Qatar

Minireport Esteri - ConBagaglioLeggero di Antonella Appiano

22 maggio 2015 : Minireport Esteri

‪#‎Qatar‬, gli schiavi. Sono già morti 1.200 lavoratori per incidenti ed infarto e nulla è cambiato dopo l’annuncio dell’emirato, 12 mesi fa, di una riforma del lavoro per tutelare maggiormente gli operai impegnati nei cantieri.
Sono più di un milione e provengono da India, Nepal e Filippine: hanno turni di lavoro di 12-16 ore, e lavorano con temperature che raggiungono anche 50 gradi all’ombra (fonte Unimondo) Diritti umani?

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Effetto Siria e Contagio egiziano

Reazioni in Medio Oriente

Sugli schermi della televisione siriana passa a ripetizione uno spot che mostra un dattero, alimento tradizionale del Ramadan, che contiene un proiettile. Sotto, una scritta: «Non rovinate il Ramadan con la violenza». Era l’11 agosto 2012, un anno e un mese fa, ad Aleppo. Quest’anno il Ramadan è iniziato il 9 o il 10 luglio (varia da Paese in Paese secondo le fasi lunari), ma in Siria le armi

L’ambiguità dell’Arabia Saudita

I Sauditi, schierati con l’Opposizione siriana, cominciano a cercare una soluzione politico – diplomatica?

Tempo di riflessione per l’Arabia Saudita.  Fin dall’inizio dell’internazionalizzazione della crisi, il Paese si è allineato a fianco dell’opposizione siriana, fornendo aiuto finanziario e militare ai ribelli, sia all’Esercito siriano libero (ESL) sia ai gruppi vicini all’ideologia wahabita (una corrente ultraconservatrice che si fonda sulla purezza e sulle origini dell’Islam).   Come sappiamo infatti la Siria, dal punto di vista geopolitico, è un Paese-chiave per  posizione strategica. Ed è per questo che la rivolta siriana, nata come ribellione nei confronti del regime, si è presto trasformata in  un conflitto tra diversi attori regionali e internazionali. Tutti determinati a seguire i propri interessi.  L’esito dello scontro, che da più di due anni sta straziando il Paese, avrà in ogni caso un peso determinante sui futuri assetti regionali.

a qualcosa sta cambiando, almeno per l’Arabia Saudita. Partita come paladina della “primavera siriana”, già dall’inizio del 20,  richiamando l’ambasciatore a Damasco ed esponendosi con dichiarazioni pubbliche e azioni politiche contro Bashar al-Asad ,  ora sembra indecisa se proseguire sulla stessa linea. Intendiamoci, continua a mandare denaro e armi ai ribelli ma sembrerebbe aspirare a una soluzione  politico-diplomatica. Perché? – See more at: http://www.lindro.it/politica/2013-06-13/87026-lambiguita-dei-sauditi#sthash.koUEb6Wh.dpuf

Tempo di riflessione per l’Arabia Saudita.  Fin dall’inizio dell’internazionalizzazione della crisi, il Paese si è allineato a fianco dell’opposizione siriana, fornendo aiuto finanziario e militare ai ribelli, sia all’Esercito siriano libero (ESL) sia ai gruppi vicini all’ideologia wahabita( una corrente ultraconservatrice che si fonda sulla purezza e sulle origini dell’Islam).

Come sappiamo infatti la Siria, dal punto di vista geopolitico, è un Paese-chiave per  posizione strategica. Ed è per questo che la rivolta siriana, nata come ribellione nei confronti del regime, si è presto trasformata in  un conflitto tra diversi attori regionali e internazionali. Tutti determinati a seguire i propri interessi.  L’esito dello scontro, che da più di due anni sta straziando il Paese, avrà in ogni caso un peso determinante sui futuri assetti regionali.

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Tempo di riflessione per l’Arabia Saudita.  Fin dall’inizio dell’internazionalizzazione della crisi, il Paese si è allineato a fianco dell’opposizione siriana, fornendo aiuto finanziario e militare ai ribelli, sia all’Esercito siriano libero (ESL) sia ai gruppi vicini all’ideologia wahabita( una corrente ultraconservatrice che si fonda sulla purezza e sulle origini dell’Islam).

