Patto Atlantico

Profughi siriani

Siria: scenari possibili post-elezioni 2014

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La notizia di per sé non “fa notizia”. La vittoria infatti era prevista e scontata. Bashar al-Assad, in base ai dati ufficiali diffusi dalla ieri sera dalla televisione di Stato (n.d.r. mercoledi 4 giugno) è stato rieletto per il terzo mandato di sette anni, con l’88, 7% delle preferenze. Piuttosto sono importanti alcune riflessioni. Cambierà qualcosa in Siria dopo le elezioni presidenziali del 2014? Quali gli scenari possibili?

Una premessa. Come abbiamo già scritto, in Siria non si sono svolte elezioni veramente pluralistiche e rappresentative di tutto il Paese per almeno tre motivi: gli sbarramenti previsti dalla nuova legge elettorale per gli aspiranti candidati (che di fatto escludeva i dissidenti storici e gli esponenti delle Opposizioni in esilio); le elezioni predisposte solo nei territori controllati dal regime, circa il 40% del Paese, sul quale vive il 60% della popolazione; l’impossibilità di svolgere libere elezioni in una Siria in piena guerra civile con un bilancio tragico di 160mila morti, circa 3 milioni di profughi, 6 milioni di profughi interni. Intere città in macerie, infrastrutture distrutte, decine di migliaia di persone senza acqua né cibo e 11 milioni di siriani senza fonte di sostentamento.

Nell’immediato  post-elezioni,  il Regime di Damasco festeggia, il Segretario generale del Patto Atlantico Michael Rasmussen annuncia che nessuno dei  28 paesi membri le riconoscerà valide. E l’Opposizione le ha aveva già bollate come una farsa, dando il via alla campagna #BloodElection.  Si continua  a combattere ad Aleppo, a Daraa, e alle porte di Damasco, bombardate dall’aviazione governativa.  Mentre la Capitale, considerata, area sicura, è colpita, nelle aree periferiche dai mortai dei ribelli.

Insomma “fu vera vittoria”?
Secondo i media di regime e secondo gli alleati di Damasco, il risultato legittima la leadership al potere e rappresenta una sconfitta per i Paesi che stanno cercando di far cadere il governo di Bashar al -Asad, un uomo «amato e voluto dal suo popolo».  La realtà sul terreno però ora appare diversa. Certo, a tre anni dall’inizio della crisi siriana, Bashar al – Asad è ancora in sella.  Ma questo dipende anche da un errore di valutazione all’inizio dei disordini. Allora, l’Occidente, la Turchia e i paesi Arabi del Golfo,  non capirono che gli Assad potevano contare su un consenso piuttosto ampio da parte della borghesia commerciale, imprenditoriale, dalle minoranze religiose. E nel pieno appoggio dell’esercito che  non è – come un Egitto – un potere nel potere, ma un’istituzione legata strettamente al clan degli Assad.  Il consenso però è andato via via scemando durante i tre anni di repressioni e violenze. Violenze compiute – come è stato documentato da più fonti  – anche da milizie che di nome appartengono alla Rivoluzione, ma che agiscono in realtà secondo regole del brigantaggio. E dai gruppi Jihadisti, legati o meno ad Al-Qaida, ( due nomi per tutti, Fronte al Nusra e l’Isis, acronimo dello Stato Islamico dell’Iraq del Levante.

Ma questo è  proprio un primo punto su cui è necessario riflettere. Spesso il messaggio che arriva dai media è che in Siria la scelta obbligata sia fra gli Assad e il terrorismo. Un messaggio incompleto. Bisogna conoscere l’intera storia. Una narrazione non può incominciare da metà racconto o da un punto imprecisato. È necessario ricordare che all’inizio delle rivolte, nel marzo 2011, non erano presenti sul territorio siriano forze estremiste straniere, ma solo siriani. Siriani che chiedevano riforme e manifestavano senza armi. Senza dubbio la mancanza di una Opposizione unita  con un chiaro progetto politico e l’ingerenza dei paesi stranieri hanno complicato la situazione e in Siria le rivolte si sono trasformate in una guerra  a “più piani”.  In un conflitto  interno, regionale e internazionale. Infatti ormai la “crisi siriana” viene divisa in fasi sia dagli analisti politici che dagli studiosi.

I siriani vogliono la pace. I siriani sono stremati. Molti vorrebbero tornare indietro, molti continuano a credere “che ne sia valsa la pena”. In ogni caso, voler cancellare la presenza dei ribelli siriani, quale forza attiva e portatrice di valori è una mistificazione. Un’ingiustizia per quanti hanno lottato e lottano ancora per la libertà in buona fede. E qui arriviamo al secondo punto di riflessione: i popoli arabi coinvolti dalle “primavere” e nello specifico i siriani sono davvero costretti a scegliere fra regimi dittatoriali e estremismi terroristici? Non esiste una terza via? Una via lunga, difficile, lenta certo dolorosa,  basata sulla riconciliazione nazionale, il dialogo?

Scenari possibili del dopo le elezioni. Non certo la fine del conflitto armato. Nessuno deporrà le armi: rimane la balcanizzazione della Siria con Bashar al- Asad a capo della zona più fertile, il “Signore della guerra” più potente. Rimane la soluzione politica, ma il fallimento di Ginevra 2 e delle varie riunioni degli Amici della Siria, dimostrano che i governi e le diplomazie non sanno o non vogliono fare nulla per trovare una soluzione.  E che gli organismi internazionali  non sono in grado di far fronte a emergenze umanitarie gravi e complesse come quella  siriana. Esistono invece sul campo, piccole realtà di collaborazione locale: brevi tregue fra gruppi rivali,  gruppi di esponenti  della società civile impegnata nella ricostruzione del Paese (soprattutto nelle zone sotto il controllo dell’esercito siriano libero) e nella lotta contro la formazione integralista dell’Isis che, di fatto, sta agendo come forza di contro-rivoluzione perché attacca anche i civili, gli attivisti e l’Esercito Siriano Libero.

