Yemen
Yarmouk – attacco Stato Islamico – Intervista Radio Onda d’Urto
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Il mio intervento a Radio Onda d’Urto sulla situazione al campo profughi palestinese di Yarmouk alla periferia di Damasco, l’attacco dei miliziani dello Stato Islamico; l’accordo sul Nucleare con l’Iran; i bombardamenti sauditi in Yemen.
In onda nello spazio “Approfondimenti”, con Irene Panighetti – 2 Aprile 2015 .
31 Marzo 2015 MINIREPORT ESTERI
#Minireport_Esteri. A #Losanna ancora un giorno per trovare un’intesa sul nucleare tra #lran e il gruppo dei 5+1. Tra Teheran e Stati Uniti l’accordo sembra vicino ma #Israele e #Arabi_Saudita sono contrari: quest’ultima in particolare, sta cercando di far saltare gli accordi, giocando la carta de conflittoi in #Yemen, dove da qualche giorno è in guerra contro le milizie houti, sostenute dal governo iraniano.
(fonte Bbc, Reuters)
Mille e una donna: lo Yemen al femminile
Sono passati 6 anni da quel giorno. Era il 12 giugno 2009 quando, a Roma, ho conosciuto quattro scrittrici e paladine dei diritti delle donne yemenite. Rileggere le loro dichiarazioni, speranze, fa male oggi. Lo Yemen è in guerra. Ma è giusto rivedere il passato. La storia,
13 Febbraio 2015 MINIREPORT ESTERI
#Minireport_esteri. #Stato_islamico, #Yemen, #Ucraina. La moglie di Amédy Coulibaly (l’uomo che ha ucciso 5 persone negli scontri dopo l’attentato a Charlie Hebdo) è stata intervistata dal magazine dello Stato islamico, e secondo l’Is si sarebbe rifugiata in Siria (Guardian). #Yemen “al collasso” Le Nazioni Unite lanciano l’allarme: il paese, spaccato dalle lotte tra sciiti e sunniti. #Ucraina ieri a Minsk, Francia, Germania, Russia e Ucraina hanno trovato un accordo per fermare i combattimenti nell’est dell’Ucraina a partire da domenica 15 febbraio. L’accordo, non scritto, è molto fragile.I capi delle due repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk hanno già dichiarato che non rispetteranno il cessate il fuoco. Fonti: Guardian, Reuters, Wall Street Journal.
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8 Febbraio 2015 MINIREPORT ESTERI
Minireport_esteri #Sira, #StatoIslamico #Giordania,#Iraq #Yemen. Secondo l’Osservatorio Nazionale per i Diritti Umani (Ondus) sono 210.000 i morti nel conflitto civile in #Siria a partire dal 2011.Tra questi, i civili circa 100.000. #Giordania In corso la rappresaglia contro lo #Statoislamico dopo l’uccisione del pilota al-Kasasbeh. I caccia giordani hanno colpito diverse postazioni con bombardamenti mirati in Siria e Iraq. Secondo lo SI un raid giordano ha ucciso Kayla Jean Mueller, la cooperante americana rapita in Siria nel 2013 e ostaggio dello SI. Il Pentagono smentisce. E’ provabile che l’ostaggio americano sia già stato ucciso in precedenza e che la dichiarazione di ieri rappresenti un’azione di propaganda contro la Giordania. Truppe Usa: si studia la possibilità dell’invio di un contingente sul terreno in #Iraq? #Yemen: il leader dei ribelli sciiti houthi, Abdul Malik al Houti, ha dichiarato di essere disponibile a lavorare insieme ad altre formazioni politiche.
(Fonti Ansa, Guardian, Reuters, Cnn, Bbc)
24 gennaio 2015 : Minireport Esteri
#Minireport_esteri #Ucraina #Yemen #Arabiasaudita #Grecia
#Ucraina. I ribelli filorussi hanno respinto un accordo di pace già firmato e lanciato una nuova offensiva contro le truppe governative. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, incontrerà il ministro degli Esteri russo Lavrov in febbraio a Monaco.
#Yemen I ribelli sciiti houti hanno occupato la capitale, il presidente Rabbo Mansur Hadi e il primo ministro Khaled Bahah hanno dato le dimissioni. Le dimissioni del capo dello Stato dovranno essere accettate dal Parlamento che si riunisce in sessione di emergenza domenica. Vuoto fi potere pericoloso per la presenza di Al Qaida nella Penisola arabica (Aqpa).
#Arabiasaudita, il nuovo re Salman bin Abdul Aziz promette continuità nella politica estera e in campo energetico (Reuters).
#Grecia Domani, domenica 26 gennaio, si vota in Grecia per le elezioni politiche. Secondo l’ultimo sondaggio il partito Syriza (il leader è Alexis Tsipras) ha il 37,6%, il partito Nea Demokratia il 30%.
(fonti Ap, Reuters).
