Pari opportunità

Donne siriane

Lavoro – Uguaglianza di genere

In Siria, secondo  il Syrian Women’s Observatory (SWO) la società è piuttosto conservatrice e le donne partecipano poco al movimento per i loro diritti. Iman, una volontaria mi ha raccontato: “Facciamo molta fatica a comunicare i concetti di uguaglianza di genere. Su 3 milioni di donne fra i 18 e i 50 anni solo mezzo milione sceglie di lavorare fuori casa. Le professioni preferite sono insegnante, medico pediatra, impiegata, infermiera. L’obiettivo è ancora il matrimonio. E la cura dei figli”.

Ragazza con hijab

In Siria poche, anche fra le giovani, sanno che in Europa l’8 di marzo si festeggia il giorno della donna. Iman, riporta lo stupore di Mariam, una casalinga 43enne: “Le donne festeggiano una giornata per se stesse? A che serve? Conosciamo i nostri diritti e siamo felici. Io credo che l’unico giorno da celebrare sia quello della mamma”. Ricordo che durante la prima settimana di marzo, a Damasco, avevo fatto la stessa domanda a due ragazze,  incontrate alla Mostra dell’artista Ayman Esmandar, allestita nel cortile coperto del Khan Assad Pasha. “Sì… sapevano del Giorno della donna. Avevano visto un servizio in tv”. Una delle due, studentessa universitaria di Lingue, era più battagliera: “Dobbiamo cambiare molte tradizioni che ci bloccano e non ci permettono di raggiungere una vera uguaglianza”.
Ma, in genere, le ragazze, se si sposano dopo la laurea, non cercano un impiego, preferiscono fare le casalinghe. Altre mi hanno raccontato “di non approvare il concetto di uguaglianza di genere”. Per tante, a quanto pare, è sufficiente “essere la presidentessa della repubblica del cuore dell’amato” come canta il libanese Mohammed Iskandar, nel brano che ha dedicato l’anno passato alla moglie. E che è stato a lungo in testa alle classifiche della radio anche in Siria.

Delitto d’onore

Una piaga ancora da combattere, in Siria è quella dei delitti d’onore. Tra i 200 e i 300 all’anno, secondo il SWO. Soprattutto nelle zone rurali del Paese, dove predominano società patriarcali. Non si tratta di un problema di religione ma di tradizione. Le volontarie della  SWO  hanno dichiarato che “è allo studio una modifica o forse anche la cancellazione dell’articolo 192 del codice penale siriano che prevede l’attenuante per i reati connessi ai delitti d’onore”. In base a quell’articolo è prevista in Siria l’attenuante per chi commette un omicidio per difendere l’onore della propria famiglia. Con questa riforma, invece di una condanna leggera – mi ha spiegato la volontaria Fatima – l’omicida riceverà il massimo della pena prevista dalla legge. E il delitto d’onore sarà equiparato a un omicidio normale”.

Antonella Appiano per Il Portale delle donne – Donne ieri oggi e domani

8 marzo e Settimana della Donna: come si festeggiano in Siria?

Non si celebrano affatto. Qui in Siria, come in molti Paesi del Medio Oriente, non è accaduto nulla e la settimana è trascorsa come le altre.
Sul quotidiano Baladna, Bassam al-Qaddi, fondatore del Syrian Women Observatory Organization for Women’s Rights, scrive:” Molte donne intervistate sull’argomento, hanno risposto di non essere a conoscenza della Settimana Internzionale della Donna. Altre hanno dichiarato di non approvare il concetto di uguaglianza di genere. Ancora Bassam Al-Qaddi, riporta lo stupore di Mariam, una casalinga 43enne:”Le donne festeggiano una giornata per se stesse? A che serve? Conosciamo i nostri diritti e siamo felici .Io credo che l’unico giorno da celebrare sia quello della mamma”.
Sono riuscita a fare la stessa domanda a due ragazze, alla Mostra dell’artista Ayman Esmandar, allestita nel cortile coperto del Khan Assad Pasha. Difficile per uno straniero.I siriani sono molto gentili ma riservati. Non si confidano volentieri. Per fortuna alle ragazze piaceva il mio vestito, si sono incuriosite e hanno incominciato a chiacchierare…Anche se poi non hanno voluto che scrivessi il loro nome. Sì sapevano del “Giorno della donna”. Avevano visto un servizio in tv. Una delle due, studentessa universitaria di Lingue, è più battagliera:”Dobbiamo cambiare molte tradizioni che ci bloccano e non ci permettono di raggiungere una vera uguaglianza ”.
Anche Bassam al-Qaddi, sottolinea nell’articolo, che le maggiori discriminazioni derivano proprio dalle tradizioni. Anche se, per garantire maggiore parità, molte leggi sulla cittadinanza andrebbero cambiate. Purtroppo oggi in Siria, le donne partecipano poco ai Movimento per i propri diritti. Per tante, a quanto pare, è sufficiente “essere la presidentessa della repubblica del cuore dell’amato” Come canta il libanese Mohammed Iskandar, nel brano che ha dedicato l’anno passato alla moglie. E che è stato a lungo in testa alle classifiche della radio anche in Siria.

