Mubarak
Dove sta andando l’Egitto?
Fra ondate di ultranazionalismo, autocensura della stampa indipendente, crisi economica, ‘demonizzazione dei Fratelli Musulmani’, in Egitto esploderà una terza rivoluzione? Abbiamo raggiunto, al Cairo, il Professor Gennaro Gervasio, docente di Storia e Politica del Medio Oriente all’Università Britannica per fare un punto sulla situazione.
I giovani di Piazza Tahrir della rivoluzione del gennaio 2011, non sembrano soddisfatti della situazione in Egitto. Di fatto sono stati esclusi di nuovo. Che cosa ne pensa?
Ci sarebbe innanzitutto da chiarire chi siano ‘i giovani di piazza Tahrir’. Una parte di questi avevano tentato la via della politica istituzionale, dei partiti quindi, per ritrovarsi però chiusi e delusi dall’asfissia del vecchio sistema politico egiziano, fatto di accordi sottobanco e di politica personalistica. Altri – compresi molti che non avevano partecipato alla Rivoluzione del 2011 e che si sono attivati solo contro i Fratelli Musulmani – avevano visto il movimento Tamarrod come luogo possibile per ripristinare il processo di cambiamento. Purtroppo, era chiaro che nel Tamarrod coesistevano, in maniera assolutamente opportunista, rivoluzionari, reazionari e ‘indecisi’. Ora quindi, per riassumere, la rivoluzione, intesa come cambiamento socio-economico ancora prima che politico, e riassunta nel famoso slogan ‘pane, libertà e giustizia sociale’ è schiacciata dalla tenaglia delle due forze o raggruppamenti contro-rivoluzionari (Fratelli Musulmani contro militari e reazionari), che si erano già coalizzati in maniera precaria, nel marzo 2011 per bloccare il processo rivoluzionario. E che, in questo momento, sono alla resa dei conti. I Fratelli, con le loro tattiche perdenti, stanno avendo chiaramente la peggio. Un atteggiamento autolesionista, direi, perché rafforza l’idea che li considera ‘terroristi’.
Si parla di un terzo movimento, una piazza che non si colloca né dalla parte dell’esercito né dalla parte dei Fratelli musulmani, sta veramente prendendo piede?
Il gruppo è formato da attivisti che si pongono come obiettivo quello di tornare ai principi originari del 25 gennaio 2011. Ideali di giustizia sociale quindi. Contro la violenza dell’esercito e contro il settarismo dei Fratelli Musulmani. Però è ancora piuttosto limitato.
Secondo lei il processo di islamizzazione di cui è stato accusato l’ex Presidente Morsi è stato davvero così grave? In realtà non era stata avviata una ‘dittatura religiosa’ con i Fratelli Musulmani al potere. Il tanto discusso articolo sulla licenza degli alcolici, per esempio, mirava a rendere più difficile la vendita degli alcolici, non ad abolirla, e non è stato mai applicato. Anche la Costituzione -fatta approvare in tutta fretta da Muḥammad Morsi, nell’autunno del 2012- non era così retrograda da implicare una trasformazione radicale, in senso islamico, dei costumi egiziani. La shari’a era la principale fonte della legislazione anche nella Costituzione permanente di Sadat del 1971, emendata in questo senso nel 1980 e valida fino alla caduta di Hosni Mubarak. Il problema, piuttosto, è stato quello della svolta autoritaria dell’ex Presidente Morsi. E’ prevalsa l’ala più conservatrice con il conseguente ‘golpe bianco’, la subordinazione della Corte costituzionale al Presidente. E l’accentramento del potere. La crisi economica è pesante. Dal gennaio 2011, l’Egitto ha visto alternarsi Governi di natura diversa, da quello militare a quello islamista, senza però assistere ad un miglioramento delle condizioni socio-economiche della popolazione. Il tasso di disoccupazione è sempre intorno al 13%, è la Banca Mondiale calcola che un quinto della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Senza dubbio la crisi non migliora con lo stato di emergenza e il coprifuoco. Il Cairo è una città che vive di