Primavere arabe

Qui Siria - Clandestina ritorna a Damasco edizioni Quintadicopertina

Qui Siria – Clandestina ritorna a Damasco

Qui Siria. Clandestina ritorna a Damasco” è il mio secondo libro sulla Siria. Ma questa volta per raccontare  ciò che ho visto nel Paese nei viaggi successivi al 2011,  la trasformazione delle rivolte pacifiche  in guerra civile,  e i fatti  fino ai giorni d’oggi, ho scelto di scrivere un ebook. Perché permette –  attraverso collegamenti multimediali, foto, mappe, approfondimenti, timeline –  una lettura più ricca e intensa. Quasi vissuta in prima persona dal lettore.

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Egitto: manifestazione davanti sede Sindacato Egiziano Giornalisti

Egitto, paese diviso

Egitto: manifestazione davanti sede Sindacato Egiziano Giornalisti(Il Cairo). Schierati sulla gradinata della sede del Sindacato egiziano dei giornalisti, a Downtown, intonano slogan: “Vogliamo la caduta del Presidente Morsi”. Sono circa le 18 del 27 marzo. E poco prima ho incrociato un piccolo corteo che scandiva lo stesso slogan, fra rulli di tamburi. La gente si ferma a guardare. Commenta. Qualcuno raggiunge i giornalisti sulla scalinata. “Lavoriamo in varie testate nazionali – racconta Ala Al-Khodairy che fa parte del sindacato – e vogliamo tutti un nuovo governo”. ”Però Mohammed Morsi è stato eletto”. “Certo – conferma- durante le prime elezioni libere del Paese, con la legittimità del voto. E con lui i Fratelli Musulmani. Ma Morsi non sta facendo nulla per i risolvere i gravi problemi economici dell’Egitto”.

Si sa che il negoziato fra il Cairo e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ristagna. Un balletto. Il Fondo, per concedere il prestito del valore di 4,8 miliardi di dollari, pone la condizione di una vera riforma dei sussidi e del fisco. L’Egitto ha bisogno degli aiuti perché le sue riserve in valuta estera si stanno esaurendo. Con il rischio di gravi disordini sociali. Ala Al -Khodairy, giacca e cartella porta-documenti sotto il braccio aggiunge: “Siamo contrari ai Fratelli Musulmani. Influenzano le decisioni politiche di Morsi. Non sanno governare e temiamo i loro principi religiosi rigidi”.

Una manifestazione come tante, quella di ieri al Cairo, che segue quelle più violente di venerdì scorso, quando sostenitori e oppositori del Presidente Morsi e dei Fratelli Musulmani si sono scontrati davanti alla sede principale del braccio politico della Fratellanza, il Partito Libertà e Giustizia nel quartiere di Moqamma. “C’è qualcosa che non quadra – sostiene Moustafa, 28 anni, guida turistica, una laurea mancata in informatica (ora disoccupato) che ha partecipato alla Rivoluzione contro Mubarak ed è schierato con l’Opposizione Civile. È stato lui ad informarmi per telefono delle manifestazioni del 22 marzo. “Troppa violenza, c’erano anche ragazzini con pietre, bottiglie rotte. Bambini di 8, 10 anni. Poveri. Qualcuno li paga? Dove è finita la nostra Rivoluzione?”. Viene in mente una frase del film ‘La battaglia di Algeri‘ di Gillo Pontecorvo: “Iniziare una rivoluzione è difficile, ancora più difficile è continuarla, e difficilissimo è vincerla. Ma sarà solo dopo, quando avremo vinto, che inizieranno le vere difficoltà”.

Il Cairo sotto una vernice scintillante, anche dal punto di vista culturale, mostra realtà di profonda emarginazione e povertà. A Zamalek, locali che non sfigurerebbero a Parigi e zone con le fogne a cielo aperto vicino al famoso ‘bazar’, Kan al- Khalili. Mente i mendicanti chiedono l’elemosina davanti a negozi lussuosi. E in tutto il Paese coesistono elementi di modernità e di arretratezza. Donne velate passeggiano vicino a ragazze in jeans aderenti e capelli al vento. Manager in giacca e cravatta e bawab, i portieri, in jellabie consunte. Fuoristrada e carretti trascinati dagli asini. Il tutto mescolato ai fermenti democratici risvegliati.

