Syria
19 maggio 2015 : Minireport Esteri
#Syria, #Iraq, #Yemen #Immigrazione. Palmira per ora è salva ma lo Stato Islamico #SI ha conquistato #Ramada nella provincia occidentale irachena di #Ambar. In #Yemen sono ripresi i raid aerei della coalizione a guida saudita contro i ribelli houthi, soprattutto ad #Aden, dopo cinque giorni di tregua, che non è stata rinnovata per le continue violazioni.
#Immigrazione. Via libera dal Consiglio dei ministri degli Esteri e Difesa europei alle operazioni navali contro i #trafficanti di uomini nel Mediterraneo.La risoluzione deve essere approvata dall’#Onu e poi, nel Consiglio europeo del 25 e 26 giugno a Bruxelles .#Ue però divisa sulle “quote dei rifugiati obbligatorie (fonti El Pais, Le Figaro, Al Jazeera. Al Arabiya)
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Rai1 UnoMattinaTalk: i fatti dell’estate, GMG in Brasile e crisi siriana, 4 settembre 2013
Intervento a Uno Mattina Talk: i fatti dell’Estate, si parla della Giornata Mondiale della Gioventù in Brasile e della crisi siriana.
in studio con
- Padre Enzo Fortunato, Dir Sala Stampa Sacro Convento di Assisi
- Paola Severini, scrittrice, autrice televisiva e direttrice di Angeli Press
- Antonella Appiano, inviata per il Medioriente del quotidiano on line L’Indro
Sky TG24 – L’intervento di Antonella Appiano
Antonella Appiano, rientrata settimana scorsa dalla Siria, ospite a Sky TG24 del 21/07/2012.
La svolta nella battaglia di Damasco: dove sarà ora il presidente Bashar al Assad?
La battaglia di Damasco ha segnato una svolta. L’attentato al Palazzo della Sicurezza Nazionale in cui sono rimasti uccisi importanti esponenti dell’esercito e dell’intelligence − tra cui il Ministro siriano della Difesa Dawoud Rajiha, il viceministro della Difesa ed ex capo dei servizi di sicurezza militari, Assef Shawkat (marito della sorella del Presidente, Bushra) e Hasan Turkmani, a capo della cellula anti crisi − rappresenta senza dubbio un attacco al simbolo del Potere. Ma del potere ‘formale’ (quello diciamo di facciata composto dal Parlamento, dal Governo, dalla Corte di Giustizia), non decisionale.
In Siria infatti è il poter ‘informale’ (composto dai Servizi di sicurezza e dai Corpi speciali dell’esercito) a prendere le decisioni, oltre naturalmente al Presidente.
Non sappiamo in questo momento se Bashar al Assad abbia lasciato o meno Damasco. Fonti dell’Opposizione affermano che si sia “rifugiato a Lattakia”, ma con certezza, sappiamo solo che il Rais non era nella sede dell’Ufficio della Sicurezza Nazionale al momento dell’attentato. Il Palazzo si trova in un quartiere al nord della città, Abu Roumaneh, accanto a piazza al Malki (dove ci sono molte ambasciate, anche quella italiana) e molto vicino alla Residenza presidenziale, un’area super controllata. E questo pone interrogativi sulla dinamica dell’esplosione. Auto kamizake, una bomba lasciata all’interno del Palazzo o un kamikaze, un uomo insospettabile, che indossava una cintura esplosiva?
I combattimenti fra gli oppositori dell’Esercito siriano libero e l’esercito regolare, per la prima volta si sono spostati dalla periferia della capitale al centro. E proseguono da cinque giorni.
A Midan, quartiere sunnita conservatore a sud della Città vecchia, a Kafar Suse, già teatro di manifestazioni nei mesi scorsi. Questi scontri cono attestati anche da testimonianze, attraverso alcune telefonate via skype con cui sono riuscita a raggiungere Damasco. “Si spara, ci sono elicotteri e blindati a Midan”, dice un medico residente nel quartiere.
Fonti non confermate, riferiscono che si combatte anche a Sharia Baghad e nel quartiere di Muhajirin vicino a una caserma della Quarta Divisione comandata dal fratello del Presidente, Maher.
L’esito degli scontri, però non è ancora certo. Molti gli interrogativi. Non solo sulla sorte del Presidente, sulla dinamica dell’attentato o sull’accresciuta capacità dei ribelli che appare rinforzata da aiuti esterni.
