Nato

Minireport Esteri - ConBagaglioLeggero di Antonella Appiano

1 dicembre 2014 : Minireport Esteri

#Minireport_esteri. Non solo Medio Oriente. Le dimostrazioni a #HongKong, con scontri fra polizia e manifestanti, oggi hanno costretto le autorità a chiudere gli uffici del Governo. Ancora oggi
#VladimirPutin arriva ad #Ankara per migliorare i rapporti commerciali con la Turchia. Non si parlerà di #Siria e #Crimea: Erdogan ha criticato Putin per il sostegno ad Assad, però la russa Rosatom sta costruendo la prima centrale nucleare turca.
I ministri degli esteri della #coalizioneantiIs (Stato Islamico) s’incontreranno mercoledì a #Bruxelles con John Kerry, mentre continuano i bombardamenti sui milizaini. Previsto per domani vertice #Nato: novità sulla situazione ucraina? (fonti: Guardian,Reuters, Moscow Time)

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La tensione si allenta fra Damasco e Ankara.

La Siria si scusa e annuncia l’apertura di un’inchiesta

La tensione si allenta fra Damasco e Ankara

Difficile ipotizzare una soluzione diplomatica. Il premier turco Erdogan vuole il supporto della Nato

Cosa succederà ora tra Turchia e la Siria? Damasco ha chiesto scusa ad Ankara e annunciato “l’apertura di una inchiesta”. Da due settimane al confine turco siriano sono in corso combattimenti fra l’esercito regolare e gli oppositori. Non è quindi chiaro chi abbia sparato il tiro di mortaio che ha colpito, l’altro ieri, il villaggio di Akcakale, causando vittime civili. La Turchia ha risposto bombardando la provincia settentrionale di Idlib ma nel pomeriggio ha smesso di attaccare con l’artiglieria le postazioni dell’esercito siriano. E anche se il Parlamento turco ha approvato la richiesta di Erdogan “di condurre operazioni militari fuori dal confine nazionale”, Ankara rassicura la comunità internazionale che non intende agire da sola contro la Siria. E su questo punto il Premier turco è sincero. Vuole il supporto della Nato. Per la seconda volta (la prima nel giugno scorso quando un caccia era stato abbattuto sul Mediterraneo dalla contraerea siriana) ha cercato il ’casus belli’ per un intervento Nato appellandosi all’articolo quattro del trattato, secondo il quale, un attacco contro uno Stato membro è considerato un attacco a tutti i partecipanti dell’Alleanza. Ma né l’Europa né gli Stati Uniti vogliono essere trascinati direttamente nel conflitto. La Cina e la Russia continuano a porre il veto al Consiglio di Sicurezza. E senza dubbio il fermo ’no’ di Mosca gioca un ruolo fondamentale. Come la situazione in Libia che sta degenerando in una spirale di violenza senza controllo. E la presenza in Siria e nell’area regionale, di gruppi jihadisti. I Paesi occidentali sono infatti sempre più preoccupati del peso che i combattenti stranieri hanno conquistato nella rivolta contro gli Assad. Se il fine ultimo è lo stesso, abbattere il regime, gli altri obiettivi, certo non sono in comune.

La Primavera non è finita: alla ricerca dell’equazione fra Islam e democrazia, un processo di cambiamento lungo e attualmente in atto.

“Primavere sfiorite”. “La Primavera è diventata autunno”. “Scenari inediti per il mondo arabo”. “La vittoria dell’Islam politico nelle Primavere”. I titoli dei quotidiani di tutto il mondo si sprecano in questo periodo, dopo circa una anno e mezzo dal fermento cominciato il 17 dicembre 2010, con il suicidio a Sidi Bouzi in Tunisia, del fruttivendolo Muhammed Bouazizi. Un atto, un’azione che si è tramutata subito in agitazione a onda lunga e che ha sollevato e scosso i Paesi della sponda sud del Mediterraneo (Egitto, Libia Marocco), continuando inarrestabile il suo cammino a est, in Siria, Yemen, Bahrein.

Anche se la situazione è ancora fluida e i contesti differenti, si possono però fare alcune riflessioni ed evidenziare alcuni punti. In Tunisia, le elezioni sono state vinte dal partito islamista En-Nahdah (Rinascita, Rinascimento). I deputati dell’Assemblea Costituente hanno mantenuto l’articolo 1 sulla laicità dello Stato, che non prevede quindi la Sharia, resistendo alla spinte estremiste dei Salafiti. In Libia, dove è avvenuta ‘l’invasione di campo’ da parte dell’Occidente (Nato) che si è appropriato del processo rivoluzionario con l’intervento militare, la situazione è caotica.

Morto Muammar Gheddafi, cacciata la dittatura, la Libia non ha ancora un governo né un esercito regolare. La sicurezza è affidata a milizie armate e il paese è diviso in fazioni e tribù. Per il 7 luglio è prevista l’elezione di 200 membri dell’Assemblea Costituente.

