Nuovi Media

Dalla carta al digitale. Ecco come cambia la vita dell’Inviato

I giornalisti sono “narratori di storie” sostiene Umberto Eco. E oggi che il giornalismo è in continua, rapida e inarrestabile evoluzione, credo sia necessario saper raccontare le storie rimettendosi in gioco. Perché, scrive lo scrittore e “guru” Seth Godin, quando i mestieri si trasformano in fretta, abbiamo due scelte: “abbracciare l’innovazione o adattarci e subirla”.

Ma in Italia esiste ancora un equivoco che andrebbe chiarito: la dicotomia fra i giornalisti di “carta” e quelli “on line”. Un buon giornalista oggi deve avere una visione “allargata” senza dimenticare le competenze, le qualità che hanno sempre caratterizzatola professione: la curiosità, il senso della notizia, la capacità e gli strumenti interpretativi per decifrarla e trasmetterla in maniera semplice e accessibile

Come reporter – appassionata dei social media e delle nuove tendenze sul web – non ritengo che si debba “scegliere fra due modelli di giornalismo”, tra quello “sul campo” e quello “da scrivania, seguendo i social network e la rete”. Un cronista contemporaneo deve sfruttare al meglio le risorse. Andare sul terreno e usare la rete. Deve vedere, anche se vedere non è sufficiente.
Bisogna possedere gli strumenti interpretativi per decifrare ciò che succede. Credo nella specializzazione. Impossibile decodificare gli eventi senza conoscenze adeguate della storia, della cultura, delle relazioni internazionali di un Paese. Indispensabile conoscere le lingue straniere e quella del posto anche se non in maniera fluente. Gli arabi, per esempio, rispettano chi ha fatto lo sforzo di studiare la loro lingua e le loro usanze. Molto dipende poi dalla situazione. Durante il 2011 in Siria ho potuto seguire i contatti sul posto e le notizie in rete. Ma se mi trovavo in condizioni di pericolo non controllavo certo il mio TweetDeck. A volte dovevo cercare un wireless café perché la connessione da casa non funzionava. Nei teatri di guerra o di crisi, esistono difficoltà oggettive. Quando sono in Italia, ho il tempo di controllare le fonti, incrociandole con le notizie che arrivano da fuori. Spesso seguendo un tweet si trovano conferme o meno. L’impostante è non avere fretta. Meglio rinunciare a uno scoop che diffondere una diffondere una notizia falsa.

In carta o in digitale. Non dimenticare mai di verificare le fonti. E le cinque W del giornalismo (WHO, Chi? WHAT, Che cosa? WHEN, Quando? WHERE , dove? WHY, perché?) . Anche se purtroppo speso non accade. Soprattutto un regola sembra poco rispettata ovunque, anche se non incomincia con W. Quella della trasparenza.

Antonella Appiano per © Qui Libri

Dalla Carta al Digitale, Qui Libri – Antonella Appiano – n°22 marzo aprile 2014

Genghis Khan, i Nuovi Media e il Medio Oriente

Che cosa hanno a che fare fra di loro, vi chiederete? Molto, perché il post di Majorie Clayman, riportato da IntervistatoLa realtà è molto più complessa s’inserisce nel filone delle mie riflessioni sul nuovo giornalismo, sulla contaminazione dei generi, sull’importanza dei Social media nelle rivolte arabe. Su quanto a volte sia stata determinante e a volte sopravalutata. Sull’importanza comunque per un giornalista, di andare  sul posto e vedere. Stare fra la gente. Captaregli umori, le sensazioni.  Mescolarsi, mangiare lo stesso cibo, vivere nelle stesse case. Conoscere la storia. E nel filone delle mie riflessioni sulla Comunity. Sulla sua reale capacità di fare rete (in Italia); sulla competizione spesso sleale fra i giornalisti (in Italia); sull’attenzione indispensabile per muoversi nel mondo on line. Non solo nel verificare le notizie che invece, troppo spesso, vengono diffuse con troppa leggerezza nell’ansia di essere primi. Ma anche, come scrive Majory Clayman, nel guardare “un po’ oltre i tweet e l’avatar” perché la “verità è molto più complessa dell’apparenza”.

Un assaggio, poi continuate a leggere nell’articolo: La realtà è molto più complessa“Ecco il punto su Genghis Khan. Quando si pensa a lui di sfuggita, si può pensare semplicemente “Quel tizio era una persona orribile”. Era un assino brutale, un leader malizioso aggressivo, e un violento in generale. E’ facile liquidarlo come “il cattivo”, ma come uno speciale della BBC evidenziava, se si pensa solo in questo modo, si rischia di perdere una storia molto più complicata. Sapevate che Temujin (il nome che Genghis Khan aveva prima di diventare un grande leader) perse il padre perché gli altri membri della tribù lo avvelenarono? Sapevate che Temujin veniva costantemente tradito dalle persone a cui teneva di più? Avete mai pensato quanto deve essere stato difficile sopravvivere, per un piccolo clan nelle steppe aride della Mongolia moderna?”

Antonella Appiano

La fotografia di Genghis Khan è tratta dal post di Majorie Clayman