Ultimo ma certo non meno importante interrogativo: che cosa faranno gli alawuiti (la setta minoritaria sciita, cui appartengono gli Assad) al potere (sia pur con elementi cooptati dalla comunità sunnita e cristiana) che hanno continuato a sostenere la leadership di Damasco? Continueranno a combattere? Si ritireranno nella regione di provenienza (le montagne fra il Mediterraneo e la piana dell’Oronte)? La caduta del Presidente provocherebbe una vera e propria crisi del sistema, travolgendo come un’onda tutta la società.
Una cosa però è certa. La guerra civile non resterà confinata nel Paese. Ci saranno ripercussioni sulla regione. La Siria confina con Paesi caldi come Libano, Iraq, Israele. Gli interessi in gioco sono tanti. Per esempio quello dell’Occidente e dei Paesi del Golfo che hanno sostenuto l’opposizione armata nel sostituire il regime con una leadership sunnita per isolare gli Hezbollah libanesi e l’Iran sciita, troppo forte per essere attaccato. Un Iran che dà fastidio agli Stati Uniti per il nucleare e per il dominio nel Golfo del petrolio. Nata come rivolta socio-economica, la crisi siriana rischia di trasformare il Paese in un nuovo Libano o comunque di essere strumentalizzata da potenze esterne, arabe, occidentali, turche. Siria. Una guerra per procura?
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/dove-sara-ora-il-presidente-bashar-al-assad/ (riproducibile citando la fonte).
TV2000 del 19/07/12 – L’intervento di Antonella Appiano
Antonella Appiano, appena rientrata dalla Siria e ospite di Nicola Ferrante a Nel cuore dei giorni Estate su TV2000, parla della crisi che sta colpendo il Paese.
UnoMattina Estate del 19/07/12– Antonella Appiano ospite in studio
UnoMattina Estate. Antonella Appiano, appena rientrata da Damasco, parla della situazione siriana.
Intervista a un membro anonimo dell’opposizione: Siria, “è una rivolta sociale”
Beirut − Ieri mattina presto a Damasco è arrivato il tam-tam sugli scontri nei sobborghi della capitale, fra l’esercito regolare e gli oppositori armati. Un rincorrersi di voci degli abitanti di Sidi Qadad, di al Qazaz, Tadamun. Ancora una volta, come già è successo nelle settimane scorse, la periferia sta attaccando il centro. Quartieri poveri, agglomerati cresciuti come funghi senza piani regolatori dopo l’immigrazione massiccia dalle campagne degli ultimi anni. Damasco solo qualche anno fa contava un milione e mezzo di abitanti, ora ci vivono circa sei milioni di persone.
Un membro dell’Opposizione siriana che ha partecipato anche all’Incontro al Cairo del 2 luglio come indipendente − e che naturalmente chiede l’anonimato − incontrato due giorni fa a Damasco, afferma che “i principali gruppi di Opposizione hanno ormai trovato l’accordo con l’esercito Siriano libero”. Racconta: “All’inizio sono stato a favore di un’Opposizione senza armi ma ora non più. Abbiamo bisogno di un braccio armato”. Eppure il FSA (Free Syrian Army) aveva boicottato la riunione, gli ricordo. “È vero, però le divisioni si stanno appianando. Abbiamo capito che se vogliamo davvero cambiare il sistema dobbiamo lottare insieme”.
Abdul (lo chiamerò con questo nome) afferma che anche molti cristiani e alawuiti (la minoranza sciita cui appartiene la famiglia del Presidente Bashar al Assad, circa il 13% della popolazione) adesso “hanno passato la barricata”. Aggiunge: “Gli alawuiti hanno cooptato una larga fetta di borghesia sunnita e cristiana anche se occupano circa l’80% degli alti comandi militari e della sicurezza. Voi occidentali sbagliate quando affermate che questo è scontro settario, confessionale. È una rivolta nata su basi sociali, economico-sociali. Il Presidente Bashar, al contrario del padre Hafez, ha trascurato le campagne. I contadini si sono impoveriti e la politica di liberalizzazione ha accresciuto i problemi. La disoccupazione è arrivata alla soglia del 30%. Anche la privatizzazione degli enti pubblici non ha portato gli effetti positivi sperati perché la corruzione ha favorito solo certi gruppi al potere. Solo in un secondo tempo quindi, le rivolte sono diventate una questione politica”.
Secondo Abdul “le armi vengono pagate da imprenditori che vivono all’estero, portate dai soldati disertori o comperate di contrabbando”. Ma ammette un coinvolgimento di Paesi stranieri. E la presenza di “gruppi di jihadisti”. “E non pensate di poter essere strumentalizzati?” domando. “No, risponde. La parte sana e laica della Siria vincerà.” Ma ormai la rivolta si è trasformata in guerra civile. Nega. Insisto. “Se un siriano uccide un altro siriano…”. Non risponde. “C’è purtroppo anche delinquenza comune, piccole fazioni fuori controllo” ammette. Intanto anche la Croce Rossa Internazionale dichiara che “il conflitto siriano ormai è così diffuso da dover essere classificato come guerra civile”.