Yemen. Dopo 22 anni di dominio Alì Abdullah Saleh ha lasciato il Paese sotto la protezione degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita. Ma il potere è nelle mani del suo vice e uomo di fiducia, Abd Mansour Hadi, vincitore di un’elezione presidenziale-farsa (anche se controllate dagli Stati Uniti) in cui era presente lui come unico candidato. Intanto sono riprese le proteste in piazza perché il popolo vuole Salehrientri in Yemen per essere processato. E nel sud del Paese, come scrive Jonathan Steele sul ‘TheGuardian’, “sventolano le bandiere nere di Al Qaeda”. Anzi di Aqpa, nata nel gennaio del 2009 dall’unione della sezione saudita e yemenita dell’organizzazione creata da Osama Bin Laden. “In questa parte dello Yemen – si legge ancora sul ‘Guardian’ – sparisce la presenza del governo. La sicurezza è gestita alle milizie jihadiste e i servizi pubblici sono affidati a un emiro”.

In Marocco re Mohammed IV ha reagito con solerzia alle richieste del popolo che nelle piazze di Casablanca, Marrakech e Rabat scandivano lo slogan “vogliamo un re che regni ma che non governi”. Il re ha quindi emendato la Costituzione e ha sottoposto la riforma il primo luglio 2011 a un referendum popolare. Alle elezioni ha vinto il partito islamista Giustizia e Libertà.

Bahrein. Un caso insolito. Le manifestazioni contro la Monarchia, sedate con l’intervento militare dell’Arabia saudita, si sono svolte nel silenzio dei Media. La maggioranza della popolazione sciita sta chiedendo da oltre un anno alla monarchia sunnita riforme e pari opportunità ai cittadini.

Siria. Il processo storico nel Paese è “più in atto che mai”, anche perché dopo 18 mesi dall’inizio delle prime manifestazioni il presidente Bashar Al-Assad è ancora al potere.

La crisi si è internazionalizzata. E gli eventi si complicano ogni giorno di più. E incalzano. Mentre scriviamo, su richiesta della Turchia, l’Alleanza Atlantica si è riunita a Bruxelles per discutere del recente abbattimento del caccia turco Phantom F-4 da parte della contraerea siriana. “La Nato valuterà la situazione alla luce delle informazioni disponibili. Ankara sosterrà che l’aereo si trovava nello spazio aereo internazionale, mentre il governo di Damasco afferma che il jet era penetrato in quello siriano”. (fonte AGI).

In Egitto, i ragazzi di piazza Tahrir – promotori e anima della Rivoluzione che ha portato alla caduta di Hosni Mubarak, l’ex Generale dell’aviazione rimasto al potere per 30 anni – non hanno saputo trasformarsi da forza propulsiva a organizzazione politica. Così al potere per tutti questi mesi di transizione è rimasto l’esercito, con Mohammed Hussein Tantawi, non solo comandante in capo dell’Esercito, ma ministro della Difesa e della Produzione Militare, nonché presidente della Corte suprema. Carica di cui si è servito per sciogliere nei giorni scorsi il Parlamento (eletto il gennaio) in cui la Fratellanza musulmana godeva di una forte maggioranza. La corte ha anche ammesso al ballottaggio per le Presidenziali il candidato dell’esercito Ahmed Shafik. Le elezioni sono state vinte dal candidato dei Fratelli Musulmani Mohammed Morsy, che rimane però senza il Parlamento, già conquistata dalla Fratellanza.

Fin qui un riassunto dei fatti. Tanti. Non ancora del tutto inquadrabili e definitivi. Una, almeno, la riflessione obbligatoria. La vittoria in Tunisia, Marocco ed Egitto di partiti islamisti e dell’Islam politico rende l’Occidente inquieto. Soprattutto per la grande confusione che si fa tra partito islamista ’moderato’ – confessionale dunque – e movimento estremista, se non terrorista. Tanto rumore per nulla dunque, per parafrasare Shakespeare?
Secondo la tesi formulata dallo studioso Olivier Roy, sì. Roy, infatti, già nel celebre saggio ’L’echoc de l’Islam politique’ affermava che il “mondo arabo vive ormai in una fase post-islamista derivata dal fallimento dell’Islam politico. Una fase che ha spezzato il legame fra impegno religioso e rivendicazione politica”.

Lo studioso Massimo Campanini, autore del saggio ’L’alternativa islamica’, sostiene invece che per quanto la tesi del post-islamismo “contenga una parte di verità perché durante le manifestazioni tunisini ed egiziani chiedevano ’Pane, giustizia e libertà’, quindi rivendicazioni del tutto laiche. Tuttavia, quando il movimento rivoluzionario si è istituzionalizzato l’Islam è tornato alla ribalta”. Ma c’è Islam e Islam. E senza dubbio la vittoria dei partiti islamisti è avvenuta soprattutto per ragioni sociali e politiche (le organizzazioni dei Fratelli Musulmani o di Ennahda, hanno sempre svolto un’azione sociale, di supporto e aiuto alla popolazione più povera) e identitarie.