Come sappiamo infatti la Siria, dal punto di vista geopolitico, è un Paese-chiave per  posizione strategica. Ed è per questo che la rivolta siriana, nata come ribellione nei confronti del regime, si è presto trasformata in  un conflitto tra diversi attori regionali e internazionali. Tutti determinati a seguire i propri interessi.  L’esito dello scontro, che da più di due anni sta straziando il Paese, avrà in ogni caso un peso determinante sui futuri assetti regionali.

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Ma qualcosa sta cambiando, almeno per l’Arabia Saudita. Partita come paladina della “primavera siriana”, già dall’inizio del 20,  richiamando l’ambasciatore a Damasco ed esponendosi con dichiarazioni pubbliche e azioni politiche contro Bashar al-Asad ,  ora sembra indecisa se proseguire sulla stessa linea. Intendiamoci, continua a mandare denaro e armi ai ribelli ma sembrerebbe aspirare a una soluzione  politico-diplomatica. Perché?

Prima di tutto consideriamo le motivazioni dello schieramento anti- Assad. Motivazioni di politica estera,come abbiamo detto, per via del ruolo importante della Siria sulla scacchiera regionale.

La competizione fra i Paesi del Golfo e l’Iran esiste, per ragioni economiche, di potere e territoriali. Dal punto di vista degli equilibri regionali, con la sconfitta degli Assad, l’Arabia saudita potrebbe acquistare influenza in Libano (a scapito del partito Hezbollah alleato delle Siria); in Iraq (dove attualmente è al governo lo sciita Al Maliki). E metterebbe in posizione di svantaggio l’Iran che si è sempre servito della Siria come deterrente conto Israele. Gli analisti hanno sottolineato in particolare la storica contrapposizione fra sunniti e sciiti (gli Assad appartengono al ramo sciita degli Alawuiti). La casa regnate saudita, è invece sunnita (precisamente wahabita). Un regime sciita contro una popolazione in rivolta (per lo più sunnita) quindi, contrastato da un forte Paese sunnita. Ma la spaccatura confessionale rappresenta solo un aspetto del rapporto complesso fra Siria e Arabia Saudita. La religione cela sempre altri intereressi, non possiamo infatti dimenticare che la decisone di Ryad di collocare le sue pedine contro Damasco, dipende anche da ragioni di politica interna.

Lo schieramento anti-Assad  ha rappresentato l’escamotage per allontanare l’attenzione dai mille problemi della Monarchia saudita, che certo non è un modello di democrazia e deve fare i conti, nonostante la ricchezza con corruzione, disoccupazione, rivolte nelle fasce sciite, conflitti tribali. Importanti anche le motivazioni del consenso interno.Ergendosi infatti a paladino dei sunniti, il Regno saudita, ha senza dubbio ottenuto l’appoggio dei sunniti wahabiti più conservatori.

Ma oggi sembra appunto che la casa regnante dei Saud, abbia qualche ripensamento. Che deriva soprattutto da tre fattori.  Gli attriti con il Qatar, la morte del re Abd Allāh bin Abd al-Azīz Āl Saūd e la sua successione e la paura di una deriva jihadista in Siria.

Il Qatar. C’è stato un momento, prima del’inizio delle manifestazioni, in cui l’Arabia Saudita, insieme al Qatar, l’altro grande sponsor dell’Opposizione siriana,  aveva  cercato di allontanare la leadership di Damasco  dalla sfera iraniana.  Ma dopo lo scoppio  della crisi, il connubio fra sauditi e qatarini  si è via via raffreddato. Il Qatar infatti  ha procurato aiuti  e appoggio  ai Fratelli musulmani siriani, il gruppo più forte all’interno della Coalizione nazionale siriana.

In risposta, l’Arabia saudita, si è da poco schierata a favore dei gruppi laici presenti nella stessa Coalizione nazionale e  in opposizione al predominio della Fratellanza musulmana. La morte di re ‘Abd Allāh  costituisce un nuovo problema da gestire  e last but not least, Ryad ha cominciato ad accorgersi che il proliferare dei movimenti salafiti potrebbe ritorcersi contro l’Arabia Saudita favorendo una  ventata fondamentalista. Come si comporterebbero i gruppi estremisti non solo foraggiati ma spesso partiti volontari  dall’Arabia Saudita?  

