Mohammad Morsi

Pillole di storia: Il Movimento dei Fratelli Musulmani

 

Spesso citati senza spiegazione sui quotidiani (soprattutto in relazione all’Egitto) dopo il colpo di Stato del generale Abdel Fattah al-Sisi, il 3 luglio 2013 e la destituizione del Presidente Mohammad Morsi, i Fratelli musulmani, dal punto di vista storico, rappresentano un Movimento fondato in Egitto nel 1928 da Hasan al-Banna. Esso segna la nascita del moderno Islam politico

Minireport Esteri - ConBagaglioLeggero di Antonella Appiano

17 maggio 2015 : Minireport Esteri

#‎Palestina‬, ‪#‎Egitto‬. Dopo “l’intesa diplomatica” degli scorsi giorni, Papa Francesco ha ricevuto il presidente ‪#‎palestinese‬ #‎Abu_Mazen‬. Oggi il pontefice nominerà le prime religiose palestinesi della storia contemporanea.#Egitto, ieri l’ex Presidente ‪#‎Morsi‬ è stato condannato a morte “per evasione di massa da un carcere nel 2011”. Due pesi e due misure. Nessuno ha condannato al-Sisi per i morti di Rabaa. Gli‪#‎Stati_Uniti‬ tacciono e, ovvio, anche l’‪#‎Italia‬. Eppure solo tre anni fa la comunità internazionale applaudiva #Morsi, eletto attraverso le prime libere elezioni. Allora Morsi era una “garanzia per l’Occidente”. Anche nella real politic ci dovrebbero essere dei limiti. Senza contare che Morsi sarà giustiziato, la situazione in medio oriente peggiorerà.
Incredibile la miopia occidentale.
‪#‎Minireport_esteri‬

Egitto: i militari sono i veri vincitori della Rivoluzione?

In «Autunno egiziano», il romanzo ambientato al Cairo durante la rivoluzione del 1952 – che portò alla cacciata di re Farouk – Nagib Mahfuz  fa dire a un suo personaggio: «La verità è che nessuna delle nostre precedenti rivoluzioni ha portato a risultati sorprendenti».  Forse anche quella del gennaio 2011, che vede per ora vincitore, il protagonista di sempre: l’esercito.

A tre mesi dal golpe militare, il movimento islamista dei Fratelli Musulmani è stato sciolto dal governo provvisorio e dichiarato illegale. Sono state chiuse le sedi e confiscati i beni, proprio come nel 1954, per il volere dell’allora presidente Gamal Abdel Nasser. I ragazzi di Piazza Tahrir sono stati esclusi  dai giochi. L’ex presidente egiziano Mohamed Morsi (detenuto in una località segreta dal 3 luglio) e altri 14 dirigenti dei Fratelli musulmani compariranno davanti alla Corte d’Assise il 4 novembre prossimo (fonte agenzia Mena).  Le accuse sono di  omicidio e incitamento alla violenza durante le proteste popolari del dicembre del 2012. E quello  che sempre di più appare come l’uomo forte del paese, il nuovo Raìs, il capo delle forze armate Abdel Fattah el-Sissi,  non esclude una sua candidatura alle presidenziali.

Anche se il dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha annunciato oggi che la Casa Bianca sospenderà gli aiuti militari all’esercito egiziano (tra cui elicotteri d’attacco Apache, caccia-bombardieri F-16 e carri armati M1-Abrahams ) e bloccherà, per ora, una parte dei finanziamenti – 260 milioni di dollari-  sul  miliardo e mezzo del totale. Invariata invece l’assistenza che Washington continuerà ad offrire nei settori  dell’insegnamento, della sanità  e del privato. Assicurati anche i fondi per la lotta al terrorismo, la sicurezza dei confini, soprattutto nella penisola del Sinai.

Secondo fonti anonime della Casa Bianca, la decisione è stata presa dopo gli ultimi  violenti scontri di domenica scorsa, 6 ottobre, tra polizia e sostenitori dei Fratelli Musulmani e manifestanti pro-Morsi che hanno causato almeno 50 morti e un centinaia di feriti. Un bilancio grave,  in un giorno che avrebbe dovuto festeggiare invece i 40 anni della cosiddetta Guerra d’Ottobre del 1973 ( conosciuta come Yom Kippur in Israele).  Una vittoria per l’Egitto soprattutto perché, nel 1979 con gli accordi di  Camp David, ottenne di nuovo il controllo della Penisola del Sinai. continua la lettura su Lindro Egitto: i militari i veri vincitori della rivoluzione?