Sono micro- laboratori di un dialogo destinati a svilupparsi o a fallire: impossibile prevederlo. Ma che rappresentano un dato concreto in mezzo ai miliardi di parole spese a vuoto dalle Cancellerie,  in mezzo alle rovine, alle città bombardate, ai migliaia di profughi  in fuga da un conflitto spietato e fino ad ora, inarrestabile. Un conflitto che ha colpito soprattutto i bambini come segnala il recente rapporto Unicef  “Under Siege.The devastating impact on children of three years of conflict in Syria” .  Secondo il resoconto,  i bambini uccisi dall’inizio del conflitto siriano sono almeno 10 mila. I bambini colpiti da traumi, violenza, sradicamento forzata, ferite psicologiche,  circa 5,5 milioni. Quasi 3 milioni di giovani siriani risultano sfollati all’interno del paese, e il numero totale di bambini rifugiati è passato da 260.000  (un anno fa)  a 1,2 milioni (di questi, 425.000, hanno meno di cinque anni).

Queste sono le notizie che i media a larga diffusione dovrebbero divulgare invece d’inseguire l’ultima notizia e poi “far sparire” i Paesi in guerra dalle loro pagine per inseguire un’altra crisi, un’altra guerra.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro Siria: scenari possibili post elezioni 2014 (riproducibile citando la fonte)

Vedi anche:

Siria: tu chiamale se vuoi elezioni

Voci della Opposizione siriana

Siria: ieri, oggi, e domani?

 

 

Scontri, tensioni e attentati: la Siria nella spirale della violenza

Mohamad Shama era uno dei giornalisti siriani che, insieme a noi giornalisti stranieri, aspettava ogni mattina di partire seguendo i caschi Blu dell’Onu in missione. Nel maggio scorso, prima che il generale Mood dichiarasse che “per motivi di sicurezza” le missioni erano sospese, il gruppetto di operatori e giornalisti restava ore ad aspettare con pazienza, sotto il sole, il segnale. Era. Perché Mohamad Shama, che lavorava per la televisione siriana satellitare al-Ikhbariya Channel, è stato ucciso insieme ad altri tre colleghi ieri (mercoledì 27 giugno ndr) durante l’assalto di un commando armato alla sede Tv, a Jan Shih, circa 25 chilometri dalla capitale. L’attacco è avvenuto poche ore dopo che il Presidente Bashar al-Assad aveva dichiarato che la Siria “è ormai in stato di guerra su tutti i fronti”.

L’escalation della violenza nel Paese sta seguendo un ritmo sempre più serrato e veloce. Due giorni fa sono scoppiati scontri tra le forze governative e i ribelli fino alle porte di Damasco, vicino alle postazioni della Guardia Repubblicana, mentre questa mattina una forte esplosione è avvenuta davanti al palazzo di Giustizia a Damasco. Sugli schermi della tv di Stato siriana sono apparse immagini di automobili in fiamme nel parcheggio dell’edificio. Nessuna vittima, sembra.

In sottofondo la situazione tesa con la Turchia. Venerdì scorso infatti la contraerea di Damasco, ha abbattuto un caccia turco sostenendo che aveva violato lo spazio aereo siriano. Tra accuse e contro accuse il Premier turco Recept Tayyp Erdogan ha richiesto una riunione degli ambasciatori Nato in base all’articolo 4 delPatto Atlantico (che prevede consultazioni quando la sicurezza di un Paese membro alleato può essere a rischi). Espressioni di solidarietà scontata per la Turchia, ma la Nato dice no a un’azione militare.

Il fatto impone comunque alcune riflessioni: la Turchia ha voluto cercare un casus belli? O è stato davvero un incidente? La versione di Ankara è, ovvio, completamente diversa da quella di Damasco: “un volo disarmato del Phantom F-4 per rilevare radar turchi”. La Russia, alleata della Siria, ha messo una pulce nell’orecchio dichiarando invece che il caccia “doveva testare i sistemi di difesa siriani e fare spionaggio per la Nato”. Il premier turco ha comunque annunciato nuove regole d’ingaggio per le forze militari turche lungo gli 822 km di confine fra i due Paesi. Da ora “dovranno rispondere con le armi a ogni violazione del confine”.

La Turchia non ha intenzione di attaccare la Siria, ha dichiarato Erdogan a ’Le Monde’, ma in queste condizioni, si sa, basta poco a provocare la scintilla. Anche perché lungo la frontiera porosa passano da mesi profughi, disertori, oppositori armati, mercenari, guerriglieri. Un traffico di uomini e di armi.

In questa situazione sempre pericolosa, l’inviato dell’Onu Kofi Annan sta provando a giocare ancora una carta per una soluzione politica e ha convocato per sabato 30 giugno, a Ginevra, una conferenza delle grandi Potenze e dei Paesi arabi. La proposta di Kofi Annan? L’istituzione nel Paese di un governo di transizione che includa sostenitori del presidente Bashar al-Assad e membri dell’opposizione. Le maggiori potenze Russia, Cina, Stati Uniti, Regno Unito e Francia sembrano sostenere l’idea. Non ci resta che aspettare. In quella che ormai sembra una spy story, ma che purtroppo è una tragica realtà, e al di fuori degli interessi internazionali, regionali, delle Cancellerie, dei giochi di potere, come sempre il popolo siriano rimane l’unica vittima. Su tutti i fronti.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/la-siria-nella-spirale-della-violenza/ (riproducibile citando la fonte).