L’Arabia Saudita fornisce armi all’opposizione, attraverso il confine meridionale siriano (Daraa)  e attraverso la Turchia ma già dall’inizio del 2013  ha cominciato cominci a porsi la domanda che si è fatta anche l’Occidente: a chi andranno gli armamenti, il denaro? Molte formazioni, non sono mai state controllate, altre hanno dichiarato la propria indipendenza in un momento successivo.

Continuare ad armare il conflitto – da una parte o dall’altra  degli schieramenti  – non farà che prolungare la guerra in atto e creare altra sofferenza al popolo siriano. Mentre i rischi di una estensione degli scontri  nell’area,  sono già diventati realtà.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro: L’ ambiguità dei Sauditi

empo di riflessione per l’Arabia Saudita.  Fin dall’inizio dell’internazionalizzazione della crisi, il Paese si è allineato a fianco dell’opposizione siriana, fornendo aiuto finanziario e militare ai ribelli, sia all’Esercito siriano libero (ESL) sia ai gruppi vicini all’ideologia wahabita( una corrente ultraconservatrice che si fonda sulla purezza e sulle origini dell’Islam).

Come sappiamo infatti la Siria, dal punto di vista geopolitico, è un Paese-chiave per  posizione strategica. Ed è per questo che la rivolta siriana, nata come ribellione nei confronti del regime, si è presto trasformata in  un conflitto tra diversi attori regionali e internazionali. Tutti determinati a seguire i propri interessi.  L’esito dello scontro, che da più di due anni sta straziando il Paese, avrà in ogni caso un peso determinante sui futuri assetti regionali.

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(riproducibile citando la fonte)

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Tempo di riflessione per l’Arabia Saudita.  Fin dall’inizio dell’internazionalizzazione della crisi, il Paese si è allineato a fianco dell’opposizione siriana, fornendo aiuto finanziario e militare ai ribelli, sia all’Esercito siriano libero (ESL) sia ai gruppi vicini all’ideologia wahabita( una corrente ultraconservatrice che si fonda sulla purezza e sulle origini dell’Islam).

Come sappiamo infatti la Siria, dal punto di vista geopolitico, è un Paese-chiave per  posizione strategica. Ed è per questo che la rivolta siriana, nata come ribellione nei confronti del regime, si è presto trasformata in  un conflitto tra diversi attori regionali e internazionali. Tutti determinati a seguire i propri interessi.  L’esito dello scontro, che da più di due anni sta straziando il Paese, avrà in ogni caso un peso determinante sui futuri assetti regionali.

Ma qualcosa sta cambiando, almeno per l’Arabia Saudita. Partita come paladina della “primavera siriana”, già dall’inizio del 20,  richiamando l’ambasciatore a Damasco ed esponendosi con dichiarazioni pubbliche e azioni politiche contro Bashar al-Asad ,  ora sembra indecisa se proseguire sulla stessa linea. Intendiamoci, continua a mandare denaro e armi ai ribelli ma sembrerebbe aspirare a una soluzione  politico-diplomatica. Perché?

Prima di tutto consideriamo le motivazioni dello schieramento anti- Assad. Motivazioni di politica estera, come abbiamo detto, per via del ruolo importante della Siria sulla scacchiera regionale.

La competizione fra i Paesi del Golfo e l’Iran esiste, per ragioni economiche, di potere e territoriali. Dal punto di vista degli equilibri regionali, con la sconfitta degli Assad, l’Arabia saudita potrebbe acquistare influenza in Libano (a scapito del partito Hezbollah alleato delle Siria); in Iraq (dove attualmente è al governo lo sciita Al Maliki). E metterebbe in posizione di svantaggio l’Iran che si è sempre servito della Siria come deterrente conto Israele. Gli analisti hanno sottolineato in particolare la storica contrapposizione fra sunniti e sciiti (gli Assad appartengono al ramo sciita degli Alawuiti). La casa regnate saudita, è invece sunnita (precisamente wahabita). Un regime sciita contro una popolazione in rivolta (per lo più sunnita) quindi, contrastato da un forte Paese sunnita. Ma la spaccatura confessionale rappresenta solo un aspetto del rapporto complesso fra Siria e Arabia Saudita. La religione cela sempre altri intereressi, non possiamo infatti dimenticare che la decisone di Ryad di collocare le sue pedine contro Damasco, dipende anche  da ragioni di politica interna.