Antonella Appiano per Lindro – riproducibile citando la fonte

l Presidente Obama sa bene che l’Egitto del generale El-Sissi è in grado di  sostituire gli aiuti militari statunitensi con quelli di altri paesi arabi (che già lo finanziano). E anche del fatto che la decisione potrebbe ridurre l’influenza  americana  nell’area. Ma Obama si trova in una posizione scomoda.  Da un lato vuole mantenere il controllo sull’Egitto, un controllo che  non può  perdere per la sicurezza di Israele, però è costretto ad ammettere che il nuovo governo ad interim del Cairo  non sta percorrendo la via della democratizzazione. Dopo aver tentennato e poi appoggiato la Rivoluzione del 2011 e la caduta del regime di Hosni Mubarak,  alleato di Washington,  il Presidente degli Stati Uniti aveva riconosciuto  come legittimi tutti gli esecutivi che si erano avvicendati. Sia quello militare post-rivoluzione,  sia quello, eletto, dei Fratelli Musulmani. Ha appoggiato di fatto anche il golpe dello scorso 3 luglio, che ha deposto Mohammed Morsi, il primo presidente eletto democraticamente, non riconoscendolo come colpo di stato.  La sicurezza d’Israele certo. Eppure anche il governo islamista di  Mohammad Morsi aveva confermato i trattati di pace con Israele e le relazioni economiche con gli Stati Uniti, spingendosi al punto di prendere  provvedimenti poco popolari pur di ottenere il prestito da 4,8 miliardi di dollari del Fondo Monetario Internazionale. Decisioni che hanno contribuito senza dubbio ad  alimentare il malcontento degli egiziani che si sono ritrovati,  dopo un anno dalla rivoluzione in condizioni economiche peggiori delle precedenti.

Oggi, a tre mesi dal golpe militare, il movimento islamista dei Fratelli Musulmani è stato sciolto dal governo provvisorio e dichiarato illegale. Sono state chiuse le sedi e confiscati i beni, proprio  come nel 1954 per il volere dell’allora presidente Gamal Abdel Nasser. I ragazzi di Piazza Tahrir sono stati esclusi  dai giochi. L’ex presidente egiziano Mohamed Morsi (detenuto in una località segreta dal 3) e altri 14 dirigenti dei Fratelli musulmani compariranno davanti alla Corte d’Assise il 4 novembre prossimo (fonte agenzia Mena) per rispondere alle accuse di omicidio e incitamento alla violenza durante le proteste popolari del dicembre scorso.

Insomma, nonostante i tagli economici degli Stati Uniti, per ora l’esercito sembra essere il vincitore  della Rivoluzione in Egitto, riaffermando il  potere e gli storici  privilegi  di cui gode dagli anni Sessanta sotto il regime socialista di Gamal Abdel Nasser. L’esercito in Egitto è un potere forte. Una specie  di Stato nello Stato. Una lobby a capo di un vero e proprio impero finanziariodal mercato immobiliare, alla produzione dell’olio d’oliva a quella dell’acqua minerale. Senza contare la gestione di imprese di pulizia, stazioni di servizio, mense e anche resort di lusso sul Mar Rosso.

Ma l’economia è ancora in ginocchio, la stabilità sembra lontana con proteste del movimento islamico che, nonostante la violenza della reazione dell’esercito, continua e sembra coinvolgere anche civili non appartenenti alla Fratellanza. E il Sinai sembra una pentola pressione. Lo stato di polizia è stato prolungato. Chi ha fatto davvero la Rivoluzione nel gennaio 2011 è scomparso di scena, ma c’è una certa inquietudine fra i giovani che hanno imparato a rivendicare il diritto di esprimersi. Come scrive ancora Mahfuz: «rabbia sopita, disperazione repressa, tensione accumulata possono ancora esplodere in Egitto».

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Leggi anche: Un giorno qualsiasi al Cairo  

il Cairo

Un giorno qualsiasi al Cairo

L’Egitto dopo il golpe, “Si respira una strana aria, come d’attesa

il Cairo

Chiunque abbia vissuto anche solo qualche mese al Cairo non può dimenticare il fascino delle sue notti. Il Cairo, la città che non dorme mai. Notti vivaci a Downtown, a Nasr City, ovunque. Vivaci, piene di musica e chiacchiere. Fumare la “shisha” nei caffè sempre aperti, andare a fare la spesa tardi. «Le facciate dei negozi brillavano con i loro neon così scintillanti da lasciare abbagliati gli occhi. Da un caffé o un negozio vicino si propagava la voce di Karem al Sahar che cantava per la sua amata» scrive Khaled al Khamissi nel suo “Taxi”.

Puoi immaginare ora il senso di straniamento che provo” racconta al telefono Amal, insegnante trentenne che ho conosciuto a marzo e con cui sono rimasta in contatto durante tutta l’estate, dai primi giorni dopo il golpe militare che ha deposto il Presidente Mohammad Morsi. “Le giornate sono caotiche. Girare in città è un’impresa per il traffico intenso. Quindi stress e  tempi di attesa molto lunghi per via del coprifuoco (n.d.r) ridotto l’altroieri di 2 ore,  quindi dalle 23 alle 6) che poi ti blocca in casa. E nello stesso tempo  si respira un’aria strana, come di attesa. Mi sembra che in l’Egitto stia sparendo  il senso di civiltà, di  umanità. Che si stia disgregando il tessuto sociale“.