Fino a che sono rimasta in città non ho visto colonne di fumo e non ho sentito bombardamenti da Midan, il quartiere a maggioranza sunnita a sud ovest di Old Town, nella capitale. Un quartiere pieno di moschee perché in passato da questa zona partivano le carovane di pellegrini diretti alla Mecca. Un quartiere ribelle anche durante la dominazione ottomana e l’occupazione francese. Bombardato dai francesi durante la rivolta siriana del 1925. Ma ieri pomeriggio e stamattina le agenzie hanno riportato la notizia di veicoli corazzati nel quartiere per controllare le strade principali di accesso. Da Beirut chiamo inutilmente al telefono Bassam che vive in zona. Il telefono squilla a vuoto.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/Siria-e-una-rivolta-sociale/ (riproducibile citando la fonte).
L’altra faccia della guerra in Siria
Damasco – È siriano ma ha vissuto a lungo in Italia, a Siena, per studiare Storia dell’Arte Contemporanea. Artista e critico d’arte, fondatore della Biennale di Sharjah, Talal Moualla, ha lavorato negli Emirati Arabi Uniti, a Dubai e a Sharjah, come Direttore del Centro d’arte arabo. Da un anno è ritornato in Siria per dirigere il nuovo Dipartimento per lo sviluppo dei Musei e dei siti archeologici del Patrimonio Culturale.
“Una squadra specializzata si trova ora nel Distretto di Qamishli, a nord, nella zona curda, dove sono stati scoperti i resti di antichi villaggi. Lo so, sembra strano, ma nel paese esiste questa doppia realtà. Certo, in alcune zone si combatte, però allo stesso tempo la vita va avanti. Tutti gli uffici e i Ministeri funzionano regolarmente, anche il Museo di Damasco è aperto”. Sorride. “Non ci sono turisti, è vero, ma torneranno. In ogni caso non possiamo permettere che le testimonianze delle antiche civiltà che si sono sovrapposte in Siria – da Ebla ai Babilonesi, dai Romani ai Bizantini, dagli arabi agli ottomani – vengano danneggiate o dimenticate. Ho proposto al Governo un nuovo piano per il mantenimento del nostro Patrimonio culturale, una delle nostre ricchezze più grandi, ed è stato accettato con entusiasmo”.
Occhiali e folta barba brizzolata, Talal Moualla afferma che “In passato questo Patrimonio non è stato conservato e valorizzato in maniera corretta” e aggiunge “c’è molto da fare, per questo, anche se ho la residenza a Dubai sono rientrato nel mio Paese”.
Guerra e cultura. Guerra, monumenti e antichità. Sembrano entità distanti fra loro eppure non lo sono. Prima di tutto perché, approfittando della situazione, molte opere d’arte possono che essere trafugate e portate di contrabbando all’estero. “Il commercio illecito di antichità sta aumentando – racconta Jean, un libanese che ha parenti in Siria – io stesso pur non essendo nel ramo sono stato contattato da una famiglia di Damasco che mi ha proposto la vendita di un antico dipinto”. E Fatima, che teme un intervento militare da parte dell’Occidente aggiunge. “Non posso dimenticare che cosa è successo in Iraq, durante l’attacco anglo-americano. Il museo di Baghdad depredato dei suoi tesori. I siti di Umma eIsin, distrutti per sempre”.
Fatima appartiene anche al gruppo dei siriani ’profughi’ in Patria. Abitava a Douma, una quindicina di chilometri da Damasco, il sobborgo a maggioranza sunnita, teatro degli scontri fra l’esercito e i guerriglieri del Free Syrian Army, nei primi giorni del mese. “Ho lasciato la mia casa già da mesi. Ora vivo dalla nonna in città”. E’ ancora Jean a raccontarmi che “un certo numero di siriani sta cercando casa a Beirut. Ho affittato appartamenti a due famiglie. C’è domanda. Qualcuno continua a rimanere in Siria però preferisce avere una piccola base anche fuori”.
Una giornalista siriana, Rana, sospira: “Stasera vado a una festa di fidanzamento. Ci si sposa, si esce, anche la sera, si cerca di vivere come prima. Però non è più come prima. Ho paura. Passo davanti a un’automobile e penso: esploderà? Due mie amici, che insegnavano arabo agli stranieri, da senza lavoro, si sono trasferiti in Francia. Chi ha parenti all’estero o doppia nazionalità, soprattutto chi ha figli piccoli sta pensando di lasciare il Paese almeno fino a quando la situazione si risolverà”. Chiedo: in che modo? Mi risponde con un sorriso imbarazzato.