Certo un contesto difficile per un Movimento come quello dei Fratelli Musulmani legato profondamente alla religione. La transizione sembra inceppata. La via democratica si presenta piena di punti interrogativi. Come conciliare i dogmi religiosi con il principio della tolleranza, per esempio? Però questo tentatvo potrebbe anche essere il motivo delle incertezze del Partito Libertà e Giustizia. Forse stanno attraversando una fase di transizione e cambiamento. “Vivendo al Cairo, non riesco a pensarla islamizzata” afferma Ahmad, 24 anni studente di lingue alla Cairo University. “Il pericolo, piuttosto è quello di una rivoluzione per il pane. Di che cosa ho paura? Di un golpe dei militari. Molti di noi hanno creduto che l’esercito, durante la Rivoluzione del 25 gennaio 2011, si sia fatto da parte per la causa. Invece ha abbandonato Mubarak solo per non perdere il potere”.

Anche secondo Moustafa “l’esercito, fra le difficoltà del governo e le divisioni della Opposizione, è l’unico che può trarre vantaggi. Mantiene consensi anche in ambienti insospettabili, perché in quasi tutte le classi sociali, c’è qualcuno che appartiene alle Forze armate. La carriera militare per tanti è l’unica possibilità di promozione sociale”. L’esercito, in Egitto, è una lobby a capo di un vero e proprio impero finanziario: dal mercato immobiliare alle pompe di benzina, dalla produzione dell’olio d’oliva a quella dell’acqua minerale.

Egitto: una pentola a pressione pronta ad esplodere. Contraddizioni, divisioni, richieste. Anche rimpianti. Sono in moltiinfatti a rimpiangere il Raìs Mubarak. Li incontri un po’ dovunque in città. Ma per essere sicuri di parlare con i nostalgici basta andare a bere qualcosa nei giardini dell’Hotel Mariott. L’Hotel, un incanto di archi moreschi e due ettari di giardino, fa parte del palazzo fatto costruire dal Kedivé Ismail, sull’isola del Nilo Zamalek, per ospitare Eugenia imperatrice di Francia invitata in Egitto nel 1860, per l’inaugurazione del Canale di Suez Ancora nell’isola di Zamalek, si trova il Ghezira Sporting Club, dove si ritrovano, da decennni, gli appartenenti alla upper class. Sospirano, affermando che “ora non esiste sicurezza né libertà”. Un’altra accusa che ripetono spesso: “I Fratelli musulmani sono ambigui e opportunisti“. Accuse che, in verità, si presterebbero a molti esponenti politici, anche nostrani.

In taxi la radio trasmette dibattiti politici. Nei caffè, nei negozi, ovunque, si sente criticare il Presidente Morsi. Sembra una ubriacatura. Dopo l’Era Mubarak esiste per la prima volta libertà di espressione. Eppure nessuno sembra ricordare più le censure, gli arresti, la presenza nella vita quotidiana dei cittadini ai tempi del Raìs.

Al Cairo si respira un’aria strana. Un miscuglio di attesa, speranza, disillusione, rivendicazione. Anche indifferenza. Fra il folto gruppetto che assiste alla manifestazione dei giornalisti, ci sono molte ragazze. Chiedo ad una di loro, hijiab azzurro e zainetto sulle spalle, che cosa ne pensa. Alza le spalle “Ci siamo abituati”. “Che fai? Fotografi? Ma se non sta succedendo nulla”.

In esclusiva per Lindro, riproducibile citando la fonte.
per L’Indro:  Egitto, paese diviso

 


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Cattolici in Egitto: “Una minoranza nella minoranza”

Intervista a Monsignor Adel Zaki, a capo della comunità cristiano-cattolica in Egitto
I cristiani hanno bisogno di unità e tolleranza tra tutte le fedi

