Qusayr
Aspettando Ginevra 2 Siria: si auspica una soluzione politica
I ribelli siriani, persa Qusayr, conquistano il valico di frontiera di Quneitra, sul Golan, tra Israele e Siria. Mentre Ayman al-Zawahri, il leader di al-Qaeda, in un video, incita di nuovo i siriani a lottare contro il presidente Bashar al-Assad, e a sventare «i piani americani perché la Siria diventi un Paese concepito per proteggere Israele». Negli Stati Uniti il senatore John McCain, ex candidato repubblicano alla Presidenza, ribadisce la necessità di sostenere i ribelli con una no-fly zone. Ma in Europa sembra prevalere la linea di una soluzione politica. Lo spera almeno il Ministro degli esteri italiano, Emma Bonino, che ha dichiarato in una intervista al settimanale ‘Tempi‘: «In Siria, ad oggi, siamo tra gli ottanta e i centomila morti. Per questo dobbiamo cogliere l’opportunità rappresentata dall’iniziativa russo-americana per una seconda conferenza di Ginevra».
Ginevra 2, dunque. Una conferenza che non è stata ancora convocata. Che, per esserlo, dovrebbe superare prima di tutto, la condizione posta dall’Opposizione e cioè le dimissioni del Presidente Bashar al Assad. Una condizione assurda come osserva ancora Emma Bonino: «l’uscita di scena del Presidente è l’oggetto del negoziato, non la precondizione». Ma gira e rigira gli ostacoli sembrano essere sempre gli stessi. E la Conferenza, l’ennesimo escamotage di facciata. La soluzione politica è l’unica possibilità per far cessare un conflitto sanguinoso che dura da più di due anni ed è destinato a far crescere l’escalation di violenza e il pericolo di contagio dei Paesi Vicini. Condannando la Siria alla cantonizzazione o a una guerra civile infinita. Ma nello stesso tempo, sarebbe disonesto dimenticare che i tentativi di mediazione politica sono sempre falliti. Gli equilibri fra gli innumerevoli attori coinvolti da tempo nel conflitto, interni, regionali e internazionali, sono troppo fragili. Gli interessi invece, troppo forti.
Il pre-vertice , per la Conferenza di pace, è fissato per il 25 giugno.
La Conferenza, dunque, non avrà luogo prima di luglio, come confermato anche dal Cremlino. Sempre che non intervengano altri fattori.
Posto che si riesca ad organizzarla, la Conferenza potrebbe davvero avere successo? Partiamo dalla base. E cioè dal documento finale della Prima Conferenza di Ginevra (del giugno 2012). Due punti sembrano fondamentali: il cessate al fuoco fra Oppositori e Regime per partecipare alla Conferenza e un accordo interno dell’Opposizione che, superando l’iper-frammentazione, sia in grado di rappresentare le varie anime della rivolta. Operazione in cui ha fallito più volte.
Altri passi necessari per la buona riuscita della Conferenza di Ginevra bis: una road map dettagliata che preveda l’insediamento di un governo provvisorio con membri del regime e dell’opposizione. Un governo provvisorio in grado di preparare il terreno politico e istituzionale indispensabile per tenere elezioni pluraliste e trasparenti. E ancora: un processo di Riconciliazione Nazionale aperto a tutti i settori della società civile, sotto la supervisione delle Nazioni Unite.
Il cessate al fuoco sembra già una obiettivo difficile da raggiungere. Ricordiamo ancora le trattative infinite e quando abbiamo aspettato con il fiato sospeso, il 12 aprile del 2012, se il “cessate al fuoco” previsto da Piano di Kofi Annan, inviato dell’Onu e delle Lega Araba, sarebbe stato rispettato. La delusione al riprendere delle ostilità.
Infine quali Paesi dovrebbero partecipare al Convegno? L’esclusione dell’Iran è irragionevole. E’ per certo un Paese coinvolto nel conflitto. Ma tanto quanto la Russia promotrice , insieme agli Usa, dell’iniziativa.
E rimane un dubbio. La crisi e il conflitto siriano hanno evidenziato che la regione è crocevia di nodi irrisolti dalla caduta dell’Impero Ottomano e dalla sua successiva divisione – spesso irresponsabile – da parte dell’Occidente, dai processi di colonizzazione e decolonizzazione, da interventi, più o meno occulti, dell’Occidente. Può davvero bastare ora una Conferenza a sciogliere oggi quei nodi?
