Processi di Pace
Siria – Dopo Montreux, aspettando Ginevra2
La giornata di ieri, la prima della Conferenza di Pace sulla Siria, non ha riservato sorprese. Era già tutto previsto. Un percorso difficile, questo dei negoziati, per alcuni aspetti addirittura impossibile, e che rischia di finire in una bolla di sapone come la Conferenza di Ginevra del 30 giugno scorso.
Prima di tutto la mancanza di tutti gli attori coinvolti. Non solo dell’Iran ma anche dell’Opposizione (la Coalizione Nazionale dell’Opposizione Siriana) di fatto creata forzatamente e che non viene riconosciuta da tutte le formazioni ribelli che operano sul terreno. Parte dell’opposizione armata – composta dai gruppi jihadisti o legati ad al-Qaeda – non può né vorrebbero sedere al tavolo delle trattative e sta combattendo contro Bashar al- Asad e, nello stesso tempo, contro l’Esercito siriano libero. Ma anche molte brigate dell’Esercito siriano libero stesso si sono dissociate dalla Conferenza.
In secondo luogo, l’impressione che le parti in causa non siano convinte davvero che l’opzione ‘pace’ sia più auspicabile dell’opzione ‘guerra’. Perché entrambe sicure di vincere. In questi giorni, il Presidente Bashar al Asad sta riconquistando terreno e ha già dichiarato di volersi presentare alle presidenziali del 2014. Anche i ribelli, però, hanno occupato postazioni. Ricordiamo che in Siria non è mai stata raggiunto un cessate al fuoco seppure limitato, e questo non è certo un buon segnale.
Terzo punto. L’obiettivo dei negoziati è di «creare un Governo di transizione di cui facciano parte elementi del regime e dell’Opposizione». Belle parole, ma che non trovano oggettivamente riscontro nella realtà. Quali elementi di una Opposizione così frammentata, non riconosciuta e in un certo senso ‘virtuale’? E quali elementi del regime? Sappiamo che in Siria il potere reale è nelle mani del Presidente Bashar al-Asad e di pochi fedelissimi.
Senza voler togliere nulla al tentativo diplomatico creato per fermare la guerra in atto nel Paese, e che ha già causato più di 120mila morti e milioni di profughi, distrutto infrastrutture, e parte del patrimonio artistico, l’unico risultato raggiungibile sembra, per ora, quello di un corridoio umanitario per soccorrere i civili. E sarebbe già un successo. Perché i civili, continuano ad essere intrappolati in Siria, stretti a morsa fra l’Esercito di Bashar al-Asad e i gruppi jihadisti. Senza soccorso, senza aiuti, patendo il freddo e la fame.
Un’ ultima considerazione. La guerra civile siriana è una guerra a più piani che non riguarda solo la situazione interna del Paese ma anche -e soprattutto- le superpotenze e i Paesi regionali, per motivi di predominio sull’area. Se gli Hezbollah libanesi e l’Iran hanno fornito (e forniscono) armi e uomini al regime, l’Arabia Saudita e i suoi satelliti (Qatar e Emirati Arabi) e la Turchia hanno fatto altrettanto con le forze di opposizione. Foraggiando soprattutto i gruppi estremisti. La posta in gioco è alta, e nessuno, quindi, sembra voler abbandonare la partita. Anche i rischi sono alti: la destabilizzazione dell’area nel cuore del Levante arabo. Ma ‘il piatto è forte’ e ingolosisce. Gli interessi economici e di potere tenderanno come sempre a prevalere sugli interessi della popolazione. La soluzione dl conflitto siriano appare ancora lontana.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro Dopo Montreux, aspettando Ginevra (riproducibile citando la fonte)
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La giornata di ieri, la prima della Conferenza di Pace sulla Siria, non ha riservato sorprese. Era già tutto previsto. Un percorso difficile, questo dei negoziati, per alcuni aspetti addirittura impossibile, e che rischia di finire in una bolla di sapone come la Conferenza di Ginevra del 30 giugno scorso.
Prima di tutto la mancanza di tutti gli attori coinvolti. Non solo dell’Iran ma anche dell’Opposizione (la Coalizione Nazionale dell’Opposizione Siriana) di fatto creata forzatamente e che non viene riconosciuta da tutte le formazioni ribelli che operano sul terreno. Parte dell’opposizione armata – composta dai gruppi jihadisti o legati ad al-Qaeda – non può né vorrebbero sedere al tavolo delle trattative e sta combattendo contro Bashar al- Asad e, nello stesso tempo, contro l’Esercito siriano libero. Ma anche molte brigate dell’Esercito siriano libero stesso si sono dissociate dalla Conferenza.