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Siria: Opposizione Unita Cercasi

A Doha l’Opposizione siriana cerca “un centro di gravità permanente” con l’aiuto degli Stati Uniti. Le pressioni del segretario di Stato Hilary Clinton e il piano di Riad Seif.

 

Dopo Burthan Ghaliun e il curdo Abdel Basset Sieda (rispettivamente ex presidente e presidente del Consiglio Nazionale Siriano, Cns) ora sulla scena dell’Opposizione, a proporsi come leader, appare l’industriale ed ex parlamentare Riad Seif. Il suo piano: creare una squadra di 50 rappresentanti, scelti fra i comandanti militari dell’Esercito libero e i capi delle zone in mano ai ribelli, in Siria, e fra i membri del Cns, che risiedono all’estero. Gli Stati Uniti, che appoggiano Riad Seif, premono perché durante i lavori venga eletto una specie di direttivo, in cui i militari – che stanno operando sul campo – siano in numero maggiore rispetto agli esiliati del Cns.

Circa 400 rappresentanti della dissidenza provenienti da vari gruppi, dalla Siria e dall’estero, si sono riuniti per raggiungere un obiettivo indispensabile: una formazione unita con la quale la Comunità Internazionale possa rivolgersi. Impresa difficile: alla mega conferenza di Doha, capitale del Qatar (si è aperta il 4 novembre e dovrebbe svolgersi in 5 giorni) ci sono troppe fazioni portatrici di programmi diversi e differenze ideologiche. E due gruppi importanti , il Corpo nazionale di coordinamento e il Fronte democratico nazionale, non si sono neppure presentati all’ appello.

Il CNS (Consiglio Nazionale Siriano), fino ad ora ha rappresentato la piattaforma principale dell’Opposizione ed è formata soprattutto da esiliati: intellettuali, accademici e membri della Fratellanza musulmana. Ma il Cns non ha saputo dare, fino a ora, prove di stabilità ed efficienza. Il Segretario di Stato Hillary Clinton ha addirittura dichiarato (‘Reuters‘ 31 ottobre 2012) che il Consiglio Nazionale siriano, basato all’estero, “non può arrogarsi il titolo di leader dell’opposizione, ma solo far parte di un fronte di opposizione più largo che includa gente che vive in Siria e altri che abbiano la necessaria legittimità per farsi ascoltare” .

Per questo il programma di Riad Seif prevede di mettere il Cns in secondo piano, creando appunto una leadership in cui i suoi membri sarebbero in minoranza rispetto ai militari dell’Esercito Siriano Libero, il principale ma non l’unico gruppo armato che combatte sul terreno contro l’esercito regolare del regime. Il Cns è disposto a mettersi in disparte? Non sembra. Già durante il primo giorno del convegno, ha criticato gli Stati Uniti per l’ingerenza e il suo presidente, Abdel Basset Sieda, ha dichiarato (fonte ‘Associated Press’) che “pur non avendo respinto in pieno la proposta di Seif, ritiene che il Cns meriti una rappresentanza più significativa, controllando almeno il 40% di qualsiasi organismo decisionale formato”.

A quanto pare, abbandonare la poltrona del comando è dura. Ma un fatto è certo. Alla fine dei lavori, che si chiuderanno giovedì, senza un accordo sulla leadership dell’Opposizione, saremo al punto di partenza. Anzi un passo indietro visto il precedente fallimento della riunione di luglio, al Cairo, in cui non è stato raggiunto un accordo per formare un fronte di opposizione coeso. E al prossimo Meeting degli Amici della Siria, in Marocco, la Comunità Internazionale si troverebbe di nuovo senza una rappresentanza unita e significativa dei siriani. Rendendo il meeting inutile.

Intanto in Siria si continua a combattere. Lunedì, un attentatore suicida si è fatto esplodere nei pressi di un check-point dell’Esercito nella provincia di Hama causando una cinquantina di vittime. Mentre il 3 novembre, tre carri armati siriani sono entrati nel villaggio di Beer Ajam, nel Golan e si sono verificati scontri fra curdi e forze ribelli. Il rischio di una balcanizzazione della zona, così come di un allargamento del conflitto nei Paesi confinanti (soprattutto il Libano e l’Iraq) sono pericoli reali che rischiano di accendere altri fuochi.

di Antonella Appiano, in esclusiva per L’Indro Siria: opposizione unita cercasi, riproducibile citando la fonte.