Due ragazze nel suq

n.b. Le ragazze nella foto non sono quelle intervistate.

8 Marzo e Settimana della Donna:come si festeggiano in Siria?

Non si celebrano affatto.Qui in Siria, come in molti Paesi del Medio Oriente, non è accaduto nulla e la settimana è trascorsa come le altre.
Sul quotidiano Baladna, Bassam al-Qaddi, fondatore del Syrian Women Observatory Organization for Women’s Rights, scrive:” Molte donne intervistate sull’argomento, hanno risposto di non essere a conoscenza della Settimana Internzionale della Donna. Altre hanno dichiarato di non approvare il concetto di uguaglianza di genere. Ancora Bassam Al-Qaddi, riporta lo stupore di Mariam, una casalinga 43enne:”Le donne festeggiano una giornata per se stesse? A che serve? Conosciamo i nostri diritti e siamo felici .Io credo che l’unico giorno da celebrare sia quello della mamma”.
Sono riuscita a fare la stessa domanda a due ragazze, alla Mostra dell’artista Ayman Esmandar, allestita nel cortile coperto del Khan Assad Pasha. Difficile per uno straniero.I siriani sono molto gentili ma riservati. Non si confidano volentieri. Per fortuna alle ragazze piaceva il mio vestito, si sono incuriosite e hanno incominciato a chiacchierare…Anche se poi non hanno voluto che scrivessi il loro nome. Sì sapevano del “Giorno della donna”. Avevano visto un servizio in tv. Una delle due, studentessa universitaria di Lingue, è più battagliera:”Dobbiamo cambiare molte tradizioni che ci bloccano e non ci permettono di raggiungere una vera uguaglianza ”.
Anche Bassam al-Qaddi, sottolinea nell’articolo, che le maggiori discriminazioni derivano proprio dalle tradizioni. Anche se, per garantire maggiore parità, molte leggi sulla cittadinanza andrebbero cambiate. Purtroppo oggi in Siria, le donne partecipano poco ai Movimento per i propri diritti. Per tante, a quanto pare, è sufficiente “essere la presidentessa della repubblica del cuore dell’amato” Come canta il libanese Mohammed Iskandar, nel brano che ha dedicato l’anno passato alla moglie. E che è stato a lungo in testa alle classifiche della radio anche in Siria.

Le Italiane - Castelvecchi editore

Le italiane: 150 anni di storia al femminile

Dal Risorgimento ai nostri giorni, centocinquant’anni di storia nazionale raccontanti attraverso le biografie delle protagoniste della politica, della cultura, della scienza, dell’economia e dello sport.
Nella ricorrenza dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia il volume “Le italiane” edito da Castelvecchi, rappresenta un omaggio e un ricordo doveroso alle molte, non tutte, donne che, con il loro impegno hanno percorso e tracciato, dal Risorgimento ai giorni nostri, la storia del nostro Paese in vari campi.

Il pregio del libro è quello di raccontare le biografie di queste donne, con un linguaggio fresco e attuale, come un manuale piacevole e interessante di lettura e studio, adatto a ogni fascia generazionale. Questo è molto importante dato che esso sarà divulgato massicciamente nelle scuole grazie all’impegno dell’associazione “Telefono Rosa”, che ne ha curato la pubblicazione su idea e progetto della giornalista Anna Maria Barbato Ricci.

Le protagoniste raccontate in questa raccolta di brevi saggi a esse dedicati “vuole rendere il giusto omaggio alle italiane che anno solcato la storia dell’Unità d’Italia. Lo fa attraverso alcuni ritratti femminili che sembrano animare il profilo marmoreo della donna turrita, l’autorevole figura allegorica che rappresenta il nostro Paese. Impariamo da queste pagine i tratti originali e il potere dell’identità femminile, che legano ogni biografia e che ciascuna donna esprime quando può o vuole agire la propria libertà” (Anna Finocchiaro).