notte. Ora il coprifuoco è a mezzanotte (e il venerdì l’orario è rimasto alle 19) ma le attività di ristorazione e commerciali si arrestano molto prima per dare modo alla gente di rientrare. Quindi in pratica alle 10, 10,30. E finché dura l’instabilità politica e i carri armati stazioneranno nelle strade, è impossibile che il turismo prenda piede. Secondo un portavoce del Governo, lo stato d’emergenza imposto in Egitto il 12 agosto, alla vigilia dello sgombero forzato delle piazze della protesta pro-Morsi, terminerà a metà novembre e non verrà prorogato. Vedremo.. Un altro nodo cruciale dell’Egitto: la libertà di stampa, com’è al momento la situazione? Si sta assistendo ad un incredibile fenomeno di autocensura della stampa indipendente. I giornalisti egiziani si sono uniti al coro della propaganda nazionalista. Il nazionalismo dilaga nelle strade del Cairo e la stampa indipendente, sembra affetta da uno ‘strabismo’ che impedisce di vedere. Meglio, a questo punto, la televisione o i media di Stato. Intanto i Cinquanta costituenti sono riuniti per riscrivere la Costituzione. Centinaia di studenti dell’Università islamica di al-Azhar al Cairo manifestano per il terzo giorno consecutivo contro il golpe dei militari che ha deposto l’ex presidente Mohammed Morsi. Una quarantina di studenti sono già stati arrestati ed è stata rinviata per la terza volta l’inaugurazione dell’anno accademico, per ragioni di sicurezza.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro Dove sta andando l’Egitto? (riproducibile citando la fonte)
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L’Egitto e l’Islam politico
Intervista a Massimo Campanini
Gli eventi in Egitto hanno riacceso il gran dibattito fra gli studiosi sulla ‘morte dell’Islam politico’ e sulla ‘fine dei Fratelli musulmani’. Un fallimento profetizzato già da Olivier Roy agli inizi degli anni ’90 e sconfessato dalla storia. Si sa che perdere una battaglia non significa perdere la guerra. E le analisi che mostrano un Islam politico alla fine del percorso, sono certo premature.
Fratelli d’Egitto
Chi sono i Fratelli Musulmani? Perché fanno così paura all’Occidente? I rapporti tra la Fratellanza e gli Stati Uniti
Bisogna conoscere il passato, la storia, ma anche seguirne i cambiamenti, il flusso, senza fossilizzarsi, per provare a capire qualcosa della realtà in cui viviamo. Scrive polemica, la storica e analista politica Paola Caridi a proposito dei Fratelli Musulmani: «L’interpretazione, la vulgata, varia dal ‘sono terroristi, sono Al Qaeda, sostengono Ayman Al Zawahri’ al ‘fanno il doppio gioco, non usano la violenza ma la userebbero, e se anche non la usassero, farebbero un califfato, uno stato islamico’».
Un passo indietro. Il movimento dei Fratelli Musulmani è stato fondato in Egitto nel 1928 da Hasan al-Banna. E segna la nascita del moderno Islam politico. Un piccolo gruppo quello degli Ihkwan, che si è trasformato presto in una potente organizzazione, da sempre osteggiata e combattuta dai regimi arabi. L’ideologia della Fratellanza è basata sulla concezione secondo cui l’Islam è la soluzione a tutti i problemi individuali, sociali e politici. E il successo del Movimento si spiega proprio con la combinazione di questi fattori. Sul piano ideologico Massimo Campanini – esperto in pensiero politico islamico- ricorda il filosofo egiziano Hasan Hanafi che sosteneva: «l’Islam contemporaneo è vivo perché è l’unico sistema politico e ideologico che non si è arreso alla visione del mondo dominante imposta dall’Occidente». I Fratelli Musulmani «rappresentano un movimento conservatore e tradizionale ma non radicale, attento alle classi sociali deboli. La Fratellanza musulmana mira ad una “islamizzazione che parte dal basso“, su base popolare, attraverso l’educazione, la propaganda negli strati sociali e rifiuta la lotta armata».
