opposizioni

Reportage o no? Sulla Siria gli occhi di una giornalista clandestina.

da l’Unità.it

di Ella Baffoni.

Andare, guardare, capire, riferire. Le regole del giornalismo, in sintesi sono queste. Il fatto è che questo mestiere è molto cambiato – non so se in meglio – in questi anni. Un esempio ne dà il libro di Antonella Appiano “Clandestina a Damasco” (Castelvecchi, 124 pgg, 12.50 euro). Esperta di Medio oriente, Appiano ha fatto quel che avrebbe fatto un giornalista dell’altro secolo.

La Babele di Homs

La città epicentro delle rivolte ospita comunità religiose contrapposte fra loro. Aumentano le testimonianze di violenze e rappresaglie.

La moschea di Khalid b. al-Walid a Homs

Ci sono rappresaglie, omicidi. Armi. Ho paura.” Sono le uniche parole che mi scrive Ammer, pochi giorni fa. Non riesco più ad avere notizie. Ammer vive a Homs, da mesi epicentro delle rivolte siriane.

Già a fine luglio, la cellula di oppositori con cui avevo avuto contatti a Damasco, aveva dichiarato che “una parte dei manifestanti si stava armando, proprio a Homs e Deir-ez-Zor”. La testimonianza di Ammer e quella di un coraggioso giornalista del New York Times(anonimo per ragioni di sicurezza) confermano che la situazione in Siria, almeno adHoms, sta peggiorando.

Alla dura repressione della Leadership di Damasco, ora i manifestanti stanno rispondendo con rappresaglie, colpendo collaborazionisti e esponenti filo-regime. E’ stato ucciso un medico che, secondo gli attivisti, consegnava i feriti ai mukhabarat (i servizi segreti siriani). Ci sono barricate fra quartiere e quartiere.

Ad Homs (terza città siriana situata al centro del Paese, sulla direttrice Aleppo-Damasco) vivono sunniti, cristiani e alawuiti (ramo della galassia musulmana sciita a cui appartiene la famiglia degli Assad). Da un’amica originaria di Homs, che ora vive negli Emirati Arabi, arrivano altre dichiarazioni. “ In città ci sono scontri fra alawuiti e sunniti ma anche frasunniti pro e sunniti contro Bashar”.

Originario di Homs è anche Burhan Ghalioun, sociologo e docente alla Sorbona di Parigi (già indicato ad agosto capo di un Consiglio di transizione mai nato) che, da domenica 2 ottobre, ’anima’ il neonato Consiglio Nazionale siriano. Il Consiglio, a quanto pare, è riuscito a riunire numerose correnti del dissenso siriano, in Patria e all’estero, e a farsi riconoscere anche dai Comitati locali di Coordinamento, la piattaforma che raccoglie gran parte dei ’manifestanti di strada’. Al Consiglio hanno aderito anche rappresentanti dei Fratelli Musulmani, e membri dell’Annuncio di Damasco (dissidenti laici), ma non i rappresentanti del Comitato Centrale per il Cambiamento democratico (Cccp) il gruppo creato, a metà settembre, da alcuni dissidenti storici in patria, fra cui spiccano personalità come Michel KiloAref DalilahIl nuovo Consiglio riuscirà a riunire davvero le varie correnti e a proporre una soluzione politica concreta e unitaria?

Intanto in un clima di tensioni, accuse, smentite, news che si diffondono attraverso il web, prima di essere verificate, è venuto alla luce il caso di Zeinab al Hosni, la 18ennee, diventata un simbolo della rivolta siriana contro il presidente Bashar al Assad . Secondo un rapporto di Amnesty International, infatti, Zeinab era stata torturata e uccisa dagli agenti di sicurezza in modo barbaro dopo essere stata arrestata, a luglio, per spingere suo fratello,Mohammed Dib, un attivista, a costituirsiLa ragazza è invece apparsa sugli schermi della Tv siriana e rappresentanti dell’ufficio libanese di Human Rights Watch (HRW), dopo aver parlato con la madre di Zeinab che ne ha confermato l’identità, hanno smentito la notizia.

Il regime aveva sempre negato il fatto, e ieri (5 ottobre) ha ottenuto anche una vittoria diplomatica grazie alla Russia e alla Cina che hanno posto il veto a una risoluzione contro la Siria presentata da alcuni paesi europei al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Damasco esulta ma i problemi restano. E la crisi siriana non sembra trovare la via per una risoluzione pacifica.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/La-babele-di-Homs (riproducibile citando la fonte)

“Ghalium non può rappresentarci” L’opposizione in Siria è divisa.

