Morsi

L’Egitto e l’Islam politico

Intervista a Massimo Campanini

 

Gli eventi  in Egitto hanno riacceso il gran dibattito fra gli studiosi sulla ‘morte dell’Islam politico’ e sulla ‘fine dei Fratelli musulmani’. Un fallimento profetizzato già da Olivier Roy agli inizi degli anni ’90 e sconfessato dalla storia. Si sa che perdere una battaglia non significa perdere la guerra. E le analisi che mostrano un Islam politico alla fine del percorso, sono certo premature.

Quartiere 6 Ottobre Il Cairo Bandiere

Little Siria al Cairo

Nella Città del 6 ottobre sventolano le bandiere nere di Jabbat al-Nusra insieme alla nuova bandiera siriana.

Quartiere 6 Ottobre Il Cairo Bandiere(Il Cairo):  “Non c’importa se sono jihadisti” dice Mohammad, indicando le bandiere nere che sventolano nelle bancarelle e in qualche caffè “basta che ci aiutino a cacciare Bashar al-Assad”.

Le bandiere sono quelle di Fronte al Nusra (Jabbat al- Nusra, Fronte della Vittoria) il gruppo militante jihadista che si è costituito in Siria nel gennaio del 2012. Senza dubbio il più efficace braccio armato delle forze di opposizione, che ha già rivendicato 43 attacchi suicidi e conquistato molte postazioni militari. E secondo il Dipartimento di Stato Usa è affiliato ad Al Qa’ida in Iraq.

Mohammad però afferma che, secondo i suoi informatori – amici e parenti- di Aleppo, Jabhat al Nusra, al nord non è visto così male dai siriani”. Anche secondo Firas (che ora vive al Cairo) “i sentimenti dei siriani in patria, si sono a poco a poco trasformati: da timore a rispetto”. Timore certo perché “l’islam radicale non appartiene al nostro popolo” ma rispetto perché “ i combattenti della formazione sono i più preparati nei combattimenti e i più corretti in città nei confronti dei cittadini”. Secondo Firas, il Fronte al Nusra controlla anche i rifornimenti dei forni del pane con giustizia mentre, “per mesi alcune frange dell’Esercito libero avevano imposto prezzi esagerati sulla farina per rifornirsi di denaro. Come sempre, nelle guerre c’è chi s’infiltra. Ed è successo anche nelle file dell’ ESL. Una minoranza, ma hanno rubato, rapinato, rapito gente, saccheggiato”. Insomma sembra che invece il Fronte abbia guadagnato consensi. Ma non tutti i siriani espatriati che ho intervistato, concordano su questo punto. Molti ne diffidano.

Mohammad, Firas, Abu Omar, Anas… sono nomi di fantasia. Mi hanno chiesto di non scrivere i nomi reali e di non essere fotografati perché hanno ancora parenti in Siria. Tante storie. E tutti, dopo un primo momento di diffidenza (ma l’amico siriano che mi accompagna li rassicura) vogliono raccontare. Entrano nel negozietto di alimentari dov’era fissato l’incontro, curiosi, si siedono, incominciano a parlare. Discutono, a volte non sono d’accordo.
Non sono profughi e neppure rifugiati politici. Appartengono alla middle-class e sono riuscii a portar via dalla Siria un piccolo capitale per avviare attività commerciali in Egitto. Arrivano da Damasco, da paesi vicino alla capitale, da Homs. “Ho corrotto gli shabbia che controllano l’aeroporto di Damasco e sono uscito dal Paese con la famiglia 5 mesi fa“, racconta Abu Omar, proprietario del negozio. Indossa una jellabia grigia e fuma il narghilè per tutto il tempo, alternandolo a numerose tazze di thé. “Siamo di Qalamoun, un’area periferica di Damasco. Allevavo e vendevo falchi per i clienti del Golfo. La nostra zona non è stata teatro di scontri ma non c’era più lavoro e la situazione diventava ogni giorno più pericolosa”.
Anas, anche lui di Qalamoun, 35 anni e due figli piccoli, temeva di esser richiamato come riservista. Aveva un negozio di elettrodomestici, ora fa il fruttivendolo.

Khaled, 18 anni, è invece di Homs. È in Egitto da 6 mesi: “I miei genitori hanno deciso di partire perché sarei stato richiamato per il servizio militare. Abbiamo attraversato il confine con il Libano e poi raggiunto il Cairo” racconta. È arrabbiato. “Molti miei amici militano nell’Esercito Siriano Libero. Io vorrei raggiungerli però mio padre mi ha preso il passaporto. Che cosa ci faccio qui? Avevo interrotto gli studi a Homs e lavoravo come elettricista nella piccola impresa familiare. Vorrei tornare in Siria e combattere”.
Mohammad invece è di Damasco, trentenne, insegnava arabo agli stranieri. “Quando sono spariti dalla Siria, ho incominciato a lavorare utilizzando Skype. Ma la connessione non era stabile. Potrei definirmi un profugo di Skype” ironizza. Dopo molte traversie in Turchia, Mohammad, ha deciso di venire in Egitto. È uscito dalla Siria nell’autunno del 2011.