In secondo luogo, l’impressione che le parti in causa non siano convinte davvero che l’opzione ‘pace’ sia più auspicabile dell’opzione ‘guerra’. Perché entrambe sicure di vincere. In questi giorni, il Presidente Bashar al Asad sta riconquistando terreno e ha già dichiarato di volersi presentare alle presidenziali del 2014. Anche i ribelli, però, hanno occupato postazioni. Ricordiamo che in Siria non è mai stata raggiunto un cessate al fuoco seppure limitato, e questo non è certo un buon segnale.
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Operazione Pace in Medio Oriente?
Tra attacchi, rivolte, tregue, stabilità e instabilità regionali, cambiamenti strategici, si aprono spiragli per processi politici stabili. Sperando che non sia l’eterno gioco dell’oca.
L’iniziativa che non è riuscita in Siria ai due inviati speciali dell’Onu e della Lega Araba, Kofi Annan e Lakhdar Brahimi, è stata raggiunta con successo dall’Egitto del Presidente Morsi. Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, lo ha ringraziato “per essersi assunto la leadership che ha fatto di questo Paese un pilastro per la pace e la stabilità regionale”. Ma neppure Mohammad Morsi, leader dei Fratelli Musulmani e primo Presidente salito al potere in Egitto attraverso elezioni democratiche, avrebbe forse potuto tagliare il traguardo senza l’arrivo al Cairo, ’fulmineo’ e inaspettato, di Hillary Clinton in rappresentanza degli Stati Uniti, da sempre vigili protettori d’Israele. Un segnale forte per Netanyahu. Un altro segnale, la vittoria dell’Islam politico che, senza dubbio, ha cambiato gli equilibri strategici regionali. Oltre alla perdita della Turchia: un alleato che Israele, si è ’giocato’ nel 2010 dopo l’incidente della Mavi Marmara, la nave turca con gli attivisti che portavano aiuti proprio alla Striscia di Gaza. O forse ’Bibi’ ha deciso che in questo momento gli conveniva “provare a fare politica anziché guerre” come gli ha suggerito in una lettera aperta David Grossman? (’Repubblica’ del 6 novembre 2012)
Tregua. Tregua sperata, rinviata, di nuovo raggiunta. Una tregua che invece – per ben due volte – era stata sfiorata, ma subito disattesa in Siria, dove proseguono i combattimenti fra le forze fedeli al Regime e gli oppositori. Una lotta sempre più feroce, senza esclusione di colpi che non sembra trovare una risoluzione anche dopo la nascita, a Doha, della nuova Coalizione dell’Opposizione siriana. La coalizione ha già ottenuto il riconoscimento di gran parte dei paesi occidentali, Francia in testa, ed è guidata dallo sceicco sunnita Moaz al-Khatib, ex imam della moschea degli Ommayyadi di Damasco, che non ha mai nascosto le simpatie per la Fratellanza Musulmana.
Mentre alcuni Paesi si assestano e in Siria continua la cruenta guerra civile, la Giordania dopo due anni di proteste ’soft’ sembra vacillare. Nelle ultime settimane infatti i manifestanti oltre a esprimere malcontento per i provvedimenti economici per la liberalizzazione dei prezzi, cominciano a chiedere la caduta del regime e di re Abdallah. Le proteste, sostenute dai Fratelli musulmani e dai partiti di sinistra, sono state represse con violenza dalle forze dell’ordine. Abdallah riuscirà a mantenere il potere? La partita è aperta.
Tregua raggiunta dunque fra Hamas, che governa la Striscia di Gaza, e Israele. Ma adesso arriva la parte più difficile: trasformare la tregua in un reale processo politico. Altrimenti si continuerà a vivere sul filo del rasoio e sarà sufficiente un piccolo incidente per tornare ai banchi di partenza. Come nel gioco dell’oca. Insomma vorremmo che il sottotesto della parola ’tregua’ fosse ora ’processo di pace’. Quando nessuno più sembrava crederci, forse è possibile.
di Antonella Appiano, in esclusiva per L’Indro Operazione Pace in Medio Oriente? , riproducibile citando la fonte.