Le biografie riguardano Cristina Di Belgioioso, Francesca Cabrini, Contessa Lara, Matilde Serao, Teresa Filangieri Ravaschieri Fieschi, Grazia Deledda, Maria Montessori, Luisa Spagnoli, Le Costituenti, Tina Anselmi, Le attrici, Palma Bucarelli, Nilde Iotti, Rita levi Montalcini, Sara Simeoni e Fiorella Kostoris.
Raccontate da Sandra Artom, Laura De luca, Brunella Schisa, Donatella Trotta, Antonella Cilento, Antonella Appiano, Danila Comastri Montanari, Mari Rita Parsi, Anna Vinci, Laura Delli Colli, Simonetta Matone, Marta Ajò, Evelina Cristillin, Stefania Quaglio, Annamaria Barbato Ricci; autrici a loro volta impegnate in vari campi che hanno messo a disposizione il proprio impegno gratuitamente al fine di devolvere gli introiti della vendita del libro in favore di “Telefono Rosa”, Associazione di volontariato che cura ed assiste su tutto il territorio nazionale le donne vittime di violenza.

Le biografie delle protagoniste 

CONTESSA LARA di Brunella Schisa
Bionda, occhi azzurri, elegante, colta, poetessa dalla prima ora, poi giornalista e ancora scrittrice di novelle e romanzi. La sua vita è stata costellata di drammi e di scandali. Uccisa a 47 anni da un colpo di pistola dall’amante mantenuto.

GRAZIA DELEDDA di Antonella Appiano
“Autodidatta, bruttina e anticonformista” come lei stessa si definisce. Passionale e sanguigna come i suoi personaggi. Trasgressiva, spregiudicata, scontrosa e difficile. Studia, legge, scrive e mantiene contatti con editori di molte città italiane. Riceve il Nobel per la letteratura nel 1927.

CRISTINA TRIVULZIO di BELGIOJOSO Di Sandra Artom
Femminista ante litteram, bella e affascinante, dotata di grande intelligenza e cultura, spirituale e spiritosa, ispiratrice di grandi amori e ammirazione da parte di scrittori, poeti, musicisti, storici e uomini politici tra i più importanti del suo secolo, italiani e stranieri.

“Care ragazze – Un promemoria” per le più giovani e per chi ha la memoria corta, il libro di Vittoria Franco

Bisognerebbe portarlo sempre con sé questo “promemoria” di Vittoria Franco – docente di filosofia alla Normale di Pisa, senatrice del Pd e per lungo tempo responsabile delle Pari Opportunità per i democratici.  Certo è molto di più di un “bignami” della storia delle conquiste femminili. Un mini saggio ricco e documentato da centellinare ma nello stesso tempo una lettera appassionata da leggere tutta di un fiato. Un appello intenso rivolto a tutto il mondo femminile. Quasi una chiamata alle armi. In Italia, le donne sono più brave negli studi ma faticano a occupare posti di rilievo nel mercato del lavoro. Il merito, da solo, sembra un concetto in via di estinzione, valido solo se accompagnato dalla bellezza. E assistiamo a un ritorno al sessismo ostile alle donne preparate e autorevoli che rifiutano lo stereotipo di “ornamento”.
Certo sono le ragazze a correre i rischi maggiori. Lo ha detto a Job24.it qualche mese fa Rosa Oliva – la proto femminista che nel 1960 riuscì a far abolire dalla Corte costituzionale le discriminazioni di genere nelle cariche pubbliche – “le più giovani danno per scontate molte cose, dimenticando la fatica per ottenere conquiste, diritti. E’ facile tornare indietro se non si tiene alta la guardia”.
Ed è proprio quello che si propone di fare Vittoria Franco con libro “Care ragazze – Un promemoria”. Raccontare a chi non sa. Ricordare a chi ha dimenticato. Perché bisogna avere sempre chiara la consapevolezza che “i diritti delle donne non sono stati dati per natura ma rappresentano il frutto delle lotte di diverse generazioni. E, soprattutto, si possono anche perdere”.

Intervista a Michela Marzano «Il ricambio generazionale è necessario. Ma perché in Italia vale solo per le donne?»