Sono in contatto telefonico via Skype con Fares da quando ho lasciato la Siria, a fine luglio. Fa parte di un gruppo di manifestanti di strada. Ha partecipato alle dimostrazioni nel sobborgo di Damasco di al- Qaboun e nel quartiere di al- Midan, a luglio e ad agosto. Mantiene i collegamenti con altre cellule nel Paese. E’ irritato. “Noi non siamo stati avvertiti. Noi che rischiamo la vita e scendiamo in piazza. Un Consiglio Nazionale di Transizione nato ad Ankara senza consultare tutti i gruppi coinvolti nelle rivolte è inutile. Lo abbiamo saputo a cose fatte da esponenti dei Comitati siriani di Coordinamento locale”, la piattaforma che da maggio ha riunito gli organizzatori delle manifestazioni anti-regime.

Fares è scettico anche riguardo Burhan Ghalium. “Ghalium a capo del Cnt? (Consiglio Nazionale di Transizione) Il professore aveva rifiutato di partecipare alla Conferenza di Salvezza nazionale del 16 luglio a Istanbul, dichiarando che il meeting, organizzato dagli espatriati, esprimeva solo gli interessi privati di chi voleva approfittare delle rivolte. Ripeto ciò che ti avevo detto a Damasco: né Ghalium né altri intellettuali possono rappresentarci.Sono lontani dal popoloMolti di loro vivono all’estero da anni”.

Ad Ankara, il 19 agosto una fazione dell’opposizione ha annunciato la nascita del Cnt siriano formato da 94 membri, 52 provenienti dalla diaspora e 42 residenti in patria. Presidente, eletto a maggioranza, è Burhan Ghalioun, docente di Sociologia Politica all’UniversitàSorbona di Parigi. Intellettuale stimato, sunnita, originario di Homs, Ghalioun rappresenta una voce moderata nel variegato fronte del dissenso siriano. E’ contrario infatti agli interventi stranieri e ha sempre invitato i manifestanti a non reagire con le armi. Vuole la caduta del regime. Spera nella nascita di un Paese guidato da un direttivo civile e in uno stato unito, non diviso su base confessionale.

L’annuncio è stato contestato anche da Rahhal Muhamad, a capo dei Comitati siriani di Coordinamento locale, che ha dichiarato al quotidiano panarabo saudita, con sede a Londra,‘AshaqAl-Awasat’(http://www.asharqe.com/news.asp?section=1&id=26393): “Le persone che formano il Consiglio sono fantasmi che affermano di rappresentare una larga parte del popolo siriano, mentre non hanno nessun rapporto con la rivoluzione. Noi non facciamo parte dell’opposizione all’estero”.

Dello stesso parere anche se appartiene a un’altra fazione dell’opposizione, Bassam Al Kadi, ex esponente del Partito Comunista dei Lavoratori, che ha scontato sette anni di carcere e da venti è privo dei diritti civili e non può lasciare il Paese: “Non eravamo preparati alle rivolte, siamo stati sorpresi. Avremmo dovuto aspettare, organizzarci meglio. Questo consiglio nato in Turchia non porterà niente alla causa. Io sono da sempre contro l’opposizione all’estero. Che ne sanno? Non ci vedo nulla di positivo. Si sono spartiti anche la maggioranza dei seggi”. Un’altra ‘bocciatura’, infine, dal neonato Consiglio Generale per la Rivoluzione siriana.

Conferenze, Comitati, Consigli che nascono, si sovrappongono, spesso in disaccordo. Dissidenti, attivisti, militanti, laici, islamisti. Difficile orientarsi in un panorama di gruppi che sembra sempre più frammentato. I ragazzi come Fares, parlano di “libere elezioni”. Di “libertà”, di uno “stato di diritto” ma l’opposizione siriana, oggi a cinque mesi dall’inizio delle rivolte, non riesce a trovare la via dell’unità. E non offre prospettive politiche chiare e concrete.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro “Ghalium non può rappresentarci” riproducibile citando la fonte

Le opposizioni in Siria. Cosa sta accadendo.

Le “correnti” dell’Opposizione in Siria. La Conferenza di Dialogo Nazionale e la Conferenza di Istambul. Per fare un po’ di chiarezza fra Opposizione e Conferenze.

