Tripoli

Effetto Siria e Contagio egiziano

Reazioni in Medio Oriente

Sugli schermi della televisione siriana passa a ripetizione uno spot che mostra un dattero, alimento tradizionale del Ramadan, che contiene un proiettile. Sotto, una scritta: «Non rovinate il Ramadan con la violenza». Era l’11 agosto 2012, un anno e un mese fa, ad Aleppo. Quest’anno il Ramadan è iniziato il 9 o il 10 luglio (varia da Paese in Paese secondo le fasi lunari), ma in Siria le armi

Libano, il prossimo fronte?

Analisti divisi – Il Commento del Prof. Paolo Branca

Già nel novembre scorso, percorrendo la direttrice che collega Beirut a Sidone (città portuale a circa 40 km a sud della capitale) ero stata avvisata che spesso, verso sera, i miliziani  salafiti  dello sceicco Sheikh Ahmad al- Assir,  sbarravano la strada nei dintorni di Sidone. In quei giorni c’erano stati scontri  tra la fazione salafita e i miliziani di Hezbollah. Allora i militari libanesi non erano intervenuti né erano stati coinvolti. Si limitavano a stazionare nei check point. Ma due giorni fa (il 23 giugno) un gruppo dello Sheikh al-Assir ha attaccato proprio un check-point militare ad Abra, un villaggio vicino a Sidone con lanci di granate. Incidenti anche sul lungo mare di Sidone. Il bilancio: 17 soldati e 25 miliziani uccisi. Scontri, sempre al sud,  nel campo profughi palestinese di Ein al Hilwah.

Il motivo dell’attacco? Lo Sheikh ha accusato il governo di essere un alleato di  Nasrallah, leader di Hezbollah e ha spinto  i suoi seguaci ad assalire i militari dell’esercito. Un fatto che rappresenta senza dubbio un escalation pericolosa.  Soprattutto ora che il Libano è retto da un governo provvisorio, dopo le dimissioni in aprile, del Primo ministro Mikati e che l’esercito non riceve forse ordini precisi.

Il villaggio di Abra è da tempo è roccaforte di gruppi sunniti radicali  libanesi schierati contro il Presidente siriano Bashar al -Assad e contro Hezbollah, il movimento sciita che lo sostiene militarmente. Lo Sheikh al-Assir aveva invitato anche i suoi miliziani a dare fuoco alle case di esponenti di Hezbollah, che vivono in zona. Ricordiamo però che i sunniti radicali rappresentano una minoranza in Libano. Il Gran Mufti Mohammad Rashid Qabbani, il più alto rappresentante sunnita  ha dichiarato che l’attacco contro i militari è stato un vero e proprio crimine contro il Libano.  Ieri l’esercito ha ripreso il controllo di Abra, confiscando esplosivi e fucili automatici.  Lo Sheick è in fuga mentre il Presidente Suleiman ha indetto una riunione di emergenza del governo. Continuano gli scontri anche al nord del Libano, a Tripoli fra i sunniti del quartiere di Bab el Tabanneh, schierati con i ribelli siriani e tra gli alawuiti (il ramo sciita cui appartiene la famiglia degli Assad) di Jebal Mohse.

Gli  ultimi attacchi riportano alla mente le violenze della guerra civile libanese. Perché come ha scritto il giornalista David Rieff  «Non è vero che la storia si ripete prima come tragedia e la seconda volta come farsa. Si ripete soltanto, più e più volte, come tragedia».

E’  comunque dall’inizio della guerra civile siriana che  gli analisti sono divisi sul fatto che il contagio possa estendersi anche al Paese dei Cedri. Abbiamo chiesto un commento al Prof. Paolo Brancadocente di Islamistica e Lingua e Letteratura araba presso l’Università Cattolica di Milano.  

Non solo il Libano, ma l’intero Medio Oriente vede addensarsi le nubi del confessionalismo settario che oppone sempre più il campo sunnita e quello sciita, mascherando con la religione interessi di natura geostrategica. L’elezione di un moderato in Iran fa ben sperare sul breve periodo, ma è un fatto che la regione resta (come ai tempi della Guerra Fredda) il campo dove si affrontano strategie che la sorpassano e temo che la popolazione civile pagherà come sempre il prezzo più alto di giochi che sostanzialmente non le appartengono“.

Molti osservatori ritengono che il rischio consista proprio nel fatto che diverse fazioni religiose del Paese tornino a scontrarsi in una guerra civile simile a quella combattuta fra il 1975 e il 1990. Altri sostengono che proprio la memoria di quelle tragedia fermerà il contagio. Il suo parere.