Michela Marzano è romana, ha studiato a Pisa e ora vive e lavora a Parigi, dove insegna Filosofia all’Université Paris Descartes. Dopo un dottorato di ricerca in Filosofia alla Scuola Normale Superiore di Pisa nel 1998 con Remo Bodei, si trasferisce in Francia. Una carriera lampo: nel 1999 è già ricercatrice al Centro Nazionale della Ricerca Scientifica e a 36 anni ottiene l’abilitazione come professoressa universitaria. Due anni fa è stata inserita dal “Nouvel Observateur” nella lista dei 50 pensatori più influenti di Francia. Il suo ultimo saggio, uscito in Italia con il titolo “Sii bella e stai zitta” – edito da Mondadori – non è solo un atto di denuncia della condizione femminile italiana. Affronta tanti temi. L’amore, l’adolescenza, la maternità, il lavoro, il talento, la relazione fra libertà ed eguaglianza. E durante l’intervista vorresti continuare a fare domande perché Michela Marzano, parlando con chiarezza e semplicità, scava a fondo e offre chiavi di lettura importanti. Spunti che fanno riflettere.
Il suo libro ha un sottotitolo “Perché l’Italia di oggi offende le donne”. Già perché? E come le offende?
Con la tendenza a ridurre la donna a un corpo muto oppure a un corpo che – se parla- riproduce un discorso non autonomo. E con una progressiva regressione del modello femminile a oggetto di consumo. Di decoro. Un Modello unico. Il modello di riferimento promosso nel nostro Paese è quindi quello di una donna giovane, già schiava di diete e della chirurgia estetica per piacere al maschio.

50 anni di parità – Intervista a Rosa Oliva

50 anni di parità – Intervista a Rosa Oliva: la sua battaglia aprì le carriere pubbliche alle donne nel 1960

Un’apripista. Una donna che non si è arresa e ha lottato per ottenere ciò che le spettava. E lottò per tutte le italiane, le madri delle venti-trentenni di oggi. Fu proprio grazie a lei che il 13 maggio 1960 la Corte Costituzionale abolì le discriminazioni di genere nelle carriere pubbliche con la sentenza n.33. Solo da allora le laureate italiane cominciarono a entrare in prefettura e diplomazia. Dal 1963, in magistratura. E dal 1999, intraprendere la carriera militare. Caschetto ramato e occhi vivaci, origini napoletane ma romana di adozione, Rosa Oliva accompagna le parole con sorrisi dolci. E un po’ divertiti. Come se fosse sorpresa di trovarsi al centro di tanta attenzione. Eppure è un personaggio importante nella storia dei diritti femminili
Come incominciò l’avventura?
Avevo studiato all’Università La Sapienza di Roma con il costituzionalista Costantino Mortati e mi ero laureata nel 1958 in Scienze Politiche con una tesi in dinamica degli ordinamenti giuridici.
Quale professione aveva in mente di fare?
Non avevo dubbi. Funzionario dello stato. In particolare mi attirava la carriera di Prefetto. Così fra i bandi di concorso del Ministero dell’Interno scelsi proprio quello di Consigliere di Prima Classe, il primo gradino per l’iter, e feci domanda. Anche se sapevo già che, fra i requisiti richiesti, ce n’era uno che proprio mi mancava. Essere uomo.
Quindi?
Mi convocarono al Commissariato di Vigna Clara, dove un maresciallo mi disse imbarazzato: «Dottoressa la sua domanda è stata respinta. Le donne non possono diventare Prefetto». Chiesi una dichiarazione scritta e andai subito da Costantino Mortati. Lesse il foglietto e mi chiese: “Ma lei viene da me come professore o come avvocato?” Così iniziò la battaglia.

Femministe ieri, oggi e… islamiche?

Femministe ieri, oggi e… islamiche? Non c’è contraddizione, lo spiega un saggio nuovo in libreria

Il femminismo islamico è un fenomeno ancora poco conosciuto in Italia ma ricco e in  crescita costante. Variegato, vivace, multiforme. Declinato al plurale. Come il mondo musulmano, d’altra   parte. Certo una contraddizione per chi si è fermato all’immagine della donna musulmana, sottomessa al maschio, velata, relegata fra le mura domestiche. Renata Pepicelli – ricercatrice dell’Università di Bologna – ha pensato di fare chiarezza con un saggio, pubblicato da Carocci, intitolato proprio “Femminismo islamico- Corano, diritti, riforme”.
 
