Pkk

27 Luglio 2015: MINIREPORT ESTERI

‪#‎Turchia‬ : a Lice, nell’est del Paese, un’autobomba ha ucciso due militari. Secondo le autorità turche si tratta di una rappresaglia dei militanti curdi per i bombardamenti contro le postazioni del Pkk in ‪#‎Iraq‬. Domani si terrà un vertice straordinario della Nato.Turchia e Stati Uniti si sarebbero accordati per creare una zona franca, (libera dallo Stato islamico) lungo il confine siriano a Nord di Aleppo.
‪#‎Siria‬: il presidente Bashar al-Assad ha ammesso che le forze armate del regime sono a corto di uomini. Papa Francesco ha chiesto la liberazione di padre Paolo dall’Oglio, rapito due anni fa nel Paese.
‪#‎Yemen‬ : Si combatte per il controllo della principale base aeronautica dello stato, a Nord di Aden.
‪#‎Gerusalemme‬ ancora tensione dopo l’irruzione della polizia sulla Spianata delle Moschee Ma secondo il Jerusalem Post non è l’inizio di una nuova Intifada

(Fonti Gardian, Washington Post, Jerusalem Post, Reuters)

Chi combatte in Siria – Seconda parte

Dalla parte di Bashar: le forze armate siriane ma non solo…

Durante una rivoluzione,  l’esercito ha  sempre un ruolo fondamentale. In Tunisia e in Egitto infatti le rivolte dei rispettivi paesi non si sono militarizzate anche perché le forze armate non si sono schierate dalla parte del regime. In Siria invece, nonostante un certo numero di defezioni,  l’esercito si è dimostrato solido e compatto intorno al Raìs.

Ai vertici, gli alti gradi militari sono infatti occupati da alauiti e da uomini provenienti da clan alauiti legati alla famiglia degli Assad. Circa 300mila uomini in servizio attivo e altrettanti “in riserva”. La massa dei militari  arriva dal servizio di leva obbligatorio e appartiene alla maggioranza sunnita mentre in servizio permanente ci sono circa 200mila uomini.  Le divisioni meglio addestrate sono laGuardia Repubblicana (a difesa della dirigenza di Damasco) e la Quarta Divisione meccanizzata, formate esclusivamente da alauiti. La “truppa” proveniente dal servizio di leva non è addestrate alla contro- guerriglia anche  se possiede una massiccia quantità di armamenti forniti per il 78% dalla Russia. Di origine sovietica non solo i veicoli corazzati, i carri armati e l’artiglieria ma anche gli armamenti  dell’aeronautica. Secondo fonti ufficiali, negli ultimi tre anni, la Siria ha comprato armi dalla Russia per almeno un miliardo di dollari.

Nella drammatica guerra civile siriana, come gli oppositori armati non contano solo sull’ESL (Esercito Siriano Libero) ma su una galassia di formazioni e milizie (dai Volontari libici, ai vari gruppi estremisti come Liwa al -Islam o il Gruppo militante jihadista Fronte al Nusra) così anche l’esercito regolare  ha sul terreno i propri alleati.

Gli Shabbiha, milizie private al servizio degli Assad, o delle famiglie dei clan al potere, nate per proteggere i traffici di contrabbando e della prostituzione nelle zone di Latakia, Banyas e Tartus, e oggi impiegate nella repressione.  Contrariamente a ciò che molti pensano non sono tutti alauiti, anzi quelli di Aleppo appartengono alla maggioranza sunnita. A sostegno degli Assad anche i Pasdaran (Guardiani della rivoluzione), gruppi speciali iraniani.  