Il Cairo – Mi accoglie sorridente, senza cerimonie nella sede del Vicariato del Cairo, a El Korbe. La sala è semplice, due divani di velluto, qualche poltrona. Monsignor ADEL ZAKI Monsignor Adel Zaki, francescano, è diventato vescovo dopo una lunga gavetta. Direttore di scuola, parroco,da quattro anni è alla guida della comunità cristiano-cattolica in Egitto. Una minoranza nella minoranza.Ma significativa” precisa Adel Zaki. In Egitto i cristiani sono circa il 10%, e la maggioranza appartiene alla Chiesa Copta. “La Comunità Cattolica” – spiega Monsignor Zaki – “è composta da ben sette riti: copto-cattolico, latino, melchita, siriaco, caldeo, armeno e greco-cattolico. I cattolici sono soltanto 250mila, però la Chiesa  Cattolica è profondamente radicata in questa terra, attraverso scuole, strutture sanitarie e culturali aperte a tutti: cristiani e musulmani. Ed è importante ricordare che la presenza cattolica in questa terra è legata a Francesco d’Assisi, al suo celebre incontro nel 1219 a Damietta, con il Sultano Malek el-Kamel, durante le Crociate. Francesco è stato un antesignano del dialogo fra le religioni e culture diverse“.

Francesco è anche il nome scelto dal nuovo Papa…
Sono convinto che Papa Francesco sarà infatti portatore dei valori della semplicità e del dialogo. Credo che il nuovo papato possa rappresentare l’inizio della distensione nei rapporti tra i Cattolici e l’Islam dopo i momenti difficili seguiti alla Conferenza di Ratisbona nel 2006. Papa Benedetto  XVI, allora, fu male interpretato. Nella sua ‘lectio magistralis’, dedicata ai rapporti tra fede e ragione, aveva citato le parole di un imperatore bizantino del XIV secolo, Manuele II Paleologo, che criticava il concetto di Guerra Santa. La Conferenza, nonostante le spiegazioni del Papa, aveva purtroppo scatenato proteste in gran parte del mondo musulmano, lasciato ombre.

Anche i cristiani copti hanno una nuova guida,  il Patriarca Teodoro II (Tawadrus), che cosa ne pensa?
Sono molto ottimista. Tawadros II ha già dato prova di apertura, dialogo, volontà di unione. È un uomo pratico, deciso. Nel febbraio scorso ha fondato un Consiglio che riunisce le 5 Famiglie cristiane: cattolici, ortodossi, protestanti, anglicani e melchiti ortodossi. Perché è di questo che abbiamo bisogno noi cristiani in Egitto: di unità. Le divisioni, si sa, indeboliscono.

In Egitto si percepisce un certo scontento. La rivoluzione e i cambiamenti politici non sembrano aver portato i cambiamenti attesi.
Bisogna sempre pensare alla Storia e la Storia ci insegna che dopo ogni rivoluzione, il percorso è difficile. Ma certo in Egitto i giovani e i movimenti civili si sentono derubati perché la rivoluzione era partita da loro. Non hanno saputo organizzarsi però. Il fronte era frammentato e diviso. E rimane diviso. I Fratelli Musulmani invece erano organizzati e hanno preso il potere. Perseguitati, discriminati, imprigionati, per 80 anni ora sono alla guida del Paese. Tanti, anche fra chi li ha votati, sono già disillusi. Scontenti. Per forza. Bisogna separare la religione dalla politica. Spesso, in nome di Dio, si rischia di colpire i diritti dell’uomo.  Nella nuova costituzione per esempio manca un articolo che dichiari chiaramente i diritti delle minoranze, dei cristiani, della donna. E molti articoli sono vaghi. Il pericolo risiede nella possibilità di una interpretazione estremista.

Il vescovo Zaki oltre che sul concetto di unità, insite molto su quello di cittadinanza. “Siamo egiziani prima di tutto. Anche io, prima che cristiano mi sento egiziano. Nel Paese non deve esistere una discriminazione in base alla religione”.


Gli Stati Uniti hanno appoggiato la Fratellanza…

Adel Zaki sorride. “Gli Stati Uniti sono fidanzati ad Israele. La loro priorità in Medio Oriente è Israele.  Chiunque sia al potere. Semplice. Non volevano rischiare di perdere i contatti e l’influenza sull’Egitto islamista, mettendo a rischio Israele”.