Uno studente della Cairo University,  Karim,  conferma che le lezioni dovrebbero riprendere regolari. “L’anno accademico è stato fissato per il 21 settembre”. Ma Karim aggiunge: “mi sento smarrito. Sono musulmano non appartengo alla Fratellanza, ho votato Morsi alle Presidenziali ma non ho partecipato ai sit- in pro Morsi. Onestamente avevo paura. Però molti miei compagni di università lo hanno fatto.Fratelli Musulmani ma anche “civili”,  laici come dite voi. Alcuni sono stati arrestati. Il fratello di un mio amico è  stato ucciso da un cecchino, quando i militari hanno disperso con la violenza, il sit-in diRabaa. Mi domando che cosa proverò a tornare all’Università. Riuscirò a riprendere a studiare come se niente fosse avvenuto? Ritrovare la spensieratezza di prima? A un certo punto mi sentivo così impotente e furioso che,  su Facebook,  ho cambiato il mio avatar con quello  delle 4 dita (n.d.r indica supporto al sit -in di Rabaa e viene esibito dai Fratelli Musulmani e  dagli anti-golpe). Ma ho ricevuto molte minacce. E su facebook  sono apparse pagine con numeri telefonici da chiamare per segnalare chi mostra l’ormai famoso avatar“.

Sulla vita quotidiana al Cairo faccio anche qualche domanda a Baraem, blogger italo-egiziana.(http://www.ilmioegitto.blogspot.it/).  Che non ha votato Morsi, non sostiene i Fratelli Musulmani ma sul suo blog-diario ha denunciato la carneficina di Rabaa. Perché come sempre, al di là dei grandi eventi, della grande storia, esiste la  piccola storia di chi è stato coinvolto, a volte travolto, e deve convivere con i cambiamenti.

Che cosa ti spaventa di più, in questo momento d’incertezza e di cambiamento?

“Soprattutto  la sensazione di sospetto, d’intolleranza, a volte di odio, che respiro nell’aria. Ci sono cittadini comuni, civili che aiutano le forze dell’ordine in azioni di sicurezza. Denunce, collaborazioni per arresti arbitrari. Credo che gli egiziani ancora non si rendono conto del pericolo, della deriva che potrebbe sfociare in un aumento della violenza fra la gente.

Se la situazione in Egitto non fosse così grave, la faccenda dei  cittadini-collaborazionisti assumerebbe a volte risvolti comici. Il ‘Telegraph ha riportato la notizia di un egiziano zelante che ha arrestato un cigno e lo ha consegnato alla polizia, nel Governatorato di Qena, a sud del Cairo. Era convinto  che fosse una spia perché il cigno portava un apparecchio elettronico (un normale tracciatore per ricerche sugli uccelli). Chiedo ancora a Baraem, come si vive nella capitale in questi giorni. “Il Cairo una città sempre più stanca, per via di un coprifuoco che sta succhiando l’economia ed il lavoro dei cittadini.  Il Paese non è stabile, ovvio, ed è aumentata la disoccupazione. Molti dipendenti diristoranti e locali sono “in vacanza non retribuita”, i negozi di alimentari, per rifarsi delle perdite serali sugli acquisti, hanno alzato molto i prezzi. Spero che riducendo il coprifuoco la situazione migliori. Oggi ho pagato un kg di patate, 8 lire egiziane. Una follia. In pratica facendo la spesa compro la metà e spendo il doppio di 2 settimane fa. Non ci sono controlli. Ognuno impone i prezzi che vuole.

Altri problemi di vita quotidiana? “La luce, per esempio, che continua a saltare. Nel mio quartiere circa un’ora ogni giorno. Ma mi hanno raccontato che nei villaggi nel sud dell’Egitto è peggio. La corrente s’interrompe anche per un giorno intero, con la  conseguente mancanza di acqua.  Continua Baraem: “soprattutto mi sento stanca. Il dolore stanca. Ne abbiamo visto troppo. Credo che l’Egitto abbia bisogno di pace, di respirare, di riprendersi e gli egiziani abbiano bisogno di fermarsi e capire dove stanno andando. C’è confusione anche fra chi ha partecipato alla rivoluzione del 25 gennaio 2011. Per esempioil leader del Youth Council del 25 gennaio, si è dimesso il giorno prima delle manifestazioni del 30 giugno considerando il movimento Tamarrod (i ribelli) – che ha organizzato la petizione contro Morsi e le manifestazioni del 30 Giugno –antirivoluzionario. Anche molti attivisti sono delusi e preoccupati. (come la celebre blogger e attivista Gigi Ibrahim)

Mentre sul giornale Mas El Youm è apparsa in questi giorno la dichiarazione di Badr, un leader movimento Tamarrod, che  proponeva il generale Al-Sisi come prossimo Presidente egiziano, nel caso  la situazione interna non si stabilizzi. Il gruppo  poi si e’ distanziato dalle sue dichiarazioni considerandole inaccettabili. Comunque chiunque critica le Forze armate è in pericolo.La “Terza Piazza”, quella del Mohandessin al Cairo che rifiuta il regime di Morsi e quello di Al Sisi e’ stata definita “la quinta colonna sionista in Egitto”. E i suoi sostenitori sono considerati traditori.