La presenza sul territorio siriano è stata confermata dal comandante dei  Pasdaran, Mohammad Ali Jafari, all’agenzia di Stampa iraniana Isna. Anche se il comandante ha sottolineato che  il contributo dei Pasdaran si limita «alla consulenza militare, al sostegno economico e spirituale».  Ancora in campo per gli Assad, i miliziani di Hezbollah. Il gruppo politico sciita libanese, per ora combatte nella regione centrale siriana di Qusayr, vicino al confine libanese, dove vivono circa 30.000 libanesi di fedi religiose diverse. E ancora le milizie sciite irachene e le milizie Ligian. Queste ultime sono delle vere e proprie sezioni locali di “autodifesa” che operano nei quartieri cristiani, drusi, sciiti, nate con lo scopo di proteggere la popolazione civile da rapimenti, estorsioni e atti criminali compiuti spesso da ribelli o delinquenti comuni.

Alla galassia caotica e crescente di sigle e compagini che combattono pro o contro Bashar al- Assad  senza una leadership comune, vanno aggiunte le bande di criminali e i gruppi, diciamo, autonomi. Come i curdi del Pyd (Partito dell’Unione democratica), partito curdo siriano nato nel 2003 nella Siria del Nord e affiliato con il Pkk (Partito crudo dei lavoratori) che in  Turchia e gli Stati Uniti è considerato una organizzazione terrorista. Perché autonomi? Perché il Pyd – pur non essendo schierato dalla parte degli Assad- mira soprattutto a tutelare gli interessi dei curdi, quindi è disposto anche a collaborare con il regime se lo ritiene conveniente. Il Pyd boicotta poi l’Opposizione nata e sostenuta dalla Turchia, accusandola di danneggiare la causa curda.

E’ chiaro che se gli “sponsor” esterni continuano ad armare sia le formazioni a favore del governo, sia quelle contro,  la guerra civile continuerà per lunghi anni. Nessuno è in grado di vincere.  Le conseguenze in questo caso saranno tragiche sul piano umanitario e pericolose  su quello politico. «In Medio Oriente, a vote si ha la sensazione che nessun evento della storia abbia un orizzonte finito, che non si volti mai pagina e non arrivi mai il momento in cui poter dire, adesso basta» scrisse in “Cronache mediorientali”, Robert Fisk.

Ma perché la Siria possa continuare ad esistere ora è indispensabile dire “adesso basta”. E dirlo con un intervento reale e pragmatico della Diplomazia russa e statunitense. Le opposizioni purtroppo non rappresentano ancora una soluzione perché incapaci di coalizzarsi  in maniera omogenea ed esprimere un programma politico, unitario e convincente. E in mezzo al tragico balletto di spie e infiltrati, soldati e mercenari, armi e denaro, combattimenti e distruzioni, interessi economici e strategici,  il popolo siriano tenta di sopravvivere.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro  Chi combatte in Siria – seconda parte (riproducibile citando la fonte)

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G+ Antonella Appiano

Chi combatte in Siria

Una rivolta popolare che si è trasformata in guerra civile e l’intervento delle forze regionali e internazionali

Uno studio dell’International Centre for the Study of Radicalisation (Icsr), realizzato al King College di Londra segnala almeno 600 jihadisti di origine europea entrati a far parte delle forze di opposizione al regime di Bashar al Assad dal 2011. Mentre il Coordinatore dell’antiterrorismo

La tensione si allenta fra Damasco e Ankara.

La Siria si scusa e annuncia l’apertura di un’inchiesta

La tensione si allenta fra Damasco e Ankara

Difficile ipotizzare una soluzione diplomatica. Il premier turco Erdogan vuole il supporto della Nato

