Reza Pahlavi
L’ Oman e la Siria
Masqat– Il caffè all’interno del Royal Opera Hause è lussuoso. Mr Ashraf, lo chiamerò così, ha accettato di nuovo d’ incontrarmi. Anche se non è più servizio da qualche mese richiede l’anonimato. E’ rilassato. Disdasha bianca impeccabile e il capo avvolto dal mussar, il turbante omanita, sorseggia lentamente un thé allo zenzero. “Non abbiamo mai inviato armi in Siria. Non siamo fra i Paesi satelliti dell’Arabia Saudita per quanto riguarda il conflitto siriano. Anche se siamo in ottimi rapporti con la Casa Saud. Ma lo siamo anche con Teheran e gli Stati Uniti. Nel momento in cui i Paesi del Golfo e l’Iran hanno incominciato a partecipare attivamente alla guerra in Siria, l’Oman ha deciso d’imboccare il cammino del non-intervento”.
Una scelta vincente. Da quando il Sultano Qaboos bin Al -Sa’id, è al potere, d’altra parte, l’Oman è riuscito a mettere in pratica con successo la formula proclamata dal ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu, al suo ingresso nel governo Erdogan, “zero problemi con i vicini”. Una politica estera abile, raffinata e pragmatica quella del Sultano che ha sempre tenuto presente gli interessi del Paese all’interno delle complesse dinamiche regionali. Un Paese che fa parte del Ccg, il Consiglio di Cooperazione del Golfo (e cioè Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrein, Kuwait) ma che si muove, quando lo ritiene necessario, in maniera indipendente. Durante il vertice del dicembre 2013 a Kuwaiu City, per esempio, il ministro degli esteri del sultanato Yusuf bin Alawi, ha rifiutato in maniera assoluta, la proposta saudita di una unione politica e militare dei Paesi arabi del Golfo del Ccg, tanto desiderata dai Saud.
“Il nostro è un Paese discreto” – sorride Mr. Ashraf – “è conosciuto per il turismo, molti dimenticano la sua importanza geopolitica per gli equilibri della Regione”. E in effetti basterebbe guardare una carta geografica per capirlo. “Perché l’Oman è nella Penisola arabica, ma è, nello stesso tempo, il punto di accesso per Oceano Indiano, l’Asia meridionale e l’Africa Orientale e si trova incastrato fra l’Iran sciita e l’Arabia saudita e le monarchie sunnite“.
Buoni rapporti con l’Iran, dunque, perché l’Oman ha bisogno del favore di Teheran per raggiungere le rotte commerciali dell’Asia Centrale (attraverso lo stretto di Hormuz). Ma in Medio Oriente tutto è fluido e può cambiare, così buoni rapporti a parte, in misura ‘preventiva’, l’Oman sta investendo nella costruzione del porto di al-Duqm, sul mare arabico: il più profondo bacino di ancoraggio del Medio Oriente per ormeggiare le superpetroliere e perfetto punto di partenza per rotte orientali.
L’Oman e l’Iran condividono, inoltre, lo sfruttamento dei giacimenti di gas al largo della Penisola di Musandam (zona omanita) e quelli sull’isola di Kish (zona iraniana. Collaborano a favore della sicurezza marittima, contro la pirateria, ancora nello stretto Hormuz. E sono legati da un patto di difesa, che prevede esercitazioni militari congiunte, firmato, quattro anni fa nel 2010. “Esiste ancora un senso di gratitudine per l’Iran (anche se allora era ancora al potere lo Shah Reza Pahlavi) per l’appoggio militare a favore del Sultano contro la rivolta della regione del Dhofar (fra il 194 e il 1975)“.
Torniamo alla Siria e al non-schieramento. “Anche se sappiamo che non possiamo pensare al conflitto siriano in termini religiosi (sunniti contro sciiti) è pur vero che il nostro Paese è a maggioranza ibadita. Circa il 75% degli omaniti sono musulmani ibaditi, quindi né sunniti né sciiti. Un fattore che ci ha facilitato. Per quanto riguarda le relazioni con gli Stati Uniti, un elemento che ci unisce, è la lotta allo jihadismo e ai gruppi legati ad al-Qaida. Temiamo al-Qaida perché molte cellule affiliate sono attive nel sud dello Yemen, al confine con la regione del Dhofar“.
E infatti, viaggiando verso il confine, s’incontrano numerosi posti di blocco e l’Oman sta progettando la costruzione di una barriera di sicurezza lungo il confine ovest, non solo per l’allarme al Qaida ma anche per combattere il contrabbando delle armi. Ancora riguardo al rapporto Oman Stati Uniti: nel 1980 dopo la rivoluzione islamica a Teheran, firmarono un patto di difesa, ancora operativo (la Casa Bianca può utilizzare le basi aeree di Masqat, di Thamarit nel Dhofar e dell’ isola di Masirah). Ma non aspettatevi di vedere militari statunitensi in giro. Sono ‘nascosti’ nell’isola di Masirah, al largo delle coste. E quando sbarcano, vestono in borghese.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro l’Oman e la Siria (riproducibile citando la fonte)
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