piazza Taksim

L’Egitto e l’Islam politico

Intervista a Massimo Campanini

 

Gli eventi  in Egitto hanno riacceso il gran dibattito fra gli studiosi sulla ‘morte dell’Islam politico’ e sulla ‘fine dei Fratelli musulmani’. Un fallimento profetizzato già da Olivier Roy agli inizi degli anni ’90 e sconfessato dalla storia. Si sa che perdere una battaglia non significa perdere la guerra. E le analisi che mostrano un Islam politico alla fine del percorso, sono certo premature.

Assad e Erdoğan: c’eravamo tanto amati

Come sono cambiate le relazioni fra i due Paesi dopo le rivolte siriane. La “rivincita” di Bashar dopo gli scontri di Piazza Taksim

Solo pochi anni fa, il primo ministro turco Recep Tayyip  Erdoğan e il presidente siriano Bashar al- Assad erano buoni amici. Ottime relazioni economiche e politiche fra i paesi. E ottime relazioni personali fra le rispettive  famiglie che trascorrevano insieme le vacanze estive. Siriani e turchi passavano da una parte all’altra del confine esibendo soltanto la carta d’identità. Il ministro Davutoğlu faceva spola fra Ankara e Damasco per discutere progetti commerciali di sviluppo e cooperazione. Erdoğan voleva addirittura coinvolgere Bashar in  un accordo con Israele sul Golan. Si racconta che  la celebre teoria dello “zero problemi con i vicini” sia nata proprio pensando a Damasco. Una teoria fondata sul sanare vecchi contrasti e  riallacciare rapporti con tutti i Paesi vicini,  per portare la Turchia al ruolo-chiave di un’area che andava  dai Balcani al Caucaso e dal Mar Nero al Mediterraneo Orientale.

Nessuno allora poteva immaginare scene di proteste, manifestazioni. Repressioni e violenza. Nessuno aveva previsto “le primavere arabe” e nessuno dei due leader avrebbe mai immaginato di poter essere contestato.  Il Sultano Erdoğan si  immaginava leader nel nuovo Medio Oriente: ambizioso, inorgoglito dal fatto che  la stessa Turchia, con un Governo islamico accettato anche dall’Occidente, fosse diventata un modello da seguire per gli stessi paesi arabi. Mentre Bashar al-Assad si sentiva al sicuro nel complesso, sofisticato e ferreo modello di regime ereditato dal padre.

Ma  l’esplodere delle prime rivolte in Siria, nel marzo del 2011, fa crollare l’armonia. Erdogan abbandona presto il vecchio amico. Ankara passa da posizioni  pro-Assad, fiduciose nella stabilizzazione della crisi fino a posizioni di aperta disapprovazione  nei confronti del leader. Erdoğan, chiede più volte la fine delle violenze. Poi si schiera con l’Opposizione,  ne ospita la sede in Turchia, offre rifugio all’Esercito siriano Libero. Crea campi profughi  al confine, una zona-rifugio per la guerriglia, sicuro che  sia necessario poco tempo per abbattere il regime. Un errore clamoroso. Bashar resiste e il Premier turco contribuisce  all’internazionalizzazione delle crisi e, in seguito, della guerra civile, innescata dalla reazione violenta di Bashar al- Assad contro le prime manifestazioni pacifiche. La Turchia, insieme alle Petro-Monarchie, chiede più volte all’Occidente di instaurare  una “no-fly zone”. I due ex amici, attraverso dichiarazioni ai media, non si risparmiamo accuse pesanti e frecciate al vetriolo. Erdoğan definisce Bashar “massacratore del suo popolo”. Bashar lo accusa di comportarsi “come il nuovo sultano Ottomano e di appoggiare,  più di chiunque altro, il  traffico di armi e di terroristi”.

Intanto i turchi cominciano a temere che il Paese possa essere coinvolto nella crisi siriana.  Il 23 novembre 2011 il quotidiano ‘Zaman‘ (filo Akp, il partito del Premier) scrive che «Ankara rischia di essere trascinata nella guerra civile ospitando nei campi profughi  l’Esercito Siriano Libero».

Un  vero e proprio campanello d’allarme sui rischi della posizione politica del Premier. Un sondaggio rivela che più del 60% dei turchi è contrario alla guerra e decine di manifestanti scandiscono slogan contro il premier, prima di essere dispersi dalla polizia con manganelli e lacrimogeni. Incidenti di frontiera fra Siria e Turchia e poi attentati fanno temere il peggio.

Da quel novembre 2012  è passato un anno e mezzo, la Siria brucia. L’intera Regione si è trasformata in una zona di guerra e guerriglia con schieramenti opposti: da una parte il Regime con l’Iran,  la Russia, i miliziani libanesi di Hezbollah, e dall’altro gli oppositori armati, sostenuti da Turchia, Qatar, Arabia Saudita, le potenze occidentali e vari gruppi jihadisti e mercenari.

E la Turchia, è travolta, in questi giorni, da una protesta popolare senza precedenti contro il premier Erdogan, accusato di derive autoritarie e conservatrici.  Piazza Taksim chiama Erdogan “dittatore”  e certo il Rais Bashar al -Assad  si “gusta il piatto freddo della vendetta”,  girando a Erdogan le stesse  accuse ricevute: «Il potere che opprime il suo stesso popolo ha perso la sua legittimità», per esempio.  Sembra un paradosso ma, con poca fantasia, Erdogan si difende accusando i manifestanti, come aveva fatto il Rais «di essere guidati da gruppi estremisti» e «collegati con l’estero». E Bashar al -Assad  invita addirittura i siriani a non andare in Turchia. Una zona a rischio. La tragedia rappresentata  dal popolo siriano e l’angoscia per la sorte di quello turco ci impediscono persino di sorridere. 

Antonella Appiano per L’Indro Assad e Erdoğan: c’eravamo tanto amati  (riproducibile citando la fonte)
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