marj al-Sultan e l’esercito siriano ha bombardato quartieri alla periferia di Damasco: Kadam, Tadamone. Il centro storico non è stato ancora colpito ma se s’infiltreranno quelli dell’Esercito libero? Le milizie private armate aumentano, in una confusione che non so descriverti. Certo ormai non si torna più indietro. C’è stata una frattura fra i cittadini e chi è al potere. Troppa violenza, troppo dolore. Ma non ti nascondo che siamo anche in tanti ad avere paura di un futuro che non appare rassicurante. Di questa rivolta che non sembra offrire garanzie. Ho incontrato persone piene di ideali fra gli oppositori ma anche gente violenta e vendicativa. Se la maggioranza degli omicidi e dei gesti criminali è stata compiuta dalle forze di sicurezza, sappiamo tutti (abbiamo testimonianze dirette) che gli stessi episodi stanno aumentando contro i militari e anche i civili sospettati (a torto o a ragione) di essere dalla parte del regime. I giornalisti siriani, per esempio. E’ civile uccidere un giornalista? Perché nessuno in Occidente ha cercato veramente una soluzione politica? Perché questo strazio? I mie genitori sono anziani e non vogliono lasciare Damasco. Resto con loro. Che Dio ci protegga
”.

Poche ore fa Le Monde’, ’AFP’ e ’Reuters’, tra gli altri, hanno annunciato l’interruzione delle comunicazioni in alcune regioni della Siria su segnalazione di alcuni ribelli. Sarà una delle ultime mail ricevute da Damasco?

di Antonella Appiano Un giorno qualunque a Damasco
In esclusiva per Lindro Riproducibile citando la fonte

Operazione Pace in Medio Oriente?

Tra attacchi, rivolte, tregue, stabilità e instabilità regionali, cambiamenti strategici, si aprono spiragli per processi politici stabili. Sperando che non sia l’eterno gioco dell’oca.

L’iniziativa che non è riuscita in Siria ai due inviati speciali dell’Onu e della Lega Araba, Kofi Annan e Lakhdar Brahimi, è stata raggiunta con successo dall’Egitto del Presidente Morsi. Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, lo ha ringraziato “per essersi assunto la leadership che ha fatto di questo Paese un pilastro per la pace e la stabilità regionale”. Ma neppure Mohammad Morsi, leader dei Fratelli Musulmani e primo Presidente salito al potere in Egitto attraverso elezioni democratiche, avrebbe forse potuto tagliare il traguardo senza l’arrivo al Cairo, ’fulmineo’ e inaspettato, di Hillary Clinton in rappresentanza degli Stati Uniti, da sempre vigili protettori d’Israele. Un segnale forte per Netanyahu. Un altro segnale, la vittoria dell’Islam politico che, senza dubbio, ha cambiato gli equilibri strategici regionali. Oltre alla perdita della Turchia: un alleato che Israele, si è ’giocato’ nel 2010 dopo l’incidente della Mavi Marmara, la nave turca con gli attivisti che portavano aiuti proprio alla Striscia di Gaza. O forse ’Bibi’ ha deciso che in questo momento gli conveniva “provare a fare politica anziché guerre” come gli ha suggerito in una lettera aperta David Grossman? (’Repubblica’ del 6 novembre 2012)

Tregua. Tregua sperata, rinviata, di nuovo raggiunta. Una tregua che invece – per ben due volte – era stata sfiorata, ma subito disattesa in Siria, dove proseguono i combattimenti fra le forze fedeli al Regime e gli oppositori. Una lotta sempre più feroce, senza esclusione di colpi che non sembra trovare una risoluzione anche dopo la nascita, a Doha, della nuova Coalizione dell’Opposizione siriana. La coalizione ha già ottenuto il riconoscimento di gran parte dei paesi occidentali, Francia in testa, ed è guidata dallo sceicco sunnita Moaz al-Khatib, ex imam della moschea degli Ommayyadi di Damasco, che non ha mai nascosto le simpatie per la Fratellanza Musulmana.

Mentre alcuni Paesi si assestano e in Siria continua la cruenta guerra civile, la Giordania dopo due anni di proteste ’soft’ sembra vacillare. Nelle ultime settimane infatti i manifestanti oltre a esprimere malcontento per i provvedimenti economici per la liberalizzazione dei prezzi, cominciano a chiedere la caduta del regime e di re Abdallah. Le proteste, sostenute dai Fratelli musulmani e dai partiti di sinistra, sono state represse con violenza dalle forze dell’ordine. Abdallah riuscirà a mantenere il potere? La partita è aperta.

Tregua raggiunta dunque fra Hamas, che governa la Striscia di Gaza, e Israele. Ma adesso arriva la parte più difficile: trasformare la tregua in un reale processo politico. Altrimenti si continuerà a vivere sul filo del rasoio e sarà sufficiente un piccolo incidente per tornare ai banchi di partenza. Come nel gioco dell’oca. Insomma vorremmo che il sottotesto della parola ’tregua’ fosse ora ’processo di pace’. Quando nessuno più sembrava crederci, forse è possibile.

di Antonella Appiano, in esclusiva per L’Indro Operazione Pace in Medio Oriente? , riproducibile citando la fonte.