22 settembre 2014 : Minireport Esteri
#Minireport: #Ucraina, ancora insatabile il piano di pace di Proshenko #Afghanistan: il nuovo presidente è Ashraf Ghani, ex ministro delle finanze.#Yemen: dopo giorni di scontri nella capitale, il primo minstro si dimette.#Siria: nell’ultima settimana, più di 100mila siriani si sono rifugiati in Turchia.#Coalizione anti Isis (o Stato Islamico): secondo fonti riportate da Reuters, l’#Iran è disposto a collaborare con gli Usa per combattere i miliziani; intanto Tony Blair dichiara che è impossibile sconfiggere il gruppo estremista senza interventi di terra (fonti Reuters; Ap, Bbc)
Nel turbine della storia- Parte II Le primavere arabe del Mashreq e dei Paesi del Golfo
Una infinità di variabili in Medio Oriente
Abbiamo già scritto quanto sia difficile analizzare eventi ancora in atto. E’ un momento storico in cui nulla è scontato. Terreno friabile, quello delle rivolte dei Paesi arabi. Un fiume in piena che può deviare il corso molte volte ancora. Che ci costringe a continui aggiornamenti e riconsiderazioni. Tentiamo, comunque, di terminare la sintesi prendendo in considerazione l’area del Mashreq e quella dei Paesi del Golfo.
Mashreq Per ora è la zona regionale più problematica a causa della funzione chiave che svolge in geopolitica. Già a rischio prima delle ‘primavere’ per il conflitto senza fine fra Israele e i palestinesi e oggi, più che mai, teatro di scontri non risolti. In Siria è tuttora in corso una violenta guerra civile, fra l’esercito, le milizie del regime e i gruppi armati dei ribelli, complicata dalla presenza di combattenti stranieri jihadisti e di frange terroristiche come il Fronte Al Nusra. La Siria si sta disgregando, come ha dichiarato l’inviato delle Nazioni Unite, Lakhdar Brahimi, “la guerra sta distruggendo il Paese pezzo dopo pezzo”. Una guerra per procura, dove i ribelli sono appoggiati dalla Turchia, dai Paesi arabi del Golfo (Arabia Saudita e Qatar) e dai Paesi Occidentali. E il regime del Presidente Bashar-al Assad, sostenuto dalla Russia, può contare invece sull’Iran e gli hezbollah libanesi. Non possiamo prevedere lo scenario futuro, ma certo una transizione è ancora molto lontana. Ricostruire la Siria sarà una operazione lenta, complessa e costosa in termini umani ed economici. Senza contare il rischio-contagio in Libano e http://www.lindro.it/il-punto-della-situazione-in-giordania/. Finora le primavere arabe hanno spazzato via i regimi cosiddetti laici. Ma se il conflitto dovesse debordare in monarchie come la Giordania, il puzzle mediorientale cambierebbe di nuovo, assumendo forme nuove.
Area Paesi Golfo. Ad eccezione del Bahrein, le Petromonarchie del Golfo si sono ‘salvate’ dalle rivolte. Con il denaro proveniente dalle rendite petrolifere infatti, sono riuscite a tacitare lo scontento dei gruppi di opposizione ‘laica’ che chiedevano riforme. Il meccanismo di questi stati-provvidenza, come scrive Marcella Emiliani “si regge sull’assioma no taxation no representation. Gli autocrati possono cioè permettersi di non concedere alcuna rappresentanza politica nella misura in cui non fanno pagare le tasse”. D’altra parte, l’Arabia Saudita, il Qatar e gli altri stati-provvidenza hanno sempre elargito denaro per garantire la stabilità interna.
Bahrein. Proprio oggi (14 febbraio n.d.r) si ‘festeggia’ il secondo anniversario delle proteste contro la monarchia sunnita di re Hamad al- Khalifa. La popolazione, formata in maggioranza da sciiti (circa il 70%) discriminati sul piano sociale, politico ed economico, rivendica diritti uguali per tutti e un vero Parlamento. Ma la monarchia continua ad attaccare i manifestanti, forte anche dell’aiuto dei militari dello Scudo della Penisola (forza congiunta dei Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo) e del silenzio complice dell’Occidente e degli Stati Uniti che, ricordiamo, proprio in Bahrain hanno basato la IV Flotta.
Infine, fa parte geograficamente dei Paesi Golfo ma non è uno stato-provvidenza, lo Yemen, dove si continua a combattere. Uno scontro complesso fra clan, esercito e gruppi di Al Qaida al sud, ed esercito e gruppi sciiti Huti al Nord del Paese. Anche in Yemen, due giorni fa (il 12 febbraio) si è celebrato il secondo anniversario delle rivolte contro l’ex presidente Ali Abdullah Saleh fra scontri nella capitale e nel sud del Paese dove le forze di ordine hanno sparato sulla folla. Durante le manifestazioni i dimostranti hanno chiesto che Saleh venga richiamato in patria e processato.