Monsignor Zaki non nasconde insomma le sue preoccupazioni. Lo rattrista anche il fatto che dalla rivoluzione del 25 gennaio 2011, circa 150 mila famiglie cristiane abbiano lasciato l’Egitto. Ma è sereno: “Stiamo vivendo un momento difficile, di transizione, di forte crisi economica. Voglio vedere però in questo presente non ancora stabile e risolto, i segnali di un tempo nuovo. Di una nuova tappa storica per il mio Paese”.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro: L’Indro – Cattolici in Egitto: “Una minoranza nella minoranza” (riproducibile citando la fonte)

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Il nuovo Vicino Oriente, cosa è cambiato dopo le “Primavere”

Il nuovo Vicino Oriente: cosa è cambiato dopo le "Primavere" - locandina convegnoLunedi 17 dicembre alle ore 14:00 interverrò al convegno “Il nuovo Vicino Oriente: cosa è cambiato dopo le Primavere

A due anni dall’inizio delle rivolte arabe e in occasione della pubblicazione de La “Primavera Araba” un anno dopo, secondo numero di “Geopolitica”, e di The Place and Role of Syria in the Arab-Israeli Conflict, opera di Rouben Karapetian, l’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG), in collaborazione con lo Studio Legale Sutti, organizza questo convegno per discutere dell’evoluzione seguita dalle rivolte e degli effetti ch’esse hanno avuto, finora, sui paesi interessati e sulla regione mediterranea e vicinorientale in genere.
(GeoPolitica: “Il nuovo Vicino Oriente: cosa è cambiato dopo le Primavere” – locandina convegno)

Il convegno si svolgerà lunedì 17 dicembre a Milano, alle ore 14.00, in Via Montenapoleone 8, sede dello Studio Legale Sutti. Per iscriversi all’evento inviare un messaggio a eventi@istituto-geopolitica.eu con nome, cognome indirizzo e-mail, eventuale ente/società d’affiliazione, per ciascun partecipante.

Donne e Islam: oltre il velo.

Dopo l’impulso delle Primavere Arabe si attende una generazione post-femminista?

L’immagine che gli italiani hanno della donna musulmana è statica, lontana dalla complessità di un mondo, al contrario, vivace e in movimento. Le riflessioni sul pensiero femminile, in questo 2012, sono state però influenzate dagli eventi legati alla Primavera araba. E l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace a tre donne, Tawakkul KarmanEllen Johnson-Sirleaf e Leymah Gbowee, dimostra che, forse, qualcosa sta cambiando.

La Primavera araba vista da qui

Osama, 28 anni: “i valori dell’Islam non sono in contraddizione con la Democrazia”

Dopo la caduta di Ben Alì sono diventato un ’ex’ rifugiato politico. Me lo ripeto spesso, ’ex’, e provo una sensazione meravigliosa, difficile da esprimere”, racconta Osama Al- Saghir. Ha 28 anni ed è arrivato in Italia, a otto, insieme alla famiglia perseguitata in Tunisia dal regime.

Seconda generazione, ex presidente dei Giovani Musulmani d’Italia, Osama continua a vivere in Italia, alternando frequenti soggiorni in Tunisia. Infatti è stato eletto, nella circoscrizione Italiana dei tunisini all’estero, fra le fila del partito vincente, En-Nahda e ora fa parte dell’Assemblea Costituente. E’ giustamente orgoglioso e consapevole “del contributo che può portare al suo Paese di origine”.

Qui, sono cresciuto in una società civile attiva, un fattore indispensabile per la democrazia. Come i valori della libertà e della dignità, totalmente assenti nella Tunisia di Ben Alì”. Osamasottolinea l’importanza per noi occidentali nel capire “che i nostri valori, i valori dell’Islam non sono in contraddizione con la Democrazia. En-Nahda è un partito d’ispirazione islamicaed è stato scelto e votato dal popolo in libere elezioni”.

I ragazzi 2G vivono una doppia identità e sono portatori di due culture. Questo fattore costituisce una ricchezza anche se a volte crea difficoltà. L’Italia è stato sempre un Paese un po’ razzista e ora, per di più è ’invecchiato’ e in crisi economica. I paesi arabi dai quali provengono le famiglie dei ragazzi 2G, stanno invece vivendo una nuovo momento storico, una fase di cambiamento, che li rende diversi da come erano quando i loro genitori sono partiti.