Hassan al Banna, fondatore dell’Ikhwan, è certo ancora molto importante per i membri della Fratellanza ma decenni di evoluzione della dottrina ne hanno limato intransigenze e anacronismi. C’è stata una modernizzazione necessaria. L’organizzazione rimane un movimento islamico fedele alla tradizione ma attento ai cambiamenti epocali: dogmatismo religioso unito al pragmatismo e alla flessibiltà. Ha mantenuto il sistema socio-economico che sta alla sua base, mirato a fornire una risposta reale alla fascia delle aeree degradate con servizi sanitari e di educazione. La Fratellanza in Egitto ha infatti da sempre sostituito uno stato sociale inesistente. Per farlo si è servito anche delle Moschee, che sono diventate così uno strumento di diffusione delle idee religiose e politiche. Ora al passa parola attraverso la moschea si aggiunto quello on line. Con una strategia comunicativa proliferata sul web 2.0, una maggiore attenzione alla propria immagine. Un linguaggio più vicino ai giovani. Pur non tradendo il caposaldo dell’importanza della Sharia (la legge islamica).
Un altro mito da sfatare: la credenza diffusa che i rapporti fra Washington e la Fratellanza egiziana, siano nati da poco, sull’onda delle ‘primavere arabe’. Invece, senza contare che l’Organizzazione era già presente negli Stati Uniti dagli anni Cinquanta, è necessario ricordare che tutte le amministrazioni Usa, anche quelle di Bush hanno sostenuto i regimi al potere negli Stati arabi senza mai tagliare i ponti con i Fratelli. Sempre Paola Caridi cita uno dei tanti cablogrammi resi pubblici da Wikileaks. E’ del 2006 e arriva dall’Ambasciata del Cairo. «Il regime di Mubarak», dice il cablo «ha una lunga storia di far aleggiare davanti a noi, la minaccia dell’uomo nero-Fratellanza Musulmana. O me o un regime islamista, magari simile all’Iran khomeinista. O me oppure il caos. O gli affari con me, oppure scordatevi l’Egitto».
In realtà gli Stati Uniti si sono trovati impreparati alla svolta rapida in Egitto. E lo ha dimostrato il Presidente Barak Obama indeciso fino all’ultimo se sostenere la Rivoluzione egiziana in nome dei valori universali americani della libertà o continuare ad appoggiare Mubarak. Ma con la Fratellanza al potere, Obama ha dovuto per forza stringere un patto di alleanza per proteggere Israele. In questi ultimi tempi, la luna di miele sembra raffreddata. Obama è preoccupato per la tensione sociale che non si allenta e che non sembra garantire una stabilizzazione del Paese. Diffida della Fratellanza ma non può farne a meno. Almeno per ora.
Antonella Appiano per L’Indro Chi Sono i Fratelli Musulmani (riproducibile citando la fonte)
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Chi è e come vive il cambiamento politico il ‘popolo della città-cimitero’
(Il Cairo) “Per me non è cambiato nulla. La gente continua a morire come prima. Anzi forse più di prima”, risponde placido e un po’ cinico, Ibrahim, che di professione fa l’assistente becchino nella città-cimitero del Cairo, conosciuta come la città dei morti.
Ibrahim vive nella piccola Qarafa (cimitero in arabo) nella zona di Sayyeda Nafisa. “Qui”, aggiunge,“ ho allevato sette figli. Ormai sono tutti diplomati o laureati e, tranne la figlia più giovane, abitano fuori da al Qarafa. Ma io qui sto benissimo. Sono a due passi dal centro. Qui viveva mio padre e ancora prima mio nonno”, continua Ibrahim che -jellabya marroncina, sandali di cuoio- è seduto comodamente in mezzo alle tombe, un tavolino accanto con un bicchiere di thé.