Un’atroce barzelletta di molti anni fa riporta che due capi di fazioni siriane si dicevano a vicenda: “Combatteremo fino all’ultimo libanese!” Anche l’Algeria è stata poco interessata dalla  primavera araba poiché aveva già dato… ma, come diceva Einstein,due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana” aggiungendo “sul primo potrei avere dei dubbi.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro Libanoi il prossimo fronte (riproducibile citando la fonte)

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La guerra civile siriana ha varcato i confini

«Sarà la città perduta di Atlantide. Si è ricostruita sette volte, ma fino a quando può andare avanti questa farsa? Un giorno dovrà finire. E quando accadrà sarà bellissimo» così scrive Zena El Khalil nel suo “Beirut I love you”, che descrive i 34 giorni dell’attacco israeliano, nel 2006, contro il Libano. Un Paese che ha sofferto una lunga guerra civile – dal 1975 al 1990 – le invasioni israeliane (nel 1978, nel 1982, nel 2006), il ’controllo’ siriano, la presenza sul territorio di circa 500mila rifugiati palestinesi, l’assassinio del Primo ministro Rafiq Hariri nel 2005. E che oggi sembra ritornare in prima linea con scontri e attacchi e il “fumo e le fiamme” cantati da Fairuz.

Dopo mesi di dichiarazioni sulla posizione di ‘neutralità nei confronti dei conflitti regionali’, per il Libano, esposto al contagio della guerra civile siriana, si sono infatti aperti nuovi scenari. Piuttosto preoccupanti. Domenica scorsa, due missili hanno colpito il quartiere meridionale di Beirut, Dahyeh, roccaforte del movimento sciita di Hezbollah. Un attacco non casuale. Un messaggio chiaramente intimidatorio. Un avvertimento per il leader del Partito di Dio, Hassan Nasrallah, dopo la dichiarazione pubblica dell’intervento dei suoi miliziani in Siria, a fianco dell’esercito del regime. In Libano sale la tensione e sembra ormai impossibile che il Paese possa resistere senza danni al vortice che sta distruggendo la Siria.

Missili nei quartieri controllati da Hezbollah a Beirut. Scontri a Tripoli e a Sidone. Al nord del Libano, a Tripoli, si respira una “atmosfera di  violenza” come ha dichiarato, via skype, una famiglia che vive  in zona. Gli scontri  tra i sunniti del quartiere di Bab el Tabanneh, schierati con i ribelli siriani e tra gli alawiti (il ramo sciita a cui appartiene la famiglia degli Assad) di Jabal Mohse, “si sono intensificati”.

Il bilancio per ora è di circa 30 vittime e più di 200 feriti. Ma non solo.  Sempre secondo la testimonianza «sono stati visti combattenti stranieri in zona».  L’episodio che sembra aver dato il via agli scontri più duri sembra essere stato l’offensiva dell’esercito siriano, coadiuvato da militanti di Hezbollah, a Qusayr, una città molto importante dal punto di vista strategico, vicino  al confine libanse e sulla strada fra Damasco e la costa.  Scontri anche a Sidone, la capitale Sud del Paese, tra i miliziani  dello sceicco salafita, Ahmad al- Assir, e i rappresentanti di Hezbollah. Non sono certo una novità, proseguono infatti dall’ottobre scorso, ma  il ritmo diventa sempre più serrato. Mentre lo sceicco lancia un appello ai giovani sunniti libanesi perché si uniscano alle fila dei ribelli siriani .

E tutto questo dopo le dimissioni  in aprile del Primo Ministro Mikati, il disaccordo sulla nuova legge elettorale ‘ortodossa’, e l’impossibilità quindi di andare alle urne nei tempi stabiliti.  Il sistema elettorale ‘ortodosso’ consente agli elettori di votare solo i rappresentanti della propria confessione. Secondo i suoi sostenitori, il sistema è in grado di proteggere le comunità. Secondo gli oppositori  accentuerà invece  il confessionalismo, in un paese già diviso.

Intanto il Libano, sempre a causa della guerra civile siriana, avverte una sensibile crisi economica a livello commerciale ( le esportazioni libanesi sono diminuite ) e il turismo è in calo. «Abbiamo annullato molte prenotazioni» ammettono le receptionist di  alcuni alberghi di Beirut. «La gente ha paura».  Ad aggravare la situazione , il numero dei rifugiati siriani: circa 400.000  registrate ufficialmente presso l’Unhcr e molto probabilmente lo stesso numero di “clandestini” .

Ma come scrive ancora Zena El Khalil «Beirut è l’immaginazione senza censure. Ciò che desideri  può avverarsi». Non desideriamo un’altra guerra civile in Libano. Non sembra desiderarla neppure Nasrallah, che nello stesso discorso in cui ammetteva il coinvolgimento in Siria,  ha dichiarato agli avversari:  «Combattiamo in Siria ma non in Libano».
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro La guerra civile siriana ha varcato i confini (riproducibile citando la fonte)

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La fragilità del Libano

Le sfide nel Paese dei Cedri

LA FRAGILITÀ DEL LIBANO

Fra tensioni non risolte, dinamiche regionali, un governo che si basa sulle componenti religiose, disoccupazione in aumento e i rifugiati palestinesi. E le elezioni si avvicinano.