Nella presentazione del suo Blog, Baraem scrive: «Vivo al Cairo dal 1997, ho partecipato alla la Rivoluzione del 2011 in prima fila, ho pianto di rabbia per le 800 vittime e ho riso di gioia quando il vecchio presidente Mubarak se n’è andato. Ma ora mi chiedo: come sarà  il nostro futuro?  E che cosa e quanto è rimasto del nostro passato?».

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro Un giorno qualsiasi al Cairo (riproducibile citando la fonte)


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Effetto Siria e Contagio egiziano

Reazioni in Medio Oriente

Sugli schermi della televisione siriana passa a ripetizione uno spot che mostra un dattero, alimento tradizionale del Ramadan, che contiene un proiettile. Sotto, una scritta: «Non rovinate il Ramadan con la violenza». Era l’11 agosto 2012, un anno e un mese fa, ad Aleppo. Quest’anno il Ramadan è iniziato il 9 o il 10 luglio (varia da Paese in Paese secondo le fasi lunari), ma in Siria le armi

EGYPT CAIRO ELECTION MORSI CELEBRATION

Egitto, il punto della situazione

Le difficoltà e le contraddizioni del Paese

EGYPT CAIRO ELECTION MORSI CELEBRATION

Il Cairo – Intervista a Reda Fahmy, deputato al senato del Partito Libertà e Giustizia

Molti accusano il Partito Libertà e Giustizia (PLJ) di essere solo un canale ufficiale attraverso il quale la confraternita dei Fratelli musulmani esercita la sua politica.

Deputato Reda FahmiOgni partito ha una base di appoggio. Di sostegno” risponde Reda Fahmy, deputato al Senato del Partito Libertà e Giustizia. È a capo dell’Assemblea degli Affari Esteri, una laurea in scienze politiche. Ci fa l’esempio del “Partito dei lavoratori in Polonia, nato dal Sindacato Solidarność (Sindacato Autonomo dei Lavoratori “Solidarietà” ndr) che, riconosciuto ufficialmente nel 1989, partecipò alle elezioni politiche e vinse. 

Libertà e Giustizia si occupa delle decisioni politiche ma la forza del Partito viene dalla Confraternita dei Fratelli Musulmani. Sbaglia però chi teme che un partito d’ispirazione religiosa come il nostro miri all’instaurazione di una Repubblica islamica stile Iran. L’Iran è uno stato Teocratico. C’è una grande differenza. 

Il nostro obiettivo è quello di raccogliere tutti gli egiziani sotto uno Stato Unito.Facciamo riferimento all’Islam in quanto religione, certo, e l’Islam è il nostro riferimento culturale e identitario, ma abbiamo come priorità le questioni nazionali. E non ci rivolgiamo solo ai Fratelli Musulmani e neppure soltanto ai musulmani.Fra l’altro molti dimenticano che l’intellettuale Rafiq Habib, uno dei fondatori del partito, è un cristiano copto. E che a capo dei Ministeri dell’Interno, degli Affari Esteri e della Difesa, non ci sono rappresentanti del partito Libertà e Giustizia”.

Il successo dei Fratelli musulmani in Egitto (l’organizzazione fondata nel 1928 da Hasan al- Banna) è dovuto a un insieme di fattori sociali, ideologici e politici. E secondo molti analisti, oggi il movimento ha subito una trasformazione per adeguarsi ai tempi, diventando pragmatico. E flessibile.
Conservatore nei costumi ma attento alle richieste dei giovani che non sono disposte ad accettare visioni ristrette. Insomma valori coranici ma anche modernità: social media e tv satellitare.
La strategia della comunicazione è cambiata in parte, pur poggiando in fondo sempre sul concetto di ‘rete’. Ikhwanweb.com è il sito ufficiale dei Fratelli (Ikhwan) ma sono stati creati anche diversi canali Fb come per esempio www.facebook.com/Ikhwanweb.official o Twitter come@ikhwan.

Anche il partito Libertà e Giustizia è presente sul Web 2.0, su Fb, Twitter, Youtube. Il presidente Morsi twitta attraverso il suo account @MuhammadMorsi. E attraverso la rete la Fratellanza cerca di trasmettere l’idea espressa dal deputato. Non nega la tradizione ma non vuole essere identificata come fautrice di uno stato islamico incompatibile con la democrazia.