Ibrahim sa che qualsiasi governo salga al potere in Egitto, garantirà sempre acqua e luce agli abitanti di al – Qarafa anche se l’inurbamento nell’area è stato abusivo.
“Ma d’altra parte”, commenta l’amico Ahmed, “l’abusivismo fa parte di questo Paese”.
Il numero degli abitanti di al –Qarafa non è accertato. Si calcola attorno alle 200mila persone, secondo altre stime di più. L’antropologa italiana Anna Tozzi di Marco -che ha vissuto nella città dal marzo 1998 ad ottobre 2005 per condurre studi e ricerche, spiega che “il cimitero era nato nel 642 d.C. ai piedi delle colline di Moqattam, ad est di al Fustat (l’antica Cairo), come primo nucleo di sepoltura dei conquistatori arabi. Ogni dinastia araba succedutasi ha dotato poi la capitale di un nuovo cimitero, caratterizzandolo con edifici religiosi e civili. Per questo nell’area si trovano molti preziosi mausolei e monumenti preziosi”.
Al Qarafa (viene diviso in piccolo e grande), è composto da 7 quartieri, e si estende per oltre dieci chilometri all’estrema periferia orientale della metropoli. Ai piedi della collina della Moqattam, proprio vicino alle tangenziali a otto corsie che girano attorno capitale egiziana. Un posto, in centro, come ha detto Ibrahim. Siamo, infatti, poco distanti dalla Cittadella, dalla grande moschea di Al-Azhar e al suq “Khan al-Khalili. Entrando dalla Piazza di Sayyeda Nafisa, dove sorge la moschea omonima, si attraversa una zona piuttosto povera dove vivono mendicanti. Molti ricavano qualche moneta nell’assistere i visitatori della moschea. Nelle viuzze sabbiose che si snodano fra i sepolcri, gabbie di polli e carretti trainati dagli asini. I bambini giocano a nascondino tra le tombe. Una donna accovacciata per terra in un angolo, accende un fuoco. Un’altra mi vuole vendere un libretto di preghiere. “C’è chi abita le capanne, poi trasformate in casette, dei custodi delle tombe; chi invece ha occupato abusivamente i mausolei abbandonati; chi vive nelle tombe di famiglia; e chi ancora in case costruite sui resti delle tombe. Molti hanno ottenuto il domicilio in maniera legale, attraverso una specie di bando pubblico, gestito dai becchini del posto, per l’assegnazione degli edifici mortuari senza proprietari” spiega Ahmed.
Nel pomeriggio del giovedì, e fino alla tarda serata del venerdì, il cimitero si riempie di gente. E’ il momento della settimana in cui, secondo la tradizione locale, le famiglie vanno al cimitero per rendere omaggio ai cari defunti. “E sulle tombe s’ improvvisano picnic e piccole feste in onore dei morti” aggiunge Ahmed.
Procedendo dalla moschea di Sayyda Nafisa verso piazza Aisha, il piccolo Qarafa cambia. Via via appaiono negozi di abbigliamento, di alimentari, botteghe di artigiani, come un qualsiasi quartiere popolare della città. “Qui molte case sono nate non sulle tombe ma sulle stalle e sugli abbeveratoi” racconta Sharif, un cinquantenne titolare di una bottega di ferramenta. Sharif è contrario al nuovo Governo. “Con il presidente Mubarak stavamo meglio. Oggi i guadagni sono dimezzati”. E’ polemico. “Ma non partecipo neppure alle rivolte. Se si continua così, i turisti abbandoneranno completamente l’Egitto. Per fortuna non devo pagare l’affitto. Sono nato qui e questa casa apparteneva a mio padre e prima ancora a mio nonno”. Ma chi dovrebbe andare al Governo? Alza le spalle. “Non m’interessa chi. Basta che il Paese si stabilizzi e che ritornino i turisti”. Si forma un gruppetto e incominciano a discutere animatamente. Che cosa succederà, chiedo ancora. “Non lo sappiamo. A noi interessa che ci venga riconosciuto il diritto di vivere nelle nostre case”. Ormai da anni le autorità hanno concesso un contratto regolare di proprietà a molti abitanti di Qarafa. Le autorità egiziane preferiscono non interferire nella gestione della necropoli. Che è una specie di ‘zona franca’. Però garantiscono i servizi sociali di base: l’acqua, l’elettricità, la scuola e le fognature. Ci sono anche un piccolo ospedale, una scuola e un piccolo ufficio postale.