Dopo l’entusiasmo iniziale di fronte alle rivolte arabe, lo scenario appare senza dubbio instabile anche se sarebbe sbagliato affermare che le “primavere sono sfiorite”. Ci troviamo ancora, come scrisse Ryszard Kapuściński nel “turbine della storia”.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro: Le primavere arabe del Mashreq e dei paesi del golfo (riproducibile citando la fonte)
Leggi anche:
- http://www.lindro.it/il-punto-della-situazione-in-giordania/
- Il virus siriano
- Bahrain: la ‘Primavera di Manama’
- Le Primavere nell’area del Maghreb
Per approfondire:
La Primavera non è finita: alla ricerca dell’equazione fra Islam e democrazia, un processo di cambiamento lungo e attualmente in atto.
“Primavere sfiorite”. “La Primavera è diventata autunno”. “Scenari inediti per il mondo arabo”. “La vittoria dell’Islam politico nelle Primavere”. I titoli dei quotidiani di tutto il mondo si sprecano in questo periodo, dopo circa una anno e mezzo dal fermento cominciato il 17 dicembre 2010, con il suicidio a Sidi Bouzi in Tunisia, del fruttivendolo Muhammed Bouazizi. Un atto, un’azione che si è tramutata subito in agitazione a onda lunga e che ha sollevato e scosso i Paesi della sponda sud del Mediterraneo (Egitto, Libia Marocco), continuando inarrestabile il suo cammino a est, in Siria, Yemen, Bahrein.
Anche se la situazione è ancora fluida e i contesti differenti, si possono però fare alcune riflessioni ed evidenziare alcuni punti. In Tunisia, le elezioni sono state vinte dal partito islamista En-Nahdah (Rinascita, Rinascimento). I deputati dell’Assemblea Costituente hanno mantenuto l’articolo 1 sulla laicità dello Stato, che non prevede quindi la Sharia, resistendo alla spinte estremiste dei Salafiti. In Libia, dove è avvenuta ‘l’invasione di campo’ da parte dell’Occidente (Nato) che si è appropriato del processo rivoluzionario con l’intervento militare, la situazione è caotica.
Morto Muammar Gheddafi, cacciata la dittatura, la Libia non ha ancora un governo né un esercito regolare. La sicurezza è affidata a milizie armate e il paese è diviso in fazioni e tribù. Per il 7 luglio è prevista l’elezione di 200 membri dell’Assemblea Costituente.
Yemen. Dopo 22 anni di dominio Alì Abdullah Saleh ha lasciato il Paese sotto la protezione degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita. Ma il potere è nelle mani del suo vice e uomo di fiducia, Abd Mansour Hadi, vincitore di un’elezione presidenziale-farsa (anche se controllate dagli Stati Uniti) in cui era presente lui come unico candidato. Intanto sono riprese le proteste in piazza perché il popolo vuole Salehrientri in Yemen per essere processato. E nel sud del Paese, come scrive Jonathan Steele sul ‘TheGuardian’, “sventolano le bandiere nere di Al Qaeda”. Anzi di Aqpa, nata nel gennaio del 2009 dall’unione della sezione saudita e yemenita dell’organizzazione creata da Osama Bin Laden. “In questa parte dello Yemen – si legge ancora sul ‘Guardian’ – sparisce la presenza del governo. La sicurezza è gestita alle milizie jihadiste e i servizi pubblici sono affidati a un emiro”.
In Marocco re Mohammed IV ha reagito con solerzia alle richieste del popolo che nelle piazze di Casablanca, Marrakech e Rabat scandivano lo slogan “vogliamo un re che regni ma che non governi”. Il re ha quindi emendato la Costituzione e ha sottoposto la riforma il primo luglio 2011 a un referendum popolare. Alle elezioni ha vinto il partito islamista Giustizia e Libertà.
Bahrein. Un caso insolito. Le manifestazioni contro la Monarchia, sedate con l’intervento militare dell’Arabia saudita, si sono svolte nel silenzio dei Media. La maggioranza della popolazione sciita sta chiedendo da oltre un anno alla monarchia sunnita riforme e pari opportunità ai cittadini.
Siria. Il processo storico nel Paese è “più in atto che mai”, anche perché dopo 18 mesi dall’inizio delle prime manifestazioni il presidente Bashar Al-Assad è ancora al potere.
La crisi si è internazionalizzata. E gli eventi si complicano ogni giorno di più. E incalzano. Mentre scriviamo, su richiesta della Turchia, l’Alleanza Atlantica si è riunita a Bruxelles per discutere del recente abbattimento del caccia turco Phantom F-4 da parte della contraerea siriana. “La Nato valuterà la situazione alla luce delle informazioni disponibili. Ankara sosterrà che l’aereo si trovava nello spazio aereo internazionale, mentre il governo di Damasco afferma che il jet era penetrato in quello siriano”. (fonte AGI).
In Egitto, i ragazzi di piazza Tahrir – promotori e anima della Rivoluzione che ha portato alla caduta di Hosni Mubarak, l’ex Generale dell’aviazione rimasto al potere per 30 