Damasco piazza Al-Merjeh

Le “correnti” dell’Opposizione organizzata sono tre. Due in Patria e una all’estero.
In patria c’è quella dei dissidenti siriani, composta da circa 200 intellettuali indipendenti, che da marzo, si sono dichiarati disposti a tenere aperto il dialogo con la leadershep di Damasco. Circa 200 personalità e intellettuali fra cui il cristiano Michel Kilo, l’alauita Lu’ay Husayn e l’alauita Aref Dalilah. Gli ultimi due, nell’aprile scorso, avevano incontrato Butayna Sha’ban, la Consigliera Presidenziale, in merito alla “Conferenza di Dialogo Nazionale” promossa dal governo, una novità da parte della leadership al potere, che, prima di oggi, non ha mai riconosciuto alcuna forma di dissenso. Durante la conferenza, che si è tenuta regolarmente a Damasco, dal 10 al 13 luglio, il governo ha ribadito l’impegno a intraprendere riforme politiche. Sono stati invitati esponenti dell’opposizione e della società civile, intellettuali, artisiti e religiosi. Ma Michel Kilo, Fayez Sara, Lu’ay Husayn e Aref Dalilah non hanno partecipato dichiarando che “le condizione necessarie per un vero dialogo sono la fine della repressione violenta e la liberazione di tutti i prigionieri politici”.
Il gruppo di Aref Dalilah” ha proposto al governo una soluzione politica in otto punti. La prima richiesta è appunto la fine delle violenze. E anche una conferenza nazionale in cui siano invitati rappresentati di tutti i gruppi, anche chi organizza le proteste della strada. Questa corrente vuole convincere le autorità di Damasco ad accettare i punti del documento programmatico. E, nello stesso tempo, convincere chi manifesta che, se la leadership accetterà, si aprirà una fase nuova. Il gruppo sottolinea anche il pericolo di un cambiamento parziale, di un “regime change” come è avvenuto in Egitto, dove tuttora non si sono ancora svolte libere elezioni..

La seconda corrente in patria è quella dei“Comitati siriani di Coordinamento locale“, Lccs, una specie di piattaforma che, da maggio, ha riunito gli organizzatori delle manifestazioni anti-regime nel Paese. Anche questo“gruppo” ha proposto un programma politico. In sintesi, chiede, attraverso una transizione pacifica, la fine del mandato presidenziale di Bashar Al- Assad e un cambiamento totale del sistema politico. Secondo un organizzatore della capitale è necessario che le autorità “accettino la richiesta altrimenti il Paese rischia lo scoppio di una guerra civile”. Chi dovrebbe guidare la transizione?

Nel manifesto dei Comitati di coordinamento locale si legge che il compito spetterebbe “ a un comitato composto da rappresentanti civili e militari”, per un per periodo non più lungo di 6 mesi.

Infine c’è l’opposizione all’estero. Molti dei loro esponenti hanno partecipato alla conferenza di Antalya, in Turchia, che si è tenuta dal 31 maggio al 2 giugno. Fra i promotori, i firmatari dell’”Iniziativa nazionale per il cambiamento”. Un gruppo di cira 150 dissidenti siriani- creato da Radwan Zyaada, un 35enne, che vive negli Stati Uniti da 4 anni, ricercatore alla George Washington University- che esclude ogni possibile trattativa con Bashar-al Assad e ne chiede le dimissioni.
Gli oppositori siriani all’estero, circa 300, si sono riuniti di nuovo, sabato 16 luglio in una ”Conferenza di Salvezza Nazionale” ad Istambul , per redigere una road map e creare una “Struttura di coordinamento permanente dell’opposizione”.La conferenza è stata promossa da personalità indipendenti e partiti politici, fra cui, l’avvocato e dissidente storico Haithem Al Maleh. La Turchia – che ospita anche esponenti dei Fratelli Musulmani in esilio- è stata quindi di nuovo sede di un incontro dell’opposizione siriana.

Il cambiamento dell’ atteggiamento del Presidente Erdogan e del suo partito Akp (un partito islamico moderato considerato un modello per una larga fascia dei sunniti siriani e per gli Stati Uniti) nei confronti di Bashar-al-Assad, dopo gli ottimi rapporti degli ultimi anni, secondo alcuni osservatori, è il segnale di una politica espansiva neo-ottomanana del governo di Ankara nell’area del Medio Oriente.