Cosa succederà ora tra Turchia e la Siria? Damasco ha chiesto scusa ad Ankara e annunciato “l’apertura di una inchiesta”. Da due settimane al confine turco siriano sono in corso combattimenti fra l’esercito regolare e gli oppositori. Non è quindi chiaro chi abbia sparato il tiro di mortaio che ha colpito, l’altro ieri, il villaggio di Akcakale, causando vittime civili. La Turchia ha risposto bombardando la provincia settentrionale di Idlib ma nel pomeriggio ha smesso di attaccare con l’artiglieria le postazioni dell’esercito siriano. E anche se il Parlamento turco ha approvato la richiesta di Erdogan “di condurre operazioni militari fuori dal confine nazionale”, Ankara rassicura la comunità internazionale che non intende agire da sola contro la Siria. E su questo punto il Premier turco è sincero. Vuole il supporto della Nato. Per la seconda volta (la prima nel giugno scorso quando un caccia era stato abbattuto sul Mediterraneo dalla contraerea siriana) ha cercato il ’casus belli’ per un intervento Nato appellandosi all’articolo quattro del trattato, secondo il quale, un attacco contro uno Stato membro è considerato un attacco a tutti i partecipanti dell’Alleanza. Ma né l’Europa né gli Stati Uniti vogliono essere trascinati direttamente nel conflitto. La Cina e la Russia continuano a porre il veto al Consiglio di Sicurezza. E senza dubbio il fermo ’no’ di Mosca gioca un ruolo fondamentale. Come la situazione in Libia che sta degenerando in una spirale di violenza senza controllo. E la presenza in Siria e nell’area regionale, di gruppi jihadisti. I Paesi occidentali sono infatti sempre più preoccupati del peso che i combattenti stranieri hanno conquistato nella rivolta contro gli Assad. Se il fine ultimo è lo stesso, abbattere il regime, gli altri obiettivi, certo non sono in comune.

Che cosa vogliono i curdi siriani?

l ruolo della minoranza mediorientale nella crisi e nelle rivolte

CHE COSA VOGLIONO I CURDI SIRIANI?

Sventolano la bandiera del Kurdistan nelle manifestazioni di protesta, ma prendono le distanze dagli oppositori. “Potrebbe esserci stato un accordo con il governo di Bashar al Assad”

Sventolano la bandiera del Kurdistan nelle manifestazioni di protesta, rivendicando la propria identità. Ma, nello stesso tempo, i curdi siriani prendono le distanze dagli oppositori sostenuti dalla Turchia. Secondo l’’Associated Press’, a partire da agostol`esercito siriano ha abbandonato le postazioni nel nord-est del Paese, lasciandone il controllo ai curdi. Una minoranza stimata circa due milioni di persone (secondoL’Institut Kurde de Paris sono 1.600 mila) che potrebbe rivelarsi una pedina importante sulla scacchiera della siriana. E non solo.

“La totale assenza di scontri armati con le forze dell’esercito siriano, più che a una conquista del territorio da parte delle milizie curde, fa pensare piuttosto ad un accordo fra le parti” afferma Stefano Torelli, Ricercatore presso l’Università di Roma dove si occupa della ’questione curda’. Sempre secondo l’’AP’i militari che hanno lasciato città e villaggi alla frontiera con la Turchia – come Qamishli, Dirbasiyeh, al-Malkia – per rafforzare la posizione ad Aleppo e Damasco, sono stati sostituiti da curdi del PYD ( Partito dell’Unione Democratica ). “La presenza al confine turco del PYD – la più importante fazione armata e strutturata curdasiriana, affiliata al PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) da sempre fonte di preoccupazione di Ankara – rappresenta senza dubbio un segnale preciso di avvertimento alla Turchia, da parte del regime”, aggiunge Stefano Torelli. “Un forte deterrente”.

SIRIA: QUALE FUTURO?

Le dichiarazioni dell’accademico Kepel, il realismo di Lakhdar Brahimi,
il mercato mondiale delle armi, e il dramma di un Paese che non vede la via d’uscita dalla guerra
Lakhdar Brahimi

Gilles Kepel, accademico francese ed esperto di Islam e Medio Oriente, in un recente articolo su ’Le Figaro’, ha dichiarato: “In Siria i problemi interni e la lotta per la democrazia avviata dalle forze di opposizione contro la leadership al potere, sono direttamente articolate con altre linee di forza generate dalle petromonarchie del Golfo, l’Iran, Israele, la Russia, la Cina, gli Stati Uniti e in misura minore l’Europa”.