Proseguendo il cammino, a due passi dalla bottega di Sharif, l’animato mercato di Sayyda Aisha e poi ancora antichi alloggi per i sufi (mistici islamici); piccoli e grandi palazzi nobiliari; ribat (ospizi per i bisognosi) e ostelli per i pellegrini. Le autorità cariote hanno sempre cercato di ‘nascondere’ ai turisti questa parte della città. Ma la zona non è per nulla pericolosa. “Ci abitano poveri senza sostentamento (circa il 20%) ma anche, appunto, commercianti e impiegati del settore privato. E il 35% lavora nella città cimitero” commenta ancora Ahmed.
Qualche domanda ad Anna Tozzi di Marco.
Com’è nato il progetto di ricerca?
Dopo due viaggi in Egitto e dopo la postlaurea in antropologia, ho consegnato il progetto al Ministero degli Affari esteri italiano con richiesta di borsa di studio. L’ho ottenuta nel 1998 ed è iniziata la mia avventura.
L’esperienza ti ha cambiata?
Ho vissuto a Qarafa per 7 anni. L’esperienza ha fatto maturare una maggiore consapevolezza di me stessa, della mia sicurezza personale, maggior professionalità, molta umanità.
Quali sono state le difficoltà?
All’inizio c’è stato qualche problema d’incomprensione con qualche abitante con cui avevo rapporti economici, per esempio, il padrone di casa. Problemi dovuti all’immagine stereotipata che hanno degli stranieri. Ma in generale avevo ottimi rapporti con la gente del posto. Gli unici problemi li ho avuti con la polizia…
Un lavoro come il tuo avrebbe avuto più riconoscimenti rispetto all’Italia?
Sono fuori dall’Accademia universitaria e da ogni altra istituzione ufficiale, quindi non riconducibile ad alcun ‘patrono’. A parte la borsa ho dovuto impegnami moltissimo in prima persona, anche dal punto di vista economico, per portare avanti il progetto di ricerca .In genere, tranne poche eccezioni, gli antropologi italiani accademici in generale m’ignorano. Ma io continuo a fare conferenze, mostre fotografiche. Il mio obiettivo è anche quello di sfatare i pregiudizi e le false notizie sulla comunità residente nel cimitero e nel restituirgli una rappresentazione dignitosa e non folcloristica.
Intanto chiedo ancora a un artigiano, Mahmud, che si dichiara contrario al Presidente Morsi, e anzi, è “convinto che non resterà al potere a lungo”, per quale partito vorrebbe votare. “Non so”, risponde “ce ne sono tanti”.
In esclusiva per Lindro, riproducibile citando la fonte.
per L’Indro: Chi è e come vive il cambiamento politico il ‘popolo della città-cimitero’
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Embargo sì, embargo no
Il sostegno ai ribelli da parte dell’UE
Timori di un’estensione del conflitto siriano su scala regionale. E la tragedia di un popolo
Sei stata in Siria? Davvero? Adesso durante la guerra?” Ahmad è stupito e vuole conferma. “È guerra vero?”. Ahmed è un commerciante, un nostalgico dell’”era Mubarak” e quando ci incontriamo mi racconta soddisfatto delle manifestazioni di oggi a Nasr City, lungo la High Way Street. È convinto che gli egiziani abbiamo bisogno di un “uomo forte” al governo. Ed è contrario all’attuale presidente Morsi. Fa capire che parteggia per il presidente Bashar al-Assad anche se non osa dirmelo apertamente. Però chiede: “E perché l’Europa vuole mandare armi in Siria per gli oppositori?”.