Continua la lettura su L’Indro:  Egitto, il punto della situazione
Antonella Appiano, per l’Indro. Riproducibile citando la fonte


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Qarafa Il Cairo

Chi è e come vive il cambiamento politico il ‘popolo della città-cimitero’

Qarafa Il Cairo(Il Cairo) “Per me non è cambiato nulla. La gente continua a morire come prima. Anzi forse più di prima”, risponde placido e un po’ cinico, Ibrahim, che di professione fa l’assistente becchino nella città-cimitero del Cairo, conosciuta come la città dei morti.

Ibrahim vive nella piccola Qarafa (cimitero in arabo) nella zona di Sayyeda Nafisa. “Qui”, aggiunge,“ ho allevato sette figli. Ormai sono tutti diplomati o laureati e, tranne la figlia più giovane, abitano fuori da al Qarafa. Ma io qui sto benissimo. Sono a due passi dal centro. Qui viveva mio padre e ancora prima mio nonno”, continua Ibrahim che -jellabya marroncina, sandali di cuoio- è seduto comodamente in mezzo alle tombe, un tavolino accanto con un bicchiere di thé.
Ibrahim sa che qualsiasi governo salga al potere in Egitto, garantirà sempre acqua e luce agli abitanti di al – Qarafa anche se l’inurbamento nell’area è stato abusivo.
Ma d’altra parte”, commenta l’amico Ahmed,  “l’abusivismo fa parte di questo Paese”.

Il numero degli abitanti di  al –Qarafa non è accertato. Si calcola attorno alle 200mila persone, secondo altre stime di più. L’antropologa italiana Anna Tozzi di Marco  -che ha vissuto  nella città dal marzo 1998 ad ottobre 2005 per condurre studi e ricerche, spiega che “il cimitero era nato nel 642 d.C. ai piedi delle colline di Moqattam, ad est di al Fustat (l’antica Cairo), come primo nucleo di sepoltura dei conquistatori arabi. Ogni dinastia araba succedutasi ha dotato poi la capitale di un nuovo cimitero, caratterizzandolo con edifici religiosi e civili. Per questo nell’area si trovano molti preziosi mausolei e monumenti preziosi”.

Al Qarafa (viene diviso in piccolo e grande),  è composto da 7 quartieri, e si estende per oltre dieci chilometri all’estrema periferia orientale della metropoli. Ai piedi della collina della Moqattam, proprio vicino alle tangenziali a  otto corsie che  girano attorno capitale egiziana. Un posto, in centro, come ha detto Ibrahim. Siamo, infatti, poco distanti dalla Cittadella, dalla grande moschea di Al-Azhar e al suq “Khan al-Khalili.  Entrando dalla Piazza di Sayyeda Nafisa, dove sorge la moschea omonima, si attraversa una zona piuttosto povera dove vivono mendicanti. Molti ricavano qualche moneta nell’assistere i visitatori della moschea.  Nelle viuzze sabbiose che si snodano fra i sepolcri, gabbie di polli e carretti trainati dagli asini. I bambini giocano  a nascondino tra le tombe. Una donna accovacciata per terra in un angolo, accende un fuoco. Un’altra mi vuole vendere un libretto di preghiere.  “C’è chi abita le capanne, poi trasformate in casette, dei custodi delle tombe; chi invece ha occupato  abusivamente i mausolei abbandonati; chi vive nelle tombe di famiglia; e chi ancora in case costruite sui resti delle tombe. Molti hanno ottenuto il domicilio in maniera legale, attraverso una specie di bando pubblico, gestito dai becchini del posto, per l’assegnazione degli edifici mortuari senza proprietari” spiega Ahmed.

Nel pomeriggio del giovedì, e fino alla tarda serata del venerdì, il cimitero si riempie di gente. E’ il momento della settimana in cui, secondo la tradizione locale, le famiglie vanno al cimitero per rendere omaggio ai cari defunti. “E sulle tombe s’ improvvisano picnic e piccole feste in onore dei morti” aggiunge Ahmed.

Procedendo dalla moschea di Sayyda Nafisa verso piazza Aisha, il piccolo Qarafa cambia. Via via appaiono negozi di abbigliamento, di alimentari, botteghe di artigiani, come un qualsiasi quartiere popolare della città. “Qui molte case sono nate non sulle tombe ma sulle stalle e sugli abbeveratoi” racconta Sharif, un cinquantenne titolare di una bottega di ferramenta. Sharif è contrario al nuovo Governo. “Con il presidente Mubarak stavamo meglio. Oggi i guadagni sono dimezzati”. E’ polemico. “Ma non partecipo neppure alle rivolte. Se si continua così, i turisti abbandoneranno completamente l’Egitto. Per fortuna non devo pagare l’affitto. Sono nato qui e questa casa apparteneva a mio padre e prima ancora a mio nonno”. Ma chi dovrebbe andare al Governo? Alza le spalle. “Non m’interessa chi. Basta che il Paese si stabilizzi e che ritornino i turisti”. Si forma un gruppetto e incominciano a discutere animatamente. Che cosa succederà, chiedo ancora. “Non lo sappiamo. A noi interessa che ci venga riconosciuto il diritto di vivere nelle nostre case”.  Ormai da anni le autorità hanno concesso un contratto regolare di proprietà a molti abitanti di Qarafa. Le autorità egiziane preferiscono non interferire nella gestione della necropoli. Che è una specie di ‘zona franca’. Però garantiscono i servizi sociali di base: l’acqua, l’elettricità, la scuola e le fognature. Ci sono anche un piccolo ospedale, una scuola e un piccolo ufficio postale.

