Paesi del Golfo
Paesi del Golfo: dove volano le rendite
Cresce l’interesse italiano per gli Emirati Arabi e il Qatar, che ospita la prima fiera del Made in Italy
Tempo di crisi, in Italia come in Europa. E si cercano nuovi mercati per investire e creare jointventures ed opportunità di business. Per quanto riguarda il Medio Oriente e l’Africa del Nord, i pareri sono discordanti. Infatti dopo le Primavere Arabe, alcuni Paesi del Medio Oriente e dell’Africa del Nord (MENA) si trovano in condizioni geopolitiche instabili.Legami commerciali, già esistenti o sul procinto di nascere, sono stati danneggiati. Secondo le fonti di ’Reuters’ 50 miliardi di dollari sono stati congelati o perduti durante l’anno passato nei sei Paesi dove sono avvenuti i disordini più gravi: Bahrain, Egitto, Libia, Siria, Tunisia, Yemen. Ma c’è anche chi sostiene che ’i sovvertimenti finanziari’ abbiano sbloccato nuove opportunità per le aziende private, aprendo così il mercato a nuovi attori protagonisti.
Molte imprese italiane stanno rivolgendo l’attenzione ai ricchi Paesi del Golfo non coinvolti dalle Primavere. Il 20 marzo scorso a Doha, capitale del Qatar, per esempio – grazie alla missione organizzata da Ministero dello sviluppo economico, da Confindustria e Simest(Società italiana per le imprese all’estero) – è stato firmato un accordo di collaborazione fra la Simest e la Concordia Capital (una società finanziaria a partecipazione privata del Qatar)per promuovere lo sviluppo delle relazioni economiche tra le aziende italiane e quelle del ricco emirato.
Il Ceo di Simest, Massimo D’Aiuto ha dichiarato che “ il Qatar offre opportunità interessanti soprattutto nelle infrastrutture“. Infrastrutture che devono essere infatti ultimate per i Campionati di Calcio del 2022, e per le quali l’Emirato ha stanziato circa 70 miliardi di dollari di investimenti.
Aria di business? Si vedrà. Intanto dal 10 al 13 di Maggio debutterà nel piccolo emirato la prima fiera Made-in Italy in Qatar.
Anche la Federazione degli Emirati Arabi Uniti rimane un punto fermo per le imprese occidentali che vogliono investire nei mercati medio-orientali. I settori trainanti dell’economia sono quelli delle infrastrutture, beni di lusso, siderurgia, e dell’ immobiliare.Gli Emirati sono da alcuni anni piuttosto ’appetibili’ per la creazione delle ’free zone’. Aree in cui non esistono restrizioni al trasferimento dei profitti o rimpatrio del capitale. Qui, le aziende possono quindi appartenere interamente ad investitori stranieri e beneficiare di una esenzione fiscale (corporate tax) per 50 anni. Nelle free zone non sono previste tasse sulle società per almeno 15 anni e dazi doganali.
Qatar: luci ed ombre
I lavoratori, per la maggior parte stranieri, non hanno tutele e non riescono ad integrarsi
Rami lavora dalle cinque della mattina alle due del pomeriggio. Scarica cassette ai mercati, vicino all’Omani suq di Doha. Abita fuori città in una specie di complesso-dormitorio con una doccia comune, e servizi igienici carenti. Ma lui non si lamenta. Racconta che certi suoi amici stanno peggio perché “dormono in stanze senza finestre“. “Molti operai – continua – vivono in mezzo al deserto, impiegano due ore per raggiungere il posto di lavoro e possono solo spostarsi con i pullman del Governo”. Ai lavoratori single, recentemente, per legge, è stato vietato di abitare nelle zone residenziali della capitale. “Prima – spiega ancora Rami – molti lavoratori indiani riuscivano ancora a stare ammassati in qualche casa in un’area centrale. Ma con la nuova legge potranno solo abitare nei campi di lavoro costruiti per loro fuori Doha“.
In Qatar, su una popolazione di circa 1.7 milioni di persone, gli indigeni, i ‘veri qatarioti’sono soltanto 225.000. Invece l’ 80% circa della forza lavoro è straniera, proveniente soprattutto dall’India, dal Pakistan, dalle Filippine, dal Bangladesh. Sono lavoratori migranti. Una massa di filippini, nepalesi, pachistani, thailandesi, etiopi, sudanesi di seconda e terza categoria, privi di diritti politici, e sfruttati dai datori di lavoro . Nei cantieri, i turni sono massacranti: 50-55 ore alla settimana per un mensile medio di 500 ryal (circa 100 euro) spesso a temperature insopportabili. E dall’ultimo rapporto Amnesty risulta che le domestiche immigrate sono spesso vittime di percosse e di violenze sessuali.
Che cosa significa essere poveri e ’schiavi’ in un Paese che la rivista americana Forbes ha appena classificato come il più ricco del mondo grazie all’ aumento dei prezzi del petrolio ed alle riserve di gas naturali? Gli immigrati hanno paura a parlare. Susy, una thailandese, impiegata in un autonoleggio, mi spiega sottovoce che “può perdere il lavoro in qualsiasi momento”. Nessuno la tutela. – E le condizioni di vita? La casa? “Tutto dipende dalla Compagnia” e non vuole aggiungere altro. Certo, ci si può domandare: che cosa accadrebbe se questa massa di gente prendesse il controllo? E allora viene ghettizzata. Discriminata. “Anche se uno di noi sposasse una donna qatariota rimarrebbe straniero, non diventerebbe mai cittadino. E neppure i suoi figli”, aggiunge ancora Rami.
I migranti non hanno la possibilità di integrarsi e sono privi di tutele e di rappresentanza sindacale. Rappresentano soltanto forza lavoro per costruire i bellissimi grattacieli, i centri commerciali strade, gli hotel a cinque stelle in vista dei Mondiali 2022 dell’Emirato più ricco del mondo.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/qatar-luci-ed-ombre/ (riproducibile citando la fonte)