Tutti provano riconoscenza per il Paese che li ospita e nostalgia della Siria dove sperano di ritornare come ‘vincitori’.Ora il potere spetta ai sunniti” ripetono tutti. “Siamo consapevoli del fatto che questa guerra durerà molto tempo – sottolinea Abu Omar – e che, quando cadrà Bashar al-Assad, la guerra sarà ancora più crudele. Ormai la nostra guerra è diventata la guerra di tutti. Aspetteremo”.
Quando chiedo che cosa pensano possa succedere, nello scenario post-Assad, si scherniscono. “Non lo sappiamo, preghiamo per la Siria”.

Sono grati a questo governo e al Presidente Morsi: Con Mubarak non sarebbe stato possibile stabilirci qui. Nessun problema con i documenti, pochi controlli. Le autorità sono tolleranti” afferma Anas. Sperano che le manifestazioni “cessino e che l’Egitto trovi stabilità“. E sono convinti che “se Morsi ha vinto Morsi deve governare”.

Il fratello maggiore di Anas mi spiega che la comunità siriana in Egitto è molto unita. “Abbiamo creato anche scuole nostre. I siriani più ricchi mandano invece i figli nelle scuole private egiziane, dove è sufficiente presentare i documenti d’identità e un attestato scolastico”. Mohammad, che ora vive al Cairo, “in un quartiere dove tutti ormai mi chiamano Usthad, ‘il professore’”, mi spiega che nella Città del 6 ottobre ci sono anche quartieri, come il numero Sei, dove abitano siriani poveri. “Vivono per lo più di carità”.

Facciamo un giro del quartiere. Ovunque insegne che richiamano alla Siria. A Damasco. Ristoranti, caffè, bancarelle che espongono bandiere, bracciali con la scritta: “Siria libera”. Forni che vendono la focaccia tipica, con il timo, il ‘saj’, banchetti con pile di sottoaceti, profumo di felafel ovunque. “Che noi siriani facciamo con i ceci e non con le fave” precisa Mohammad “e sono migliori”. Il proprietario di un ristorante, sulla soglia, ha dipinto il ritratto di Bashar al-Assad e del padre “così tutti quelli che entrano li calpestano” mi dice sorridendoIn un angolo del locale, una bandiera nera del Fronte al Nusra.

Intanto in Siria non si smette di combattere: ieri una bomba sulla città di Aleppo ha provocato 15 vittime, in gran parte bambini, come riferito dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, e c’è grande apprensione per Amedeo RicucciElio ColavolpeAndrea Vignali e Susan Dabbous, giornalisti fermati in Siria, irraggiungibili dal 4 aprile, ma che secondo la Farnesina stanno bene e presto saranno liberi, ndr.

In esclusiva per Lindro, riproducibile citando la fonte.
per L’Indro:  Little Siria al Cairo


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Il Cairo: 29 marzo manifestazione diretta audio soundcloud

Il Cairo: manifestazione in piazza davanti al Palazzo di Giustizia, 29 marzo 2013 – diretta audio

Questo pomeriggio si è svolta un’ulteriore manifestazione contro Morsi davanti al Palazzo Giustizia.
Manifestazione che si è svolta in modo tranquillo e all’apparenza senza la presenza di forze armate o polizia.
Seguendo il corteo ho raccolto qualche testimonianza, buon ascolto.

Opinione pubblica divisa in Egitto – Attese, speranze e delusioni

Piazza Tahrie 14 marzo 2013Il Cairo Due giovani “reduci” di piazza Tahir scrivono nel gennaio del 2012, due pièces teatrali sul tema della Rivoluzione. Due visioni diverse, anzi opposte, che sintetizzano gli umori dell’Egitto in questo momento. Un Paese dove l’opinione pubblica è divisa e l’aria che si respira è un misto di gorgoglio rivoluzionario, attesa, delusione.