Proseguendo il cammino, a due passi dalla bottega di Sharif, l’animato mercato di Sayyda Aisha e poi ancora antichi alloggi per i  sufi (mistici islamici); piccoli e grandi palazzi nobiliari;  ribat (ospizi per i bisognosi) e ostelli per i pellegrini. Le autorità  cariote hanno sempre cercato di ‘nascondere’ ai turisti questa parte della città. Ma la zona non è per nulla pericolosa. “Ci abitano poveri senza sostentamento (circa il 20%) ma anche, appunto, commercianti e impiegati del settore privato. E il 35% lavora nella città cimitero” commenta ancora Ahmed.

Qualche domanda ad Anna Tozzi di Marco.

Com’è nato il progetto di ricerca?
Dopo due viaggi in Egitto e dopo la postlaurea in antropologia, ho consegnato il progetto al Ministero degli Affari esteri italiano con richiesta di borsa di studio.  L’ho ottenuta nel 1998 ed è iniziata la mia avventura.

L’esperienza ti ha cambiata?
Ho vissuto a Qarafa  per 7 anni. L’esperienza ha fatto maturare una maggiore consapevolezza di me stessa, della mia sicurezza personale, maggior professionalità, molta umanità.

Quali sono state le difficoltà?
All’inizio c’è stato qualche problema d’incomprensione con qualche abitante con cui avevo rapporti economici, per esempio, il padrone di casa. Problemi dovuti all’immagine stereotipata che hanno degli stranieri. Ma in generale avevo ottimi rapporti con la gente del posto. Gli unici problemi li ho avuti con la polizia…

Un lavoro come il tuo avrebbe avuto più riconoscimenti rispetto all’Italia?
Sono fuori dall’Accademia universitaria e da ogni altra istituzione ufficiale, quindi non riconducibile ad alcun ‘patrono’. A parte la borsa ho dovuto impegnami moltissimo in prima persona, anche dal punto di vista economico, per portare avanti il progetto di ricerca .In genere, tranne poche eccezioni, gli antropologi italiani accademici in generale m’ignorano. Ma io continuo a fare conferenze, mostre fotografiche. Il mio obiettivo è anche quello di sfatare i pregiudizi e le false notizie sulla comunità residente nel cimitero e nel restituirgli una rappresentazione dignitosa e non folcloristica.

Intanto chiedo ancora a un artigiano, Mahmud, che si dichiara contrario al Presidente Morsi, e anzi,  è “convinto che non resterà al potere a lungo”, per quale partito vorrebbe votare. “Non so”, risponde “ce ne sono tanti”.

In esclusiva per Lindro, riproducibile citando la fonte.
per L’Indro:  Chi è e come vive il cambiamento politico il ‘popolo della città-cimitero’


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Il Cairo- tensioni fra il Presidente Morsi e la Magistratura

Il Cairo- Musahara…manifestazione. I Taxisti, oggi, non volevano neppure portarmi in via Ramses vicino al Palazzo di Giutizia. Certo dopo venerdì scorso, quando durante la manifestazione davanti alla sede pricipale del partito Libertà e Giustizia, ci sono stati scontri, l’allerta è più alta. Ma la manifestazione si è svolta tranquillamente…

Mnifestazione Palazzo di Giustizia 29 marzo_filigrana

La Magistratura e le Opposizioni riunite nel Fronte di Salvezza Nazionale, hanno dimostrato contro la rimozione del procuratore generale Abdel Meguid Mahmoud (che è stato mandato a Roma come ambasciatore presso la Santa Sede). Al suo posto il Presidente Morsi  ha nominato Talaat Abdallah, personalità – sembra- più vicina ai Fratelli Musulmani. Polemiche da parte della Magistratura che ha interpretato la decisione di Morsi come un tentativo di influire sul potere giudiziario dello Stato. E polemiche da parte dei movimenti di opposizione. Secondo le testimonianze che ho raccolto molti dissidenti sono infatti finiti nel mirino del nuovo procuratore, che -nonostante la decisione della Corte di appello di annullare il provvedimento del presidente- ha dichiarato che ” resterà al proprio posto”. Il mio audio in diretta su SoundCloud….