Fin qui niente di nuovo. Da tempo la crisi siriana si è internazionalizzata. Ed è sempre più difficile prevedere gli scenari futuri e una soluzione pacifica per un Paese in cui, secondo le parole dell’inviato dell’Onu per la Siria Lakhdar Brahimi“la situazione ha ormai raggiunto proporzioni catastrofiche. Nell’intervista rilasciata all’emittente televisiva Bbc’, Lakhdar Brahimi è apparso realista, per nulla disposto a cedere a facili illusioni. O al fascino delle parole vuote delle diplomazie.

D’altra parte, il 78enne algerino non vanta al suo attivo solo importanti missioni di mediatore (inviato della Lega Araba dell’Onu in Afghanistan e in Iraq, in Libano per gli accordi di Taif nel 1989) ma ha vissuto anche in ’prima linea’ i dieci anni di Guerra civile algerina. Dopo il colpo di Stato appoggiato dall’esercito dell’11 gennaio 1992 – che aveva annullato la vittoria elettorale al primo turno (con 188 seggi su 231) del Fronte Islamico di Salvezza – era stato infatti nominato Ministro degli Esteri. E aveva mantenuto posizioni intransigenti, di ’non negoziazione’ con la parte avversaria.

Una sola la nota positiva nel discorso di Brahimi alla ’Bbc’: Mi rifiuto di credere che il popolo siriano si ridurrà a una cieca visione settaria dell’esistenza fino a uccidere il vicino di casa”. Eppure è proprio ciò che è successo in Algeria. Tra il il 1992 e il 1998, decine di migliaia di vittime. Algerini contro algerini in un lungo e sanguinoso conflitto che lacerò profondamente la società civile.

Atteso sabato prossimo (8 settembre 2012) a Damasco, Brahimi, forte della sua esperienza, conosce benissimo la posizione intransigente della leadership siriana. E quella, altrettanto intransigente, dell’opposizione armata. Come potrebbe essere ottimista? Credere in un possibile ’cessate al fuoco’? A una ’smilitarizzazione’ delle parti in campo?

Intanto il presidente russo Vladimir Putin in un’intervista al Canale Tv ’Russia Today’ ha ribadito che non è la Russia a dover cambiare atteggiamento sul conflitto in Siria, ma piuttosto il fronte dei paesi occidentali”. E ha aggiunto, riferendosi alla Libia: “Vorrei ricordare che le iniziative dei nostri partner non sono certo finite tutte come loro stessi avrebbero voluto. La Cina invece si è limitata a dichiararsi “favorevole un dialogo politico tra regime e opposizione, ma senza pressioni dall’esterno”.

Sull’altro fronte dei paesi ’generatori di linee di forza’, la Turchia. Il primo ministro turco Tayyip Erdogan ha accusato il Presidente siriano “di aver creato con il suo regime uno Stato terroristico”. Certamente Erdogan teme l’alleanza dei curdi del Pkk (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) con i curdi siriani. E cerca sostegno. Domenica scorsa a Istanbul, si è svolto in segretezza un incontro fra il direttore della Cia, David Petraeus e Hakan Fidan, responsabile del Mit, i servizi segreti turchi. Nel gran gioco medio-orientale non mancano le fonti di funzionari anonimi dell’Amministrazione Usa, citati dal ’New York Times’, secondo i quali “l’Iran sta rifornendo in modo massiccio Damasco di armi per via aerea, passando per i cieli iracheni”.

A proposito di armi: il timore che la crisi siriana possa oltrepassare i confini, interessando altri paesi dell’area e la possibilità di un conflitto nel Golfo Persico, hanno fatto incrementato le vendite. Nella classifica dei paesi in testa nel rifornimento dei propri arsenali c’è l’Arabia Saudita, che (fonte: Congress Reserch Service) ha acquistato armi dagli Stati Uniti per più di 33 miliardi di dollari.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indrohttp://www.lindro.it/Siria-quale-futuro/ (riproducibile citando la fonte).