In realtà oggi dopo il vertice dell’Unione Europea a Bruxelles, il cancelliere tedesco Angela Merkel ha dichiarato che la “la situazione in Siria è difficile e l’ipotesi di togliere l’embargo sulle armi deve essere discussa dai ministri degli Esteri della Unione Europea a Dublino, settimana prossima”. Angela Merkel ha aggiunto “Noi abbiamo delle riserve”. E così sembra per altri 27 Paesi UE . Il Presidente francese Hollande ha invece ribadito la sua disponibilità a fornire armi agli oppositori siriani. “Con o senza gli alleati europei” ha aggiunto. Anche la Gran Bretagna è favorevole a togliere l’embargo sulle armi in Siria per aiutare l’opposizione al regime degli Assad.
I timori espressi dalla Germania e altri Paesi dell’Unione europea riguardano la possibilità che nuove armi vadano ad aggravare ancora di più la situazione sul terreno, finendo nelle mani dei numerosi gruppi estremisti presenti in Siria. Dal “Fronte al Nusra” (gruppo jihadista, inserito dagli Usa tra quelli terroristi) al gruppo dei “Volontari libici” (sotto l’egida del Consiglio Nazionale libico) o a quello degli “Uomini liberi della Grande Siria” (brigate salafite).
Se la guerra si “regionalizza” si svilupperanno facilmente effetti a catena diretti o indiretti. I Paesi esposti al contagio sono tanti: Libano, Giordania, Cisgiordania, Iraq, Turchia. Per non parlare della minaccia più grave. Da tempo infatti si sa che il conflitto siriano potrebbe innescare un confronto fra Iran e Israele.
La diplomazia europea continua la fase di stallo. Conflitto interno, interventi esterni. Da una parte, la possibilità concreta che – anche dopo la caduta del regime – la guerra civile continui e inneschi altre guerre. Dall’altra, la tragedia di un popolo che si consuma, giorno dopo giorno, da due anni. Senza un barlume di luce.
di Antonella Appiano, in esclusiva per L’Indro: Embargo si, Embargo no, riproducibile citando la fonte.
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La Primavera araba vista da qui
Osama, 28 anni: “i valori dell’Islam non sono in contraddizione con la Democrazia”
“Dopo la caduta di Ben Alì sono diventato un ’ex’ rifugiato politico. Me lo ripeto spesso, ’ex’, e provo una sensazione meravigliosa, difficile da esprimere”, racconta Osama Al- Saghir. Ha 28 anni ed è arrivato in Italia, a otto, insieme alla famiglia perseguitata in Tunisia dal regime.
Seconda generazione, ex presidente dei Giovani Musulmani d’Italia, Osama continua a vivere in Italia, alternando frequenti soggiorni in Tunisia. Infatti è stato eletto, nella circoscrizione Italiana dei tunisini all’estero, fra le fila del partito vincente, En-Nahda e ora fa parte dell’Assemblea Costituente. E’ giustamente orgoglioso e consapevole “del contributo che può portare al suo Paese di origine”.
“Qui, sono cresciuto in una società civile attiva, un fattore indispensabile per la democrazia. Come i valori della libertà e della dignità, totalmente assenti nella Tunisia di Ben Alì”. Osamasottolinea l’importanza per noi occidentali nel capire “che i nostri valori, i valori dell’Islam non sono in contraddizione con la Democrazia. En-Nahda è un partito d’ispirazione islamicaed è stato scelto e votato dal popolo in libere elezioni”.