 

 

Senza un attimo di tregua

La trama è diversa da quella del capolavoro di Boorman ’Senza un attimo di tregua’, ma altrettanto complessa e intricata. Se fosse il celebre film, la guerra civile siriana avrebbe lo stesso montaggio dal ritmo serrato, non lineare, in un alternarsi di violenza, alta tensione e brevi pause di speranza. L’ultima: la speranza di una tregua di quattro giorni per la Festa del Sacrificio, chiesta dall’inviato speciale dell’ Onu e della Lega Araba, Lakhdar Brahimi. E accettata, giovedì scorso, da entrambi gli schieramenti. Ma l’impegno non è stato rispettato, anche se non è chiaro chi abbia rotto la tregua per primo. Inutile aggiungere che le parti in causa si sono scambiate accuse reciproche.

Primavere arabe:il punto della situazione

Preoccupa anche la Giordania

’Primavere arabe’: il punto della situazione

L’escalation siriana rischia di creare seri pericoli nei Paesi vicini e nell’intera regione. In Libia, a meno di un mese dalle prime elezioni libere, cade il governo del premier Mustafa Abushagur.

Mitt Romney spara a zero sulla politica estera di Obama in Medio Oriente dichiarando, davanti ai cadetti della Virginia Military Institute, che “il Presidente ha fallito nel trattare la questione siriana”. E non lo risparmia neppure riguardo la Libia, l’Iran e l’Iraq. Bellicoso e sicuro di sé, il candidato repubblicano ha affermato che il fallimento di Washington è totale in Siria, dove più di 30.000 tra uomini, donne e bambini sono stati massacrati dal regime di Assad negli ultimi 20 mesi. La Turchia, nostro alleato, è stata aggredita e il conflitto minaccia la stabilità nella regione”. Affermazioni pesanti, quelle di Romney, che afferma: L’assalto al consolato americano di Bengasi è stato compiuto dalle stesse forze che ci hanno attaccato l’11 settembre 2001. Per questo, il colpevole non può essere un riprovevole video contro l’Islam, nonostante il tentativo dell’amministrazione Obama di farlo”. Ancora critiche. L’Iran non è mai stato così vicino alla realizzazione di armi nucleari e in Iraq ha portato a un aumento delle violenze, al ritorno di al Qaeda, all’indebolimento della democrazia”. Promette di fare di meglio, Romney, e si appella alla necessità “dell’America come guida”.

La tensione si allenta fra Damasco e Ankara.

La Siria si scusa e annuncia l’apertura di un’inchiesta

La tensione si allenta fra Damasco e Ankara

Difficile ipotizzare una soluzione diplomatica. Il premier turco Erdogan vuole il supporto della Nato

Cosa succederà ora tra Turchia e la Siria? Damasco ha chiesto scusa ad Ankara e annunciato “l’apertura di una inchiesta”. Da due settimane al confine turco siriano sono in corso combattimenti fra l’esercito regolare e gli oppositori. Non è quindi chiaro chi abbia sparato il tiro di mortaio che ha colpito, l’altro ieri, il villaggio di Akcakale, causando vittime civili. La Turchia ha risposto bombardando la provincia settentrionale di Idlib ma nel pomeriggio ha smesso di attaccare con l’artiglieria le postazioni dell’esercito siriano. E anche se il Parlamento turco ha approvato la richiesta di Erdogan “di condurre operazioni militari fuori dal confine nazionale”, Ankara rassicura la comunità internazionale che non intende agire da sola contro la Siria. E su questo punto il Premier turco è sincero. Vuole il supporto della Nato. Per la seconda volta (la prima nel giugno scorso quando un caccia era stato abbattuto sul Mediterraneo dalla contraerea siriana) ha cercato il ’casus belli’ per un intervento Nato appellandosi all’articolo quattro del trattato, secondo il quale, un attacco contro uno Stato membro è considerato un attacco a tutti i partecipanti dell’Alleanza. Ma né l’Europa né gli Stati Uniti vogliono essere trascinati direttamente nel conflitto. La Cina e la Russia continuano a porre il veto al Consiglio di Sicurezza. E senza dubbio il fermo ’no’ di Mosca gioca un ruolo fondamentale. Come la situazione in Libia che sta degenerando in una spirale di violenza senza controllo. E la presenza in Siria e nell’area regionale, di gruppi jihadisti. I Paesi occidentali sono infatti sempre più preoccupati del peso che i combattenti stranieri hanno conquistato nella rivolta contro gli Assad. Se il fine ultimo è lo stesso, abbattere il regime, gli altri obiettivi, certo non sono in comune.