Intanto il numero dei profughi siriani, secondo gli ultimi dati dell’UNHCR, (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), è salito a 90mila, di cui il 75% donne e bambini. Sono ospiti nei campi allestiti in Turchia, Libano e Giordania.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/laltra-faccia-della-guerra-in-siria/ (riproducibile citando la fonte).
Siria, una guerra a due piani
Damasco – Majed è un soldato di leva. In Siria il servizio militare è obbligatorio e dura un anno e mezzo. “Sono un musicista” mi dice subito. Finiti gli studi al Conservatorio, infatti, ha avuto il posto nell’Orchestra sinfonica ma è anche stato richiamato. Ora è ricoverato all’Ospedale militare di Tishreen con una brutta ferita alla gamba sinistra. “Sono stato colpito in un’imboscata alla periferia di Aleppo, il 5 di Giugno; eravamo sulla statale con l’ambulanza quando siamo stati attaccati, un mio compagno è morto.” Majed non sa quanti siano gli insorti armati nella zona nord (lui li chiama terroristi), ma racconta che sono ben armati. Mitragliatrici PKC e lanciarazzi RPG. Fra quattro mesi Majedtermina, il servizio militare, e “tornerà a suonare la tromba nell’Orchestra sinfonica, insahaallah”.
Brahim invece è un ufficiale. Capelli rasati e occhi chiari, sembra un marine. Anche lui è ferito a una gamba. Anche lui è stato colpito in un’imboscata, ma a Douma il 4 di giugno, durante un servizio di pattugliamento. “Appena guarisco ritorno nell’esercito a fare il mio dovere”.
“Ieri c’è stato il funerale di 30 soldati qui all’Ospedale” − mi dice il Direttore, un chirurgo ortopedico. “Nei mesi scorsi, arrivavano una quindicina di morti al giorno, ma negli ultimi tempi le vittime sono aumentate”. Il Direttore, che non è solo medico ma anche generale, è cristiano e originario di un villaggio vicino a Homs, appare molto sicuro. “La situazione è sotto controllo”. E mi corregge quando cerco di sapere il numero di chi combatte nelle fila dell’Esercito siriano libero: 40, 50 mila? “Non è un esercito, sono bande, gruppi armati di terroristi che non osano affrontarci frontalmente e ci attaccano in agguati e imboscate”. Poi sorridendo mi suggerisce di girare la domanda al Presidente Barack Obama.
Eppure i feriti sono tanti nelle corsie dell’Ospedale. Questo significa che la guerra in Siria si è fatta più dura. L’esercito regolare è composto da circa 300mila uomini, ma in tanti hanno disertato e più che una guerra è una guerriglia sempre più crudele, fatta d’imboscate, rapimenti, rappresaglie. “I civili spesso sono presi di mezzo, coinvolti in una lotta senza esclusione di colpi”, racconta un testimone che chiede l’anonimato per sicurezza. Hassan è stato ferito proprio mentre “cercava di liberare un gruppo di soldati rapiti il 27 di giugno a Daraa dai terroristi”. Terroristi. Una parola che fa paura soprattutto ai cristiani fuggiti da Homs e che ora riempiono molti alberghi Damasco. “Chi sono?, Li ha visti?”, chiedo a uno sfollato che accetta di essere intervistato. “Ma non scriva il mio nome”, chiede con insistenza. “Sono integralisti, jihadisti. Arrivano dall’Iraq, dalla Giordania, o comunque da fuori. Non so quanti siano ma abbastanza per terrorizzarci e farci lasciare le nostre case. Siamo profughi, vede? Profughi di lusso, ma pur sempre profughi”.
Diciotto mesi, circa 15mila morti. In Siria si combatte una guerra su due livelli. Il primo è sul campo, fra i ribelli e la leadership di Damasco. Il secondo è fra le diplomazie e i giochi di potere dei Paesi coinvolti ormai in questa battaglia geopolitica. Potenze regionali come i Paesi del Golfo le grandi Potenze. Usa e Russia in testa. L’Iran. Ma la Siria confina anche con Paesi caldi come la Turchia, Israele, Libano e Iraq. Intanto, di vertice in vertice, di riunione in riunione per cercare una soluzione politica per il disarmo, per decidere se i Caschi Blu devono o no proseguire la loro missione, la gente qui muore.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/Siria-una-guerra-a-due-piani/ (riproducibile citando la fonte).