Islam e democrazia

I programmi dei partiti che hanno vinto le elezioni in Tunisia e in Marocco fanno della religione un elemento unificante.

Forse le ’primavere arabe’ hanno portato finalmente alla luce l’idea che la democrazia possa essere un sistema declinabile in modi diversi, seguendo il percorso storico- culturale dei popoli, delle loro necessità e radici. Non solo pensato quindi su modello occidentale.

L’importazione forzata del ’modello prefabbricato’ di democrazia imposta da George Bush è naufragata nel disastro dell’Iraq. E i danni dei pensatori americani (Samuel Huntington e il suo ’scontro di civiltà’ in testa) hanno avuto un impatto determinante nell’alimentare paure e diffidenze verso una cultura ’altra’ come quella musulmana. Per troppo tempo l’opinione pubblica occidentale è stato pilotata affinché vedesse l’Islam come un pericolo o un rimasuglio storico privo d’importanza nel panorama della globalizzazione. Da far sparire per essere sostituito appunto dal concetto di democrazia eurocentrico.

Invece il momento storico che sta vivendo la sponda Sud del Mediterraneo è proprio caratterizzata da una riconferma dell’identità che fa riferimento all’Islam come un valoreunificante. E’evidente però che questo ’Islam’ ha un forte valenza politica e non religiosa. E si legge chiaramente nei programmi dei partiti islamici che hanno vinto le elezioni in Tunisia e in Marocco (rispettivamente En- Nahda e PJD, Giustizia e Sviluppo). Programmi che parlano soprattutto di sviluppo, lotta alla corruzione, alla diseguaglianza economica.

In questi Paesi ci sono nuove generazioni che vivono in maniera diversa il rapporto fra religione e modernità, generazioni perfettamente consapevoli dei rischi degli ’estremismi’ e di un tradizionalismo troppo fedele a criteri antichi. Sanno che devono far nascere una società in grado di difendere la libertà di espressione e la tolleranza. Principi che, d’altra parte, sono alla origine delle primavere arabe. Perché ’democrazia’ non significa solo libere elezioni ma anche stato di diritto, libertà civili, autonomia dei poteri, uguaglianza di genere.

L’arte della rivoluzione

Dopo la cacciata dei regimi è rinascita di musica, satira letteratura.

Una nuova, nahdah, ’rinascita’ araba in campo culturale? O piuttosto controcultura? Le rivolte nei Paesi arabi hanno lasciato un segno nella produzione letteraria, nel linguaggio, negli slogan, nella musica. Esplodono ovunque fantasia, creatività, ironia.

Hurryah, ’la libertà’ tanto richiesta, è ritmata ormai da una colonna sonora tutta sua, a partire da Hamada Ben Amor, in arte el General, il rapper tunisino che già nel dicembre scorso ha pubblicato su You tube la canzone ’Rais Lebled’. Un testo duro, scomodo con un ritmo trascinante che incita il popolo alla ribellione contro il governo del Presidente Zin el-Abidin Ben Ali.

Non è la Primavera.

Perché il movimento degli Indignados non assomiglia alle rivolte del nordafrica.

Non facciamoci ingannare dall’immagine della piazza. O dal collante dei nuovi media,’Twitter’ e ’You Tube’.

Piazza Tahir

La primavera araba è nata come protesta contro le dittature, le oligarchie e ha avuto caratteristiche ed evoluzioni diverse nei vari Paesi dell’area mediorientale. Si è parlato di pane, di ’pancia’. Ma anche se i dittatori, e il loro stretto cerchio di privilegiati, si arricchiva e le masse s’impoverivano, non è stata questa la scintilla delle rivolte. Gli arabi si sono ribellati in nome della libertà e della dignità. Vogliono essere trattati come cittadini e non come sudditi. Hanno sfidato e sfidano i regimi. Ricordiamo come è iniziata la rivolta in Tunisia. Con Mohamed Bouazizi che si è suicidato, dandosi fuoco di fronte al palazzo del governatorato. Un gesto simbolico, pubblico e tragico. Mohamed non poteva più vivere in uno Stato di soprusi e di ingiustizia.