qui Aleppo, è guerra

Qui Aleppo: “È guerra”

Gli attori sulla scena si stanno moltiplicando, e cresce il dubbio sulla presenza di terroristi affiliati ad Al Qaida tra i ribelli.
L’esercito usa tutte le sue forze (elicotteri, missili, carri armati) contro i ribelli che non sono altro che bande armate di terroristi assetati di sangue e avidi di denaro. Noi siamo chiusi in casa. Molti scappano. Scarseggia tutto.

Damasco. Il giorno dopo.

Ieri, l’esplosione. Oggi la paura di un’escalation della violenza senza vie di sbocco

Damasco, 11 Maggio 2011:“Temiamo un effetto Iraq”. Continuo a pensare a questa frase mentre aspetto un taxi, in una Damasco avvolta da una foschia calda. E’ venerdì, giorno di riposo e, come sempre, le strade sono vuote.

Ma il quartiere popolare di Zahra Al Jadida è animato, la gente rimuove le macerie. “Shufi”,shufi” guarda, guarda, e una giovane donna con l’hijab a fiori mi mostra i fori delle schegge nei muri di quella che era la sua casa, sventrata, come altre, dall’attentato kamikaze di ieri. Fonti diverse parlano di 100 chili di tritolo, 56 vittime, 372 feriti, 200 case distrutte, 80 automobili carbonizzate.

L’obiettivo era la sede della Sezione Palestina dell’ Intelligence, un palazzo di sette piani, ma l’edificio, fortificato, ha resistito all’impatto, mentre ad essere investito in pieno da una pioggia violenta di schegge e lamiere è stato proprio il quartiere. Un uomo mi mostra pezzi di ferro che imbottivano il tritolo, finiti sul terrazzo. E aggiunge che “alhambulillah“, non è morto nessuno nella mia famiglia“.

Le vittime, infatti, sono state soprattutto civili. La gente che passava in auto per andare a lavorare sulla grande arteria che porta all’aeroporto. I bambini delle due scuole vicine. I vigili di una caserma adiacente al luogo dell’esplosione. Di nuovo, riascolto quella frase:”Abbiamo paura di un effetto Iraq”. Sono passati otto mesi, e sono ritornata a Damasco proprio nel giorno dell’attentato più grave nel Paese, un attentato che ha tutte le caratteristiche di quelli che hanno martoriato l’Iraq dopo l’occupazione militare americana del 2003.

Un ragazzo con il viso incerottato, afferma: ”Sono stati i Sauditi”. Si respira una certa rassegnazione. Tristezza. Ma i siriani non dimenticano la tradizionale ospitalità e, pur nella desolazione, ci offrono un bicchiere di tè.

L’Opposizione accusa le autorità di Damasco. Ma la crisi, è bene sottolinearlo, si è definitivamente internazionalizzata. Nel Paese si muovono, ormai, jihadisti e salafiti radicali, siriani e stranieri, provenienti dall’Arabia Saudita, dal Qatar. Se ne deve tenere conto. Questo è, comunque, un altro colpo alla fragile tregua ottenuta dall’Onu, da Ban Ki-moonKofi Annan, i quali ben sanno e spesso hanno dichiarato che, se la tregua fallirà, il baratro della guerra civile, in Siria, sarà sempre più profondo ed oscuro.