E il 70% della popolazione nel mondo arabo ha meno di 25 anni. Una nuova generazione che fa comunque parte della società globale e rivendica una democrazia declinata secondo le proprie esigenze e non imposta dall’Occidente. Anche questi giovani, o almeno una parte, hanno votato per i partiti islamici. Dovranno essere loro, come protagonisti dell’Islam politico (post o comunque rinnovato) a dover cercare l’equazione fra Islam e democrazia. Cambiamenti, contraddizioni, incertezze. Ma la regione mediorientale sta vivendo un momento storico. È in fase di transizione. L’Occidente non deve trarre conclusioni affrettate. E soprattutto non deve intervenire per guidare i processi di cambiamento, piegandoli alle proprie visioni.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro La primavera non è finita (riproducibile citando la fonte)

Chi sta boicottando il piano di Kofi Annan ?

Kofi Annan e Bashar al-Assad

Lo ha appena dichiarato il segretario della Nato Andres Fogh Rassmussen :”Non abbiamo alcuna intenzione di intervenire in Siria perché crediamo che il modo giusto di andare avanti sia perseguire una soluzione pacifica e politica”, e, quindi, che il piano di Kofi Annan, inviato speciale dell’Onu e della Lega Araba, venga rispettato. Il piano di Annan prevede, dopo il cessate-il-fuoco, l’apertura di corridoi umanitari, l’avvio di un dialogo politico inclusivo, la liberazione di tutti i prigionieri politici e di chi si trova attualmente in stato di detenzione arbitraria, la libertà di accesso ai giornalisti, la libertà di tenere manifestazioni pacifiche. La missione dell’Onu per ora può contare solo su una avanguardia di 16 osservatori. Il Consiglio di sicurezza ha però già autorizzato l’invio di 300 osservatori che saranno dislocati i tutti i punti caldi del fronte che contrappone forze governative e opposizione armata. Ma è appunto, il “cessate il fuoco” il punto cruciale. Per il successo dell’operazione è necessario che avvenga subito e sia bilaterale. Il conflitto deve essere smilitarizzato, non c’è dubbio. Tutti invocano la fine delle violenze: chi sono allora gli attori che sulla scena boicottano il piano di Kofi Annan?

Tanti. Due giorni fa (il 28/04/2012) , fonti della sicurezza libanese hanno riferito di aver intercettato tre container carichi di armi destinate all’opposizione siriana armata: mitragliatrici pesanti, mortai, lanciarazzi e munizioni da artiglieria. I container si trovavano su una nave salpata dalla Libia e diretta a Tripoli libanese, ma le autorità di Beirut che la seguivano da giorni l’hanno costretta ad approdare al porto di Selaata.

Di fatto il piano di Annan sembra quindi ostacolato a livello internazionale da alcuni paesi della penisola arabica favorevoli ad armare l’opposizione. Paesi dalla posizione ambigua come l’Arabia saudita https://conbagaglioleggero.com/2012/03/lambigua-politica-dellarabia-saudita/ o come il Qatar (https://conbagaglioleggero.com/2012/03/qatar-luci-ed-ombre/ https://conbagaglioleggero.com/2012/01/al-thani-un-emiro-rivoluzionario/) che non possono certo definirsi democratici o difensori dei diritti umani.

L’opposizione accusa il governo di non rispettare gli accordi, mentre la leadership di Damasco accusa i gruppi di opposizione di collusione con movimenti terroristici. Ed il gruppo islamista “’Fronte Al-Nusra” ha rivendicato la responsabilità dell’attentato suicida che venerdì 27 aprile ha ucciso a Damasco 11 persone.

Il gruppo “Al Nusra” aveva già rivendicato la paternità dell’attentato dello scorso 21 marzo (Fonte TMNnews) , e degli attentati del 12 febbraio ad Aleppo e del 6 gennaio. E poche ore fa, a Damasco, è stata attaccata la sede della Banca centrale Siriana.

Sulla delicata scena siriana, gli attori sembrano moltiplicarsi, rendendo il quadro confuso e pericoloso. E spesso rilasciano dichiarazioni contraddittorie. Perché Ghalioun, leader del Cns (una delle sigle dell’Opposizione che ha sede in Turchia) proprio all’inizio della tregua Onu, ha “auspicato l’invio di armi agli oppositori”? Perché, appena il piano era stato accettato, sempre Ghalioun aveva proposto di pagare i militari dell’Esercito Siriano Libero?
Non sembra proprio un atteggiamento coerente ad un “cessate il fuoco”. E anche l’esercito siriano libero sembra “fuori controllo” , secondo fonti Reuters.

Non un esercito unito contro il governo di Bashar- al Assad, ma un insieme di gruppi che agiscono senza essere coordinati. In cui si mescolano oppositori, salafiti, mercenari libici, secondo testimoni che li hanno intervistati alla frontiera fra la Turchia e la Siria. “Anche delinquenti comuni che non esitano a rapinare e uccidere” , come mi ha scritto recentemente, Salem da Aleppo.

La verità, quando non si possono accertare di persona le fonti, è sempre difficile da scoprire. Ma un elemento è certo: la pace è fondamentale per l’unità politica e territoriale della Siria e per la stabilità nell’area medio-orientale.