Mi trovavo a Beirut quando è scoppiato il conflitto Gaza-Israele. E la soglia dell’attenzione per ciò che stava accadendo era molto alta. Nei caffé e nei negozi, i televisori erano sintonizzati sulle emittenti satellitari che trasmettevano immagini e notizie 24 ore su 24. E la gente non parlava d’altro. Che cosa succederà? Israele e Hamas firmeranno la tregua? E se invece scoppiasse una guerra regionale? Se Israele occupasse ancora una volta il sud del Libano? Ora che la tregua è stata raggiunta fra Hamas e Israele, l’esercito di Tel Aviv non ha invaso la Striscia e si è ritirato, chiamo dall’Italia, Samira, avvocato quarantenne di Sidone. Non nasconde il sollievo. Ma è consapevole che se l’accordo non si trasforma in un processo di pace, rimane fragile.

Fragile come il suo Paese, il Libano, che confinando con Israele e la Siria, è infatti dal punto di vista geopolitico, ’a rischio’, esposto a continue tensioni e non solo da oggi. Una entità politica chiamata Libano infatti non era mai esistita prima dello smembramento dell’Impero Ottomano seguito alla Prima guerra mondiale. Fu la Francia a tracciare i confini del nuovo Paese, riunendo in una unico Stato un mix di di confessioni religiose: musulmani sunniti e sciiti, cristiani, drusi. Nel 1926 la Francia permise che il Libano (ancora sotto l’influenza francese) si proclamasse Repubblica e adottasse una Costituzione. Ma proprio questa Costituzione conteneva fattori di pericolosa ambiguità che verranno alla luce presto.

Certo gli abitanti del Paese dei Cedri erano arabi per lingua e cultura, ma l’unità era compromessa dagli interessi economici e dalle diverse alleanze delle varie confessioni. Diciotto per la precisione quelle ufficialmente riconosciute (armeni cattolici, armeni ortodossi, alawuiti, Chiesa assira d’oriente, caldei cattolici,copti, drusi, greco-cattolici, greco ortodossi, ismailiti, ebrei, maroniti, protestanti, cattolici romani, sunniti, sciiti, siro-cattolici, sir-ortodossi ). Nel 1926, la maggioranza dei libanesi, era cristiana, circa il 55% seguita dai musulmani sunniti, dai musulmani sciiti e dai drusi. La costituzione, formalizzata in maniera definitiva nel 1943, prevedeva un assetto istituzionale regolamentato dall’appartenenza religiosa. Il Presidente della repubblica, cristiano (in particolare cristiano maronita); il primo ministro, sunnita, il presidente del Parlamento, sciita.

Con gli anni i rapporti di forza delle componenti cambieranno. Ma il Libano continua a esseregovernato dai gruppi religiosi che devono mediare di continuo fra cittadini e Stato. A questa situazione di instabilità strutturale, vanno poi aggiunti altri eventi: la lunga e cruenta guerra civile, dal 1975 al 1990 – provocata dal’intrinseca debolezza della società libanese frammentata e quindi preda di antagonismi – le invasioni israeliane (nel 1978, nel 1982, nel 2006), il continuo ’controllo’ siriano, la presenza sul territorio di circa 500mila rifugiati palestinesi, l’assassinio del Primo ministro Rafiq Hariri nel 2005.

L’attacco a Gaza ha risvegliato i timori in una parte di sciiti libanesi, di un’altra invasione d’Israele, nel sud. Il leader del partito Hezbollahah, Hassan Nasrallah ha già avvisato TelAviv. La risposta ad un eventuale attacco, sarà un lancio di missili. Storicamente poi il Libano è stato sempre connesso con la Siria. E ora guarda con apprensione al conflitto che potrebbe estendersi all’interno dei suoi confini. Al nord, nella zona di Tripoli da mesi sono in atto scontri fra sciiti pro Bashar e sunniti anti Bashar. E se le forze progressiste tifano per cambio di regime in Siria, si percepisce chiaramente nel Paese anche il timore che la Siria diventi un altro anello dell’alleanza Fratellanza Musulmana e Stati Uniti.

In questo quadro s’inseriscono le elezioni politiche previste per la primavera del prossimo anno. Tutti sono in teoria d’accordo nell’affermare che una riforma elettorale sia ormai inevitabile. Ma la via per raggiungere l’obiettivo è piena di ostacoli. Intanto ieri (26 novembre) a Beirut, il Presidente libanese, Michel Suleiman, e il Presidente armeno, Serzh Sarkissian, hanno lanciato un appello per risolvere la crisi siriana tramite canali politici senza interventi militari esterni. Suleiman ha aggiunto che “il Libano continuerà a mantenere una posizione neutrale sui conflitti regionali”.
Vengono in mente alcuni versi della celebre canzone di Fairouz ’Li Beirut’: “Beirut con il suo animo produce vino e sudore, pane e gelsomini con le fatiche dei suoi abitanti. Ma allora perché ha il sapore di fiamme e fumi?”.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro: La fragilità del Libano (riproducibile citando la fonte)