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/politica/2013-06-06/85767-siria-si-auspica-una-soluzione-politica (riproducibile citando la fonte)
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La guerra civile siriana ha varcato i confini
«Sarà la città perduta di Atlantide. Si è ricostruita sette volte, ma fino a quando può andare avanti questa farsa? Un giorno dovrà finire. E quando accadrà sarà bellissimo» così scrive Zena El Khalil nel suo “Beirut I love you”, che descrive i 34 giorni dell’attacco israeliano, nel 2006, contro il Libano. Un Paese che ha sofferto una lunga guerra civile – dal 1975 al 1990 – le invasioni israeliane (nel 1978, nel 1982, nel 2006), il ’controllo’ siriano, la presenza sul territorio di circa 500mila rifugiati palestinesi, l’assassinio del Primo ministro Rafiq Hariri nel 2005. E che oggi sembra ritornare in prima linea con scontri e attacchi e il “fumo e le fiamme” cantati da Fairuz.
Dopo mesi di dichiarazioni sulla posizione di ‘neutralità nei confronti dei conflitti regionali’, per il Libano, esposto al contagio della guerra civile siriana, si sono infatti aperti nuovi scenari. Piuttosto preoccupanti. Domenica scorsa, due missili hanno colpito il quartiere meridionale di Beirut, Dahyeh, roccaforte del movimento sciita di Hezbollah. Un attacco non casuale. Un messaggio chiaramente intimidatorio. Un avvertimento per il leader del Partito di Dio, Hassan Nasrallah, dopo la dichiarazione pubblica dell’intervento dei suoi miliziani in Siria, a fianco dell’esercito del regime. In Libano sale la tensione e sembra ormai impossibile che il Paese possa resistere senza danni al vortice che sta distruggendo la Siria.
Missili nei quartieri controllati da Hezbollah a Beirut. Scontri a Tripoli e a Sidone. Al nord del Libano, a Tripoli, si respira una “atmosfera di violenza” come ha dichiarato, via skype, una famiglia che vive in zona. Gli scontri tra i sunniti del quartiere di Bab el Tabanneh, schierati con i ribelli siriani e tra gli alawiti (il ramo sciita a cui appartiene la famiglia degli Assad) di Jabal Mohse, “si sono intensificati”.
Il bilancio per ora è di circa 30 vittime e più di 200 feriti. Ma non solo. Sempre secondo la testimonianza «sono stati visti combattenti stranieri in zona». L’episodio che sembra aver dato il via agli scontri più duri sembra essere stato l’offensiva dell’esercito siriano, coadiuvato da militanti di Hezbollah, a Qusayr, una città molto importante dal punto di vista strategico, vicino al confine libanse e sulla strada fra Damasco e la costa. Scontri anche a Sidone, la capitale Sud del Paese, tra i miliziani dello sceicco salafita, Ahmad al- Assir, e i rappresentanti di Hezbollah. Non sono certo una novità, proseguono infatti dall’ottobre scorso, ma il ritmo diventa sempre più serrato. Mentre lo sceicco lancia un appello ai giovani sunniti libanesi perché si uniscano alle fila dei ribelli siriani .
E tutto questo dopo le dimissioni in aprile del Primo Ministro Mikati, il disaccordo sulla nuova legge elettorale ‘ortodossa’, e l’impossibilità quindi di andare alle urne nei tempi stabiliti. Il sistema elettorale ‘ortodosso’ consente agli elettori di votare solo i rappresentanti della propria confessione. Secondo i suoi sostenitori, il sistema è in grado di proteggere le comunità. Secondo gli oppositori accentuerà invece il confessionalismo, in un paese già diviso.
Intanto il Libano, sempre a causa della guerra civile siriana, avverte una sensibile crisi economica a livello commerciale ( le esportazioni libanesi sono diminuite ) e il turismo è in calo. «Abbiamo annullato molte prenotazioni» ammettono le receptionist di alcuni alberghi di Beirut. «La gente ha paura». Ad aggravare la situazione , il numero dei rifugiati siriani: circa 400.000 registrate ufficialmente presso l’Unhcr e molto probabilmente lo stesso numero di “clandestini” .