Egitto: manifestazione davanti sede Sindacato Egiziano Giornalisti

Egitto, paese diviso

Egitto: manifestazione davanti sede Sindacato Egiziano Giornalisti(Il Cairo). Schierati sulla gradinata della sede del Sindacato egiziano dei giornalisti, a Downtown, intonano slogan: “Vogliamo la caduta del Presidente Morsi”. Sono circa le 18 del 27 marzo. E poco prima ho incrociato un piccolo corteo che scandiva lo stesso slogan, fra rulli di tamburi. La gente si ferma a guardare. Commenta. Qualcuno raggiunge i giornalisti sulla scalinata. “Lavoriamo in varie testate nazionali – racconta Ala Al-Khodairy che fa parte del sindacato – e vogliamo tutti un nuovo governo”. ”Però Mohammed Morsi è stato eletto”. “Certo – conferma- durante le prime elezioni libere del Paese, con la legittimità del voto. E con lui i Fratelli Musulmani. Ma Morsi non sta facendo nulla per i risolvere i gravi problemi economici dell’Egitto”.

Si sa che il negoziato fra il Cairo e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ristagna. Un balletto. Il Fondo, per concedere il prestito del valore di 4,8 miliardi di dollari, pone la condizione di una vera riforma dei sussidi e del fisco. L’Egitto ha bisogno degli aiuti perché le sue riserve in valuta estera si stanno esaurendo. Con il rischio di gravi disordini sociali. Ala Al -Khodairy, giacca e cartella porta-documenti sotto il braccio aggiunge: “Siamo contrari ai Fratelli Musulmani. Influenzano le decisioni politiche di Morsi. Non sanno governare e temiamo i loro principi religiosi rigidi”.

Una manifestazione come tante, quella di ieri al Cairo, che segue quelle più violente di venerdì scorso, quando sostenitori e oppositori del Presidente Morsi e dei Fratelli Musulmani si sono scontrati davanti alla sede principale del braccio politico della Fratellanza, il Partito Libertà e Giustizia nel quartiere di Moqamma. “C’è qualcosa che non quadra – sostiene Moustafa, 28 anni, guida turistica, una laurea mancata in informatica (ora disoccupato) che ha partecipato alla Rivoluzione contro Mubarak ed è schierato con l’Opposizione Civile. È stato lui ad informarmi per telefono delle manifestazioni del 22 marzo. “Troppa violenza, c’erano anche ragazzini con pietre, bottiglie rotte. Bambini di 8, 10 anni. Poveri. Qualcuno li paga? Dove è finita la nostra Rivoluzione?”. Viene in mente una frase del film ‘La battaglia di Algeri‘ di Gillo Pontecorvo: “Iniziare una rivoluzione è difficile, ancora più difficile è continuarla, e difficilissimo è vincerla. Ma sarà solo dopo, quando avremo vinto, che inizieranno le vere difficoltà”.

Il Cairo sotto una vernice scintillante, anche dal punto di vista culturale, mostra realtà di profonda emarginazione e povertà. A Zamalek, locali che non sfigurerebbero a Parigi e zone con le fogne a cielo aperto vicino al famoso ‘bazar’, Kan al- Khalili. Mente i mendicanti chiedono l’elemosina davanti a negozi lussuosi. E in tutto il Paese coesistono elementi di modernità e di arretratezza. Donne velate passeggiano vicino a ragazze in jeans aderenti e capelli al vento. Manager in giacca e cravatta e bawab, i portieri, in jellabie consunte. Fuoristrada e carretti trascinati dagli asini. Il tutto mescolato ai fermenti democratici risvegliati.

Certo un contesto difficile per un Movimento come quello dei Fratelli Musulmani legato profondamente alla religione. La transizione sembra inceppata. La via democratica si presenta piena di punti interrogativi. Come conciliare i dogmi religiosi con il principio della tolleranza, per esempio? Però questo tentatvo potrebbe anche essere il motivo delle incertezze del Partito Libertà e Giustizia. Forse stanno attraversando una fase di transizione e cambiamento. “Vivendo al Cairo, non riesco a pensarla islamizzata” afferma Ahmad, 24 anni studente di lingue alla Cairo University. “Il pericolo, piuttosto è quello di una rivoluzione per il pane. Di che cosa ho paura? Di un golpe dei militari. Molti di noi hanno creduto che l’esercito, durante la Rivoluzione del 25 gennaio 2011, si sia fatto da parte per la causa. Invece ha abbandonato Mubarak solo per non perdere il potere”.

Anche secondo Moustafa “l’esercito, fra le difficoltà del governo e le divisioni della Opposizione, è l’unico che può trarre vantaggi. Mantiene consensi anche in ambienti insospettabili, perché in quasi tutte le classi sociali, c’è qualcuno che appartiene alle Forze armate. La carriera militare per tanti è l’unica possibilità di promozione sociale”. L’esercito, in Egitto, è una lobby a capo di un vero e proprio impero finanziario: dal mercato immobiliare alle pompe di benzina, dalla produzione dell’olio d’oliva a quella dell’acqua minerale.

