Nusrat al-Islam

Damasco, instantanee dai funerali

Le rivendicazioni. Le accuse contrapposte. Il dolore di un popolo.

Il giovane medico che, sul luogo dell’attentato, mi ringrazia per essere venuta fin qui “a vedere” mi fa sentire impotente. Le diciassette bare allineate nella Moschea Uthman, fotografate e riprese, mi ricordano quanto ogni luogo sacro e ogni avvenimento doloroso siano ormai violati dai media.

 

Con i capelli coperti da una sciarpa, entro nella moschea. Anche io ho la macchina fotografica e una piccola telecamera. Ma non me la sento di riprendere l’uomo in lacrime davanti a una delle due bare con la fotografia della vittima. Le altre contengono i resti di più vittime.Ventitré corpi. Gente innocente travolta dai giochi politici, dalle alchimie del potere. Dalla grande storia.

 

L’attentato del 10 maggio è stato rivendicato dal Gruppo Nusrat al-Islam. Un ramo delfamigerato Fronte Fath al Islam, il movimento fondamentalista islamico basato in Libano, nel campo profughi palestinese di Nahr al Bared, vicino a Tripoli. Cellule ’dormienti’ di Fathal Islam, sono presenti in Siria dal 2006. Il movimento sarebbe finanziato dai Sauditi per contrastare il gruppo sciita libanese di Hezbollah. Gli esponenti dell’Opposizione affermano, nonostante le rivendicazioni, che gli attentati sono opera del governo. Due versioni contrapposte di un fatto gravissimo. E i siriani, in ogni caso, sono le vittime innocenti, rassegnati a convivere con il terrore.

Ho paura, certo che ho paura” mi dice Omar, il cameriere di un caffè della città vecchia che avevo conosciuto in passato. “Se ci fossi stato io in auto, in quel momento? Quando riavremo una vita?”. Domande senza risposta.

Incontro anche un amico che si era schierato per il cambiamento. Non era mai sceso per strada ma chiedeva, sperava in una maggiore libertà e distribuzione della ricchezza nel Paese. “Ho voglia di aria nuova, però mi rifiuto di credere che il governo possa ’creare’ un atto terroristico. Sarebbe diabolico e troppo pericoloso. Nessuno poteva sapere chi sarebbe passato in quel momento, chi sarebbe rimasto coinvolto”. Vorrei andare a trovare la famiglia di Mahmud, il bimbetto che mi chiamava sempre Luisa, ma è tardi.

Ogni tanto passano le auto dei Caschi Blu in viaggio per qualche missione nelle zone dove si combatte e ci sono scontri. Dove il ’cessate al fuoco’ non è stato rispettato. La gente sembra indifferente. Eppure, se la missione Onu fallisce, che ne sarà della Siria? Come fermare una escalation di violenza che fa presagire gli scenari più imprevedibili e disastrosi? E anche per queste domande non c’è ancora risposta.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/damasco-istantanee-dai-funerali/ (riproducibile citando la fonte)