L’attentato è un episodio gravissimo, che distoglie l’attenzione sui risultati elettorali che si conosceranno fra stasera e domani. Un’altra ferita profonda per il popolo siriano.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/Damasco-il-giorno-dopo/ (riproducibile citando la fonte)

Il Qatar investe in Italia

Siglato l’accordo definitivo per l’acquisto di Smeralda Holding, interesse anche per un progetto romano proposto dal sindaco Alemanno

Il Qatar, nuovo e promettente mercato per le imprese italiane? Per quelle che operano nel settore delle infrastrutture una possibilità, anche se la concorrenza delle imprese giapponesi, cinesi e sudcoreane è agguerrita. Il piccolo Emirato sta ingolosendo molti Paesi.Ha investito infatti ben 180 miliardi di dollari per interventi di modernizzazione del Paese che ospiterà i mondiali di calcio del 2022. E che ha presentato Doha, la capitale, nella rosa delle città candidate ad ospitare le Olimpiadi del 2020.
Solo per la costruzione di infrastrutture per i Mondiali di calcio, il Qatar ha stanziato circa 70 miliardi: potenziamento della rete autostradale e ferroviaria, costruzione della metropolitana di Doha, nuovi stadi, progetti immobiliari e nel settore idrico.

Ma l’Emiro Hamad Bin Khalifa ha espresso, lunedì scorso (16 aprile) durante la sua visita ufficiale a Roma, anche l’intenzione d’investire in Italia.Ho chiesto all’emiro del Qatarquale fattore in passato avesse scoraggiato più di tutti gli investimenti in Italia – ha raccontato il Premier Mario Monti – e la risposta è stata: in primo luogo la corruzione”. Una dichiarazione poco edificante per il nostro Paese. Intanto l’Emiro, corruzione o meno, è già passato alla fase operativa. Infatti il Fondo Sovrano del Qatar, presieduto dallo sceiccoHamad bin Jassim bin Jabr al-Thani (Primo Ministro e il Ministro degli Esteri dell’Emirato) creato nel 2006 come braccio operativo della Qatar Investment Authority, che gestisce le enormi ricchezze del Paese del Golfo, ha firmato l’accordo definitivo per l’acquisto diSmeralda Holding, la società lussemburghese proprietaria dei più lussuosi alberghi della Costa (Cala di Volpe, Pitrizza, Romazzino e Cervo Hotel) dalla Colony Capital. L’accordo sarebbe stato siglato per 600 milioni di euro.
Secondo fonti sarde non confermate, l’Emiro sarebbe anche interessato all’acquisto della compagnia aerea Meridiana. Curioso. Un filo conduttore arabo lega il ’lancio” della famosa Costa Smeralda. E’ stato infatti il principe ismaelita Karim Aga Khan con un gruppo di soci fondatori, a trasformare nel 1962, un angolo sconosciuto dell’isola, in un paradiso di lusso. La Costa Smeralda è passata poi nella mani della catena alberghiera Sheraton, assorbita daStarwood. Questa, nel 2003, l’ha venduta alla Colony Capital del miliardario americano, di origine libanese, Tom Barrack che ora la cede all’Emiro del Qatar.

Monti ha sottolineato l’importanza della visita “che ha rafforzato l’amicizia tra i due Paesi’’, e durante la quale sono stati siglati numerosi accordi che estendono la cooperazione economica bilaterale.
Le relazioni bilaterali si sono intensificate soprattutto nel settore energetico: ’’Quando il rigassificatore di Rovigo sarà a pieno regime sosterremo il 10% del fabbisogno annuo di gas’’, ha spiegato il premier Monti, ricordando che questa intesa è finalizzata a fare dell’Italia un ’’hub energetico tra Unione Europea, Africa centrorientale e Asia’’.

Infine ancora un progetto d’investimento qatariota in Italia. Sempre durante la visita in Italia,lo Sheikh Hamad bin Khalifa al-Than si è dichiarato interessato al progetto presentatogli dal sindaco di Roma Gianni Alemanno. E cioè la costruzione di un parco tematico di Roma antica (http://www.france24.com/en/20120418-qatar-could-invest-ancient-rome-theme-park-reports) con spettacoli in un Colosseo ricostruito, bagni termali, rievocazione di famose battaglie. Location nella campagna laziale (300 ettari), con cinque nuovi hotel all’interno del parco che potrebbe ospitare otto milioni di visitatori all’anno e creare 9000 nuovi posti di lavoro.

Il Qatar sbarca in Italia, dunque. Vedremo se anche piccole e medie imprese italiane riusciranno a sbarcare nell’Emirato più ricco del mondo.