 

qui Aleppo, è guerra

Qui Aleppo: “È guerra”

Gli attori sulla scena si stanno moltiplicando, e cresce il dubbio sulla presenza di terroristi affiliati ad Al Qaida tra i ribelli.
L’esercito usa tutte le sue forze (elicotteri, missili, carri armati) contro i ribelli che non sono altro che bande armate di terroristi assetati di sangue e avidi di denaro. Noi siamo chiusi in casa. Molti scappano. Scarseggia tutto.

L’ombra dei curdi in Siria

Al cambio di governo si dividono tra oppositori e sostenitori del ragime. La Turchia sta a guardare.

L’Opposizione siriana è divisa anche all’interno del fronte curdo. Nel paese i curdi sono circa 1 milione e mezzo, circa il 10% della popolazione e vivono soprattutto nella regione nord-orientale di al-Hasake.

Il regime bathista ha sempre osteggiato il riconoscimento dell’identità curda, ma l’8 aprile 2011, dopo qualche settimana dall’inizio delle rivolte, il Presidente Bashar al-Asad ha concesso la cittadinanza ai curdi dell’Hasake (prima registrati come stranieri). E la repressione nelle zone curde è stata piuttosto ’morbida’. Infatti la leadership di Damasco è consapevole di un grande rischio: i curdi siriani possono contare sull’aiuto di milizie curdeirachene e turche.

Nello stesso tempo ben 11 partiti curdi non hanno aderito al CNS (Consiglio Nazionale siriano), una delle piattaforme dell’Opposizione più rappresentative, nata nel settembre scorso sotto l’egida turca e con sede a Istanbul. Fra questi ’dissidenti’, il Pyd, la sezione siriana del Pkk (il partito dei lavori del Kurdistan di Ocalan, considerato un’organizzazione terroristica in Turchia) che non accetta alcuna forma di collaborazione con Ankara.Impossibile per i loro rappresentanti avere a che fare con il governo turco che attacca il popolo curdo in Iraq.

I curdi che non hanno aderito al CNS, inoltre, hanno timore che l’Opposizione non voglia sostenere le rivendicazioni culturali e linguistiche, un governatore curdo nell’Hasake, il ritorno degli espatriati. Fa parte del CNS invece, la fazione ’Il Movimento del Futuro’, nata nel 2005. Anzi il suo leader, Mishaal Tammo era tra i fondatori del Consiglio nazionale siriano. Era. Perché il 7 ottobre scorso Tammo è stato assassinatoDa chi? Dal regime siriano o dalPyd? Un leader scomodo, che ridimensionava la specificità curda ed era disposto a trattare con Ankara.

Un problema, quello curdo, che ormai allarma anche Ankara. Schierata contro il regime, la Turchia ha ospitato il CNS sperando che le rivendicazioni dei curdi siriani potessero riconoscersi in quelle dell’Opposizione. Ma in questi giorni i curdi siriani del Consiglio Nazionale Curdo (CNC) hanno abbandonato l’ultimo incontro del CNS, perché la richiesta di veder riconosciuti i loro diritti “comunitari” era stata rifiutata.

Sembra che il CNC si stia orientando verso una richiesta di autonomia. Ed è proprio ciò che la Turchia teme. Come teme che il regime siriano possa servirsi del Pyd, in maniera ’attiva’. In un ’palcoscenico’ in cui sembrano moltiplicarsi gli attori in scena e dietro le quinte, impossibile fare previsioni semplicistiche o superficiali. A volte chi sembra una semplice comparsa può diventare protagonista e cambiare di nuovo la trama.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/lombra-dei-curdi-in-siria/ (riproducibile citando la fonte)