I ragazzi 2G vivono una doppia identità e sono portatori di due culture. Questo fattore costituisce una ricchezza anche se a volte crea difficoltà. L’Italia è stato sempre un Paese un po’ razzista e ora, per di più è ’invecchiato’ e in crisi economica. I paesi arabi dai quali provengono le famiglie dei ragazzi 2G, stanno invece vivendo una nuovo momento storico, una fase di cambiamento, che li rende diversi da come erano quando i loro genitori sono partiti.
Nordafrica, è solo il primo tempo.
Libia, Siria, Tunisia, Egitto: dopo la rivolta dei popoli il finale resta da scrivere.
All’inizio sembrava un film epico. Il coraggio del popolo senza armi, forte della voglia di essere libero. Di abbattere regimi corrotti, incapaci di assicurare futuro e speranze. Di garantire eguaglianza economica, giustizia.
Un fermo immagine: Mohamed Bouazizi si dà fuoco, il 17 dicembre 2010, davanti al municipio di Sidi Bouzid, in Tunisia. Ha ventisette anni e non riesce più a sopportare una vita di soprusi e umiliazioni. Dopo il suo gesto, pubblico e estremo, prendono il via le prime proteste contro presidente Ben Ali, al potere dal 1987. Un’altra immagine, Egitto 25 gennaio.E’ il ’Giorno della rabbia’, dell’ invasione pacifica di piazza Tahrir, al Cairo. Il montaggio diventa veloce. Ragazzi, bambini, famiglie. Donne che abbracciano e baciano soldati che rifiutano di difendere Mubarak, il presidente in carica dal 1981.
Il 14 gennaio, meno di un mese dall’inizio della rivolta, Ben Alì, lascia il Paese e si rifugia in Arabia Saudita. In Egitto, dopo 13 giorni dal Giorno della rabbia Hosni Mubarak abbandona la capitale per Sharm el-Sheikh. Tunisia ed Egitto, in pochi giorni, hanno cambiato la propria storia. E in tutto il Nord Africa ed il Medio Oriente, come increspature che si trasformano in onde, dilagano le proteste e le rivolte.
L’Occidente resta a guardare. Meravigliato. Nessun analista lo aveva previsto. C’è chi partecipa entusiasta. Libertà, stato di diritto, democrazia. Perché dovremmo negare ad altri ciò che abbiamo sempre propagandato?
Ma c’è anche chi si preoccupa. In fondo abbiamo sempre parteggiato per questi regimi che chiamavamo ’moderati’. Una difesa contro ’la minaccia del terrorismo’.
Le immagini cambiano con la Libia dove le proteste arrivano il 16 febbraio. Gheddafi però non è un leader al tramonto come Ben Alì. Tripoli, la Capitale, non è contro di lui. E come paragonare gli eventi di un Paese antico come l’Egitto con quelli di Paese ancora diviso in tribù, come la Libia? E’ subito Guerra civile. Ora le immagini sono confuse. Un MinorityReportage. Un caos raccontato in modi differenti. Informazione, controinformazione sulle fosse comuni, sul numero dei morti. Il film diventa un western, in cui si dividono i buoni e i cattivi. E si addebitano le atrocità, di volta in volta, ai lealisti del regime, oppure ai rivoltosi.
Confusione anche in Siria dove le testimonianze reali e il mondo di Internet si sovrappongono. Un film nel film. E Amina, la blogger sequestrata, l’eroina della resistenza si scopre essere invece, Tom, un 40enne americano. In Siria, però, dopo sei mesi dall’inizio delle rivolte, il film sembra a un punto morto anche, se per paradosso, la trama cambia ogni momento. Lasciando il finale aperto.
Non così in Libia. Il film è trascinante. L’Occidente si rianima .Non si decide in tempo per una No Fly Zone e Gheddafi sta per riconquistare Misurata. E’ Odissey Dawn. Chi sono i cattivi ora? I bombardamenti NATO colpiscono obiettivi militari libici. Ma anche civili. Gli insorticonquistano l’aeroporto di Misurata, i raid aerei su Tripoli si fanno intensi, Gheddafi non si arrende. Però la fine è vicina. Il 21 agosto, i ribelli entrano a Tripoli dopo 6 mesi di combattimenti e 42 anni di regime.