“Una definizione del femminismo islamico?” è un movimento complesso, che riunisce donne musulmane di tutto il mondo, ma loro spesso non si riconoscono in questo termine. La base comune è la rilettura del Corano per demolire l’interpretazione maschilista, misogina e patriarcale che ne è stata fatta nei secoli” spiega l’autrice.
In sintesi, le femministe islamiche sostengono che proprio nell’Islam, nel Corano e nelle parole del Profeta, si trovano già tutti i fondamenti per le rivendicazioni di genere e l’uguaglianza fra i sessi. La religione stessa diventa quindi orizzonte di emancipazione. Qualche nome di spicco del movimento? La sociologa marocchina Fatima Mernissi, una delle femministe più rappresentative a livello internazionale. E Asma Lamrabet medico pediatra all’Ospedale di Rabat e coordinatrice del GIERFI (Gruppo Internazionale di ricerca sulla donna musulmana e il dialogo interculturale).
 “Ho incominciato ad occuparmi del fenomeno nel 2004, quando in Italia se ne parlava appena – continua Renata Pepicelli- e in Europa il dibattito era ancora marginale. E oggi? “La situazione è cambiata. Anche grazie ad un uso intenso delle Rete. Attraverso il web le diverse anime del movimento sono diventate visibili. S’incontrano. Si diffondano. Portali come  www.islam21.net (in arabo e in inglese) per esempio, rappresentano spazi importanti di dibattito a livello internazionale. E attraverso blog e forum, attiviste e intellettuali, possono confrontarsi con le ‘colleghe’ sparse nel mondo”. Le femministe islamiche non studiano infatti  solo l’interpretazione del Corano.

In Italia nasciamo pari e cresciamo dispare, ci vuole un comitato!

La sala Igea dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana è affollata. I fotografi bersagliano di flash le promotrici, Fiorella Kostoris e Emma Bonino, rispettivamente Presidente e Presidente onoraria del Comitato. Chi arriva tardi si siede per terra. L’atmosfera, nonostante la sede istituzionale, è allegra e informale. Per le relatrici nessun palco ma un semplice tavolo rotondo al centro della sala.
Emma Bonino, dopo anni di battaglie per la posizione della donna, non ha perso energia né senso dell’humour. “In Italia nasciamo pari e cresciamo dispare. Ma non è un destino ineluttabile, possiamo ancora cambiarlo”. Sostiene l’importanza della valorizzazione del merito e del talento, “troppo spesso risorse inutilizzate”. E si sofferma sugli effetti negativi dei modelli femminili proposti dai media,  mortificanti e comunque stereotipati.  Sul piccolo schermo non sono presenti modelli vincenti grazie al merito, alle capacità. Le ragazze consapevoli di sé non si lasciano influenzare, tante invece, interiorizzano le immagini che entrano ogni giorno in casa e che incideranno sulle scelte di vita.

Il potere della bellezza? Dalla denuncia femminista niente è cambiato.

Il potere della bellezza? Dalla denuncia femminista niente è cambiato. E per gli uomini l’altezza “paga”.
 
“Quanto più le donne si avvicinano al potere, tanto più si chiede loro un’autocoscienza fisica e la bellezza diventa la condizione necessaria per fare il passo successivo”. Lo ha scritto, diciotto anni fa, Naomi Wolf (nella foto) nel pamphlet, colto e rivoltoso, “Il mito della bellezza”. Secondo la giovane post femminista – nel 1991 aveva 28 anni – “la Qualificazione Professionale della Bellezza” pregiudicava gravemente ogni conquista femminile. Le belle erano avvantaggiate nei posti di lavoro. Spesso però correvano il rischio che l’avvenenza, vista come minaccia “alla serietà dell’ufficio”, fosse usata contro di loro.
Sono passati quasi venti anni. Che cosa è cambiato?
Nulla. In California, una cameriera è stata licenziata dal titolare del ristorante perché non voleva truccarsi. Ennesima dimostrazione che non soltanto “le professioni delle bellezza esigono la bellezza”. Quindi, tra due aspiranti a un posto di commessa, l’impiego andrà, molto probabilmente, alla più carina. Ma nell’agosto scorso, il Trade Union Congress, organo di collegamento fra i sindacati britannici, ha presentato una mozione per vietare i tacchi alti in ufficio. Mettono a rischio la salute e sono troppo sexy. E una giovane guardia carceraria inglese è stata licenziata perché “con l’aspetto gradevole provocava i detenuti”.
1991: Naomi Wolf denuncia il terrorismo estetico che – con la complicità dell’industria della cosmesi e della chirurgia – costringe le donne ad immolarsi sull’altare della bellezza-giovinezza ad ogni costo. 2009: “il gioco” si è perfezionato. E’ diventato ancora più crudele e pericoloso. Libri inquietanti (come “Mamma perché sono grassa” di Cintia Moscovich, ed. Cavallo di Ferro e “Appena ho 18 anni mi rifaccio” di Cristina Sivieri Tagliabue, ed. Bompiani dimostrano che lo specchio della matrigna di Biancaneve è passato anche nelle mani delle giovanissime già alla ricerca della perfezione.