Ma come scrive ancora Zena El Khalil «Beirut è l’immaginazione senza censure. Ciò che desideri può avverarsi». Non desideriamo un’altra guerra civile in Libano. Non sembra desiderarla neppure Nasrallah, che nello stesso discorso in cui ammetteva il coinvolgimento in Siria, ha dichiarato agli avversari: «Combattiamo in Siria ma non in Libano».
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro La guerra civile siriana ha varcato i confini (riproducibile citando la fonte)
Vedi anche:
Una guerra civile infinita o una “cantonizzazione” della Siria?
L’utopia e l’ipocrisia bisbigliano ancora “soluzione politica”. Il Piano B di Bashar al-Asad
La realtà mette sul piatto della bilancia ormai solo due scenari. Il proseguimento di una guerra civile brutale, senza esclusioni di colpi che scivolerà ogni giorno di più nell’anarchia e nel caos. O la cantonizzazione della Siria.
La guerra civile porterà l’inevitabile corollario di vendette personali e di clan; di gruppi armati che si affrontano, milizie private, sacche di resistenza, bande criminali. Il Paese, d’altra parte, è già distrutto nelle infrastrutture e negli animi, nel patrimonio culturale e nel tessuto sociale. Alcuni analisti hanno ipotizzato almeno una ventina di anni prima che la Siria possa essere ricostruita. Ma si può ipotizzare quanti anni siano necessari per guarire dall’odio, dalle ferite interiori? Come entità territoriale unica comunque il Paese esiste solo sulle vecchie carte geografiche. Si sta disgregando. E i combattimenti continueranno anche in uno scenario post- Assad. Qualsiasi transizione infatti deve avvenire dall’interno. Dall’accordo dei vari gruppi e delle varie etnie. Certo la Siria può vantare un passato di coesistenza intercomunitaria. Ma dopo la guerra, le distruzioni e l’altissimo prezzo pagato in termini umani, quanto tempo impiegheranno i siriani a sentirsi cittadini di un unico Stato? E ci riusciranno?
Intanto sul terreno nessuno sembra intenzionato a deporre le armi. I combattimenti fra il regime e gli oppositori registrano vittorie e sconfitte alterne. Il Presidente Bashar al- Assad non controlla più tutto il territorio. E’ piuttosto stabile a Damasco ma sembra che stia preparando da tempo un piano B, nel caso fosse costretto ad abbandonare la capitale.
L’alternativa è quella di un piccolo Stato indipendente, costiero, nella zona di Latakia, protetto ad est dalle montagne popolate di villaggi alawuiti (il ramo sciita cui appartiene la famiglia degli Assad) e a ovest dalla base navale russa di Tartous. Uno stato che per sopravvivere dovrebbe essere collegato con la valle libanese della Beqaa (dominata dal movimento sciita di Hezbollah, filo-Assad) attraverso la piana di Qusayr, a una trentina di km a sud ovest di Homs. Una direttrice vitale.
Questo spiegherebbe il nuovo fronte dei combattimenti fra l’esercito lealista coadiuvato da Hezbollah e gli oppositori. Damasco, Homs, Hama e infine Latakia: la dorsale a ridosso del confine con il Libano è una zona strategica perché unisce la capitale con le zone costiere del nord dove la maggioranza della popolazione è, come abbiamo detto, alawita. La creazione di uno stato-énclave alawita collegato al Libano di Hezbollah e anche all’Iran attraverso l’aeroporto di Latakia o i porti di Tortous e Latakia, consentirebbe agli Assad di rimanere al potere e di mantenere in vita il cosiddetto “arco sciita”. Le zone curde di al-Raqqa e al-Hasaka, vicine al confine turco e iracheno, potrebbero invece distaccarsi dalla Siria e creare uno stato indipendente curdo. E qualcuno teme che i gruppi jihadisti estremisti riescano a dare vita a piccoli “emirati islamici” nelle regioni sotto il loro controllo.
Più di 70 mila morti secondo le fonti Onu, centinai di migliaia di profughi, macerie, rovine, troppo sangue versato. Che cosa resta oggi della Siria?
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/politica/2013-05-09/81389-siria-due-possibili-scenari (riproducibile citando la fonte)
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