Egitto: una pentola a pressione pronta ad esplodere. Contraddizioni, divisioni, richieste. Anche rimpianti. Sono in moltiinfatti a rimpiangere il Raìs Mubarak. Li incontri un po’ dovunque in città. Ma per essere sicuri di parlare con i nostalgici basta andare a bere qualcosa nei giardini dell’Hotel Mariott. L’Hotel, un incanto di archi moreschi e due ettari di giardino, fa parte del palazzo fatto costruire dal Kedivé Ismail, sull’isola del Nilo Zamalek, per ospitare Eugenia imperatrice di Francia invitata in Egitto nel 1860, per l’inaugurazione del Canale di Suez Ancora nell’isola di Zamalek, si trova il Ghezira Sporting Club, dove si ritrovano, da decennni, gli appartenenti alla upper class. Sospirano, affermando che “ora non esiste sicurezza né libertà”. Un’altra accusa che ripetono spesso: “I Fratelli musulmani sono ambigui e opportunisti“. Accuse che, in verità, si presterebbero a molti esponenti politici, anche nostrani.

In taxi la radio trasmette dibattiti politici. Nei caffè, nei negozi, ovunque, si sente criticare il Presidente Morsi. Sembra una ubriacatura. Dopo l’Era Mubarak esiste per la prima volta libertà di espressione. Eppure nessuno sembra ricordare più le censure, gli arresti, la presenza nella vita quotidiana dei cittadini ai tempi del Raìs.

Al Cairo si respira un’aria strana. Un miscuglio di attesa, speranza, disillusione, rivendicazione. Anche indifferenza. Fra il folto gruppetto che assiste alla manifestazione dei giornalisti, ci sono molte ragazze. Chiedo ad una di loro, hijiab azzurro e zainetto sulle spalle, che cosa ne pensa. Alza le spalle “Ci siamo abituati”. “Che fai? Fotografi? Ma se non sta succedendo nulla”.

In esclusiva per Lindro, riproducibile citando la fonte.
per L’Indro:  Egitto, paese diviso

 


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Timori di un’estensione del conflitto siriano su scala regionale. E la tragedia di un popolo

Sei stata in Siria? Davvero? Adesso durante la guerra?” Ahmad è stupito e vuole conferma. “È guerra vero?”. Ahmed è un commerciante, un nostalgico dell’”era Mubarak” e quando ci incontriamo mi racconta soddisfatto delle manifestazioni di oggi a Nasr City, lungo la High Way Street. È convinto che gli egiziani abbiamo bisogno di un “uomo forte” al governo. Ed è contrario all’attuale presidente Morsi. Fa capire che parteggia per il presidente Bashar  al-Assad anche se non osa dirmelo apertamente. Però chiede: “E perché l’Europa vuole mandare armi in Siria per gli oppositori?”.

In realtà oggi dopo il vertice dell’Unione Europea a Bruxelles, il cancelliere tedesco Angela Merkel ha dichiarato che la “la situazione in Siria è difficile e l’ipotesi di togliere l’embargo sulle armi deve essere discussa dai ministri degli Esteri della Unione Europea a Dublino, settimana prossima”. Angela Merkel ha aggiunto “Noi abbiamo delle riserve”. E così sembra per altri 27 Paesi UE . Il Presidente francese Hollande ha invece ribadito la sua disponibilità a fornire armi agli oppositori siriani. “Con o senza gli alleati europei” ha aggiunto. Anche la Gran Bretagna è favorevole a togliere l’embargo sulle armi in Siria per aiutare l’opposizione al regime degli Assad.

I timori espressi dalla Germania e altri Paesi dell’Unione europea riguardano la possibilità che nuove armi vadano ad aggravare ancora di più la situazione sul terreno, finendo nelle mani dei numerosi gruppi estremisti presenti in Siria. Dal “Fronte al Nusra” (gruppo jihadista, inserito dagli Usa tra quelli terroristi) al gruppo dei “Volontari libici” (sotto l’egida del Consiglio Nazionale libico) o a quello degli “Uomini liberi della Grande Siria” (brigate salafite).
Se la guerra si “regionalizza” si svilupperanno facilmente effetti a catena diretti o indiretti. I Paesi esposti al contagio sono tanti: Libano, Giordania, Cisgiordania, Iraq, Turchia. Per non parlare della minaccia più grave. Da tempo infatti si sa che il conflitto siriano potrebbe innescare un confronto fra Iran e Israele.

La diplomazia europea continua la fase di stallo. Conflitto interno, interventi esterni. Da una parte, la possibilità concreta che – anche dopo la caduta del regime – la guerra civile continui e inneschi altre guerre. Dall’altra, la tragedia di un popolo che si consuma, giorno dopo giorno, da due anni. Senza un barlume di luce.

di Antonella Appiano, in esclusiva per L’Indro: Embargo si, Embargo no, riproducibile citando la fonte.

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