Fermiamoci un momento per fare un punto sulle immagini che stanno scorrendo sullo schermo. Anche se ognuno di noi guarda un film con occhi differenti. Quelli didell’opinionista Toni Karon, vedono, come racconta al ’Times’, una controrivoluzione.
I veri protagonisti, quelli che sono scesi nelle piazze, saranno sostituiti da nuovi attori.Entreranno in scena nazioni straniere, violenze settarie, etniche, tribali. O strutture di potere che già esistevano. In Egitto le voci più laiche e progressiste del ’Movimento del 6 aprile’ e del ’Kifaya’ si sentono tradite. Di fatto le redini politiche sono passate ai militari della giunta, al governo dalle dimissioni di Mubarak.
Le elezioni promesse e rinviate, sono state fissate per novembre, ed escludono la presenza di Osservatori internazionali. Ma secondo Kawkab Tawfiq, italo egiziana, copta, “saranno ritardate a maggio. Si doveva andare al voto subito. Questo stallo acuisce la tensione. Nel Paese è aumentata la delinquenza comune. La legge elettorale non è stata ancora riscritta e non è stato abrogato dalla costituzione l’articolo che vietava la formazione dei Partiti religiosi”. Tutto come prima?. “In realtà i Fratelli musulmani si presenteranno alle elezioni insieme a rappresentanti copti, in un partito nuovo, ’Libertà e giustizia’ che non esclude le donne dalla Presidenza”. Un partito innovatore dunque? “Non mi sembra, risponde, “perché l’obiettivo è di ripristinare la shari’a”. Kawkab è sicura. I partiti islamici, dopo anni di repressione vogliono ritornare alla ribalta.
In Tunisia si voterà il 23 ottobre. Sono state presentate 1700 liste, di cui circa il 40% di ’indipendenti’. Gli analisti sono divisi. Dinamismo nella partecipazione politica dei cittadini? O la conferma che la realtà sociale del Paese non è cambiata? Saranno premiati i soliti noti, senza badare alla sfera ideologica? Intanto anche in Tunisia l’esercito controlla il paese erumors insistenti denunciano interessi economici del Primo ministro Caied Sebbsi nella vendita degli alcolici. Un settore che, prima della ’Rivoluzione del Gelsomino’ era gestito dalla famiglia della moglie del Presidente Ben Alì. Cambiamenti di facciata dunque? Regimechange?
In Libia, secondo le dichiarazioni rilasciate alla Bbc da Guma al-Gamaty, rappresentante delCNT (consiglio di transizione libico) a Londra, il Cnt sta per trasferirsi a Tripoli e ha in programma un processo di transizione preciso. Il paese sarà guidato per 8 mesi dal Cnt, seguiranno la stesura di una nuova Costituzione e, dopo 20 mesi, le elezioni.
Ma sulla Libia pesa ancora un interrogativo. Gheddafi dal nascondiglio segreto continua a lanciare messaggi di incoraggiamento ai suoi sostenitori. La guerra tribale è veramente finita? E, senza alimentare allarmismi, bisogna ricordare che, responsabile della sicurezza di Tripoli, è stato nominato Abdel Hakim Belhaj. Fondatore del Gruppo combattenteislamico, Abdel era stato arrestato come terrorista dalla Cia in Malaysia nel 2004, rinviato in Libia e rimesso in libertà nel 2010. Un garante particolare.
Infine sulla scena, all’ultimo come i grandi attori, compare ancora un personaggio, il Premier turco Erdogan che tre giorni fa ha iniziato una tournée nei tre principali Paesi delle Primavere arabe, acclamato come una star. E lui, per ora, l’unico leader di uno stato democratico musulmano e laico e come tale si è proposto. Come modello e punto di riferimento.
Il film non è finito.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/Nordafrica-e-solo-il-primo-tempo (riproducibile citando la fonte)