Muhammad Kamal el din Abo Alela è l’autore di “Ero in Italia”, la commedia rappresentata martedì all’Istituto di Cultura italiana . Ha 21 anni ed è studente di Lettere al Dipartimento di Italianistica della Cairo University. Racconta: “Ho preso parte alle manifestazioni contro Mubarak come indipendente poi mi sono unito ai Giovani Fratelli Musulmani”. Attivo politicamente, Muhammad non ha dubbi: “Dobbiamo avere pazienza. Un cambio di governo non risolve di colpo i problemi di un Paese, il processo avviene per gradi”. E cita l’esempio della Rivoluzione Francese. “Il Presidente Morsi e i Fratelli Musulmani hanno ereditato una situazione difficile: un apparato statale corrotto, l’economia in crisi, uno stato di sicurezza fragile. Bisogna anche tener conto dell’inesperienza perché la Fratellanza è sempre stata all’Opposizione, perseguitata da ogni regime. Esiste infine un problema di comunicazione, credo. Però sono sicuro che il Presidente stia lavorando a grandi progetti che richiedono tempo. Le nuove proteste? È naturale che dopo anni di dittatura, la gente abbia voglia di esprimersi liberamente, di criticare. L’economia è a terra: disoccupazione e povertà alimentano il malessere sociale, ma sarebbe utopistico pensare che le casse dello Stato si possano riempire da sole e di colpo, per magia”. Continua la lettura su L’Indro http://www.lindro.it/politica/2013-03-14/74701-opinione-pubblica-divisa-in-egitto

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro- riproducibile citando la fonte

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Islam politico e guerra dei media

L’Egitto e la Tunisia dopo la fine delle autocrazie ’laiche’

Le vittorie dei Fratelli Musulmani e di En-Nahda sono un insuccesso? E intanto in Siria continua la battaglia mediatica.

Proteste e scontri in Egitto e in Tunisia. Scelte sbagliate del presidente Morsi che dopo essere stato ’acclamato’ per la mediazione – conclusa con successo – nelle trattative della tregua tra Israele e Hamas, è contestato dalla Piazza. Certo, una mossa poco saggia quella di reclamare i pieni poteri. E di imporre una nuova costituzione che riprende pesantemente la Shari’a. Gli egiziani hanno già dimostrato di non essere più disposti ad accettare dittature e il Paese sta vivendo una grave crisi economica e sociale. Ma il percorso da una autocrazia a un governo che garantisca ’democrazia’, sia pure declinata secondo l’Islam politico richiede tempo. Passaggi obbligati. Forse è presto per dire che la partita è persa. Anche in Tunisia dove, ricordiamo, dopo la cacciata di Ben Ali, ha vinto un governo di coalizione con a capo il partito religioso En-Nahda (Rinascita), sono ripresi scontri e proteste. Però En-Nahda deve mediare con il gruppo più radicale che fa parte della coalizione. E i compromessi storici, si sa, non sempre hanno successo. Certo il momento è importante: se fallisce anche l’Islam politico che cosa succederà in questi Paesi così vicini all’Italia e all’Europa? L’instabilità è un lusso che non possiamo permetterci.

Intanto non si profila nessuna soluzione per la Siria. Il generale prussiano Otto von Bismark diceva: “Non si mente mai come per una battuta di caccia, una donna o una guerra”Siria e armi chimiche. Quale verità? In questi giorni le dichiarazioni e le smentite riguardo all’arsenale chimico in possesso dalla Siria – e che potrebbero essere usato contro i civili – si rincorrono. La ‘BBC’ (attingendo a fonti del Foreign Office) riporta che la leadership di Damasco è pronta farne uso. Il regime dichiara invece di essere contrario all’uso di armi a base di gas contro la popolazione. Anzi, accusa il gruppo jihadista Fronte al-Nusra di controllare una fabbrica di cloro.

Sul terreno appare ormai chiara l’avanzata degli oppositori armati. Non solo al confine con la Turchia, ma anche intorno a Damasco. Gli Stati Uniti continuano ad esprimere la preoccupazione che le armi finiscano in mani estremiste. Ma questo, in parte, è già avvenuto. In uno scenario post-Assad quindi le incognite sono tante. I vari gruppi – o parte dei gruppi che compongono la resistenza armata – potrebbero continuare a combattere. La nuova coalizione eletta a Doha, è davvero in grado di controllare il territorio? Di far deporre le armi? E si dibatte sul ruolo della Russia. Sta allontanandosi dal regime? Mentre nel nord del Libano, a Tripoli, si acutizzano gli scontri fra fazioni pro e contro Bashar Al-Assad. Fonti libanesi parlano di una quindicina di morti nell’ultima settimana.

Dal web continuano ad arrivare tweet e video di cui è impossibile accertare la fonte. Anche i bambini non sfuggono alla strumentalizzazione. Bambini avvolti da bandiere del regime o dell’esercito siriano libero che guardano in telecamere, recitando slogan. E’ davvero l’immagine più triste.

di Antonella Appiano, in esclusiva per L’Indro: Islam politico e guerra dei media, riproducibile citando la fonte.