Multiculturalismo

Voci siriane

Shady è nato in Italia, a Milano, nel 1988, da padre siriano e madre italiana. Il padre,  esiliato dalla Siria, perché da giovane, era stato dirigente del partito nazionalista arabo, ha riavuto, nel 1997, il permesso di rientrare in Patria, insieme alla famiglia.

Italiano per cittadinanza quindi  ma portatore di un’altra cultura, quella araba, Shady è anche l’erede di una storia  particolare, quella della famiglia paterna. Un intreccio interessante: i ricordi paterni e il suo immaginario di bambino su un mondo lontano ma nello stesso tempo presente. Shady ha pensato di scriverlo e ne è venuta fuori una raccolta di racconti “Voci di anime” (Voci di anime, Marietti Editore).

Un libro da leggere perché ci permettere di capire meglio la realtà dei nuovi italiani. Di un italiano-siriano come Shady. E anche una testimonianza importante proprio ora che la Siria è al centro dell’attenzione del mondo e dei media, che troppo spesso, non comprendono la complessità del Paese.

“Anche voi foste stranieri” di Antonio Sciortino: per i non italiani il posto c’è. C’entra il saper fare, ma anche il sorriso

In Italia quasi 13mila infermieri provengono da paesi extracomunitari. Oltre 5mila dall’Europa, quasi 3.500 dall’ Asia e altrettanti dall’Africa, scrive nel suo post  Antonella Appiano, che ha letto per noi il saggio di Antonio Sciortino. Per gli stranieri c’è posto. Anzi, sono 181mila i posti in cui le nostre aziende prevedono di inserire lavoratori extracomunitari nel 2010 secondo i dati diffusi  la settimana scorsa dalla Fondazione Moressa, sempre molto attenta a questo tema, elaborando i numeri di Excelsior-Unioncamere sui fabbisogni occupazionali. Si tratta del 22% sul totale delle assunzioni previste dalle imprese, che sono 802mila quest’anno, italiani e non, 20mila in più del 2009, di cui solo il 12,6% richiede la laurea, percentuale storicamente e tragicamente esigua. Per la maggioranza, i mestieri per i quali uno straniero è preferibile sono a tempo determinato (ma il numero di questi contratti è cresciuto anche in totale). Però non sono lavoretti, e neanche solo lavoracci, quelli offerti ai candidati stranieri: riguarderanno infatti profili con esperienza nel settore dei servizi alle persone e con qualifica nell’ambito di commercio e servizi. Specializzati ed esperti: cadiamo in pieno nella fascia dei profili che le aziende dichiarano difficili da reperire, un gap che nel 2010  corrisponde al 26% degli inserimenti programmati.
A credere ai dati, i lavori che gli italiani non vogliono più fare e per cui non si sono formati (non sempre per colpa loro) sono quelli che partono da un bagaglio tecnico solido e impegnativo da acquisire, con poco glamour per i ragazzi autoctoni e le famiglie  (sono stranieri anche i nuovi italiani, cioè le seconde generazioni, ricordiamolo…), o da quelle competenze non formalizzate che non si studiano da nessuna parte, perchè si acquistano solo lavorando.Tra cui ci sono la disponibilità, l’ascolto e l’attenzione al contesto e alle persone, aggiungerei anche la gentilezza: qui gli stranieri ci battono, basta frequentare per un giorno un ospedale. Noi italiani li abbiamo perduti per strada?
Ad Antonio Sciortino, direttore di “Famiglia Cristiana”, bastano una trentina di pagine per smantellare, nel suo ultimo libro  “Anche voi foste stranieri,” con cifre e dati oggettivi, la costruzione dei cliché su immigrati e lavoro.  Tabelle e statistiche li hanno fornitigli enti di ricerca. Ma i numeri da soli non bastavano: c’era chi li leggeva senza capire. E chi non li leggeva neppure. Così Antonio Sciortino nel libro – reportage – che naturalmente non parla solo di lavoro, ma affronta senza reticenze tutti i temi connessi con l’immigrazione e la multiculturalità, le posizioni assunte dalla classe politica e dalla Chiesa e il ruolo dell’informazione – ha fatto chiarezza”.

In Lombardia cresce il lavoro stabile e autonomo degli stranieri ma la crisi si fa sentire

«La cultura dell’integrazione passa attraverso l’accoglienza, l’inserimento lavorativo, la retribuzione economica corretta, il rispetto». Tutti fattori indispensabili ai fini di un saldo positivo nelle parole di Vincenzo Cesareo, Coordinatore Generale dell’ ORIM (Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità) mentre Rosella Petrali, alla Direzione Generale ” Famiglia e Solidarietà Sociale” Regione Lombardia, sottolinea più volte l’importanza della conoscenza dell’altro . Siamo al convegno di presentazione del rapporto “Dieci anni di attività dell’Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la multietnicità al Centro Congressi Fondazione Cariplo di Milano , 27 2 28 gennaio 2010, due giornate di lavori. ”

I dieci anni di analisi dell’Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la multietnicità hanno rilevato, per esempio, un aumento della percentuale d’impiego a tempo indeterminato. E dello sviluppo del lavoro autonomo e imprenditoriale. Naturalmente, la crisi economica in corso, non ha risparmiato gli immigrati. Ma – per una volta- il mercato del lavoro è stato leggermente più favorevole alle donne (il tasso di disoccupazione femminile e dell’1,4% inferiore rispetto a quello maschile).

Immigrazione&Lavoro-Un modello lombardo d’integrazione

Negli ultimi 9 anni il numero degli immigrati in Lombardia è quasi triplicato: da 420mila presenze nel 2001, a 1 milione e 170 mila al 1° luglio 2009. Nella regione è concentrato quindi un quarto degli immigrati (regolari e non) che vivono nel nostro Paese. Tra le 190 nazionalità, ai primi posti la Romania (169 mila persone), Il Marocco (127,5mila) e l’Albania (115,8mila). La Regione ha organizzato un convegno di due giorni al Centro Congressi Fondazione Cariplo di Milano (il 27 gennaio 2010 prima giornata dei lavori) per presentare il rapporto «Dieci anni di attività dell’Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la multietnicità (ORIM) ».
«L’immigrazione è un fenomeno dinamico- rileva Vincenzo Cesareo, Coordinatore Generale ORIM- si consolida e nello stesso tempo si evolve». Le cifre rapportate all”indice d’integrazione della popolazione immigrata ne mettono in risalto la crescita costante. L’indicatore usato per misurare l’intensità (zero punti in caso di assenza d’integrazione, 1 punto in caso di massima) è salito da un valore medio di 0,40 del 2001 allo 0,61 del 2009.
I dati testimoniano il cambiamento (positivo) in Lombardia? 71,5%, gli immigrati che si dichiarano occupati (senza considerare la regolarità o meno del contratto di lavoro). In crescita gli stranieri che si rivolgono all’assistenza medica di base in caso di malattia: 63,8%, contro il 55% del monitoraggio del 2004. E gli studenti: ben 151.937, durante l’anno scolastico 2008/2009, circa un quarto di tutti gli alunni con cittadinanza non italiana presenti nel nostro Paese. In aumento anche i ricongiungimenti familiari. Sono il 43,4%. I permessi per lavoro (55,5%). «Non dimentichiamo poi che la popolazione straniera immigrata è stata il vero motore della crescita demografica lombarda nel XXI secolo- aggiunge Gian Carlo Blangiardo, Membro del Comitato Scientifico dell’ORIM- e che il percorso stesso della crescita fa emergere numerosi “spie” di radicamento nella società».

Ragazzi musulmani 2G e i media

Il grande orientalista Edward Said ha scritto nel 1997 “ la televisione è la fonte principale dei pregiudizi sull’Islam”. È ancora vero? Ed è vero in Italia? Come la pensano i giovani musulmani di Seconda Generazione? Da una veloce “indagine”, durante il Convegno, purtroppo la risposta è affermativa. “I fatti e le opinioni vengono spettacolarizzati” dice Yassine Lafram. Si mettono in luce solo casi limite. I drammi”. Così si alimentano i pregiudizi. I sospetti. La confusione.
I ragazzi vorrebbero essere descritti in maniera più veritiera. Realistica. Anche sui quotidiani a larga diffusione. “Spesso c’è dissociazione fra immagine e testo” mi fa notare Fatima Habib Eddine. Per esempio, la fotografia con una donna con il niqab (velo che copre tutto il viso, lasciando scoperti solo gli occhi) mentre il testo racconta la storia di una musulmana che trova difficoltà a trovare lavoro perché indossa l’hijab, cioè il foulard che copre solo i capelli”.
Un altro peccato dei mass media italiani nei confronti dei giovani musulmani? Quello di omissione. Vengono ignorati fatti “positivi”, proprio perché non fanno notizia. Paolo Branca- professore di Lingua e Letteratura araba all’Università Cattolica di Milano racconta di aver preparato con alcuni ragazzi musulmani un dvd “Conosciamo l’islam: i giovani musulmani italiani”. “Uno strumento propedeutico pensato per scuole, biblioteche, parrocchie, centri culturali”. Nel dvd c’erano anche le riprese di una significativa iniziativa di alcuni giovani musulmani. “Una piccola rappresentanza ha scelto, infatti, di portare la solidarietà della comunità islamica agli ebrei che ogni anno ricordano la partenza, dalla stazione di Milano Centrale, dei convogli per i campi di sterminio. A capo della delegazione, il secondo anno dell’iniziativa, un palestinese”. Ma di questo non ha parlato né scritto nessuno…

di Antonella Appiano per IlSole24ore – jobtalk.blog.ilsole24ore.com

Seconde generazioni o «ragazzi in bilico»: i giovani musulmani italiani si raccontano a Torino

Chi sono e come vivono la vita di tutti i giorni i giovani musulmani cresciuti in Italia? Quali sono i problemi e le difficoltà che devono affrontare? Le aspirazioni, le ambizioni? Nati nel nostro paese o arrivati qua molto piccoli, hanno frequentato le nostre scuole e si sentono italiani, anche se spesso non lo sono dal punto di vista formale. Questo sicuramente un primo elemento emerso con forza dal Convegno Nazionale “Musulmani2G- Diritti e doveri dei giovani musulmani di seconda generazione” che si è svolto a Torino, il 1 e 2 dicembre, al Circolo dei Lettori di Palazzo Granieri della Roccia. Promotori: CIPMO (Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente) in collaborazione con l’Associazione Giovani Musulmani italiani, l’istituto di Studi Storici Gaetano Salvemini e l’Associazione FIERI (rete di studi interdisciplinari per lo studio dei fenomeni migratori e l’inclusione delle comunità straniere).

Fatima Zahra Habib Eddine, è di origini marocchine, ha 26 anni e dopo la laurea in Scienze Politiche a Torino, sta seguendo a Londra un Master in European Business all’European School of Management. Mi racconta le difficoltà, durante il periodo universitario, per trovare qualche lavoretto a causa dell’hijab. “Anche se non ero a stretto contatto con il pubblico, mi veniva sempre chiesto di levarlo”. Ricorda una sola esperienza positiva. Un lavoro da segretaria. Chi mi ha offerto il posto, una donna, mi ha detto” Non è importante come ti vesti. Per me contano solo l’impegno e la capacità”. Fatima che si occupa anche della comunicazione e dei corsi di formazione dell’Associazione dei Giovani Musulmani d’Italia, sottolinea come il problema della cittadinanza crei discriminazioni e limitazioni nel lavoro “Per esempio, non puoi partecipare ai concorsi per amministrazione pubblica”.
Essere cittadina italiana, per Fatima significa poter partecipare: alla vita politica, pubblica.”Comunque nonostante le difficoltà e le delusioni continueremo a lottare anche se ci vengono negati i diritti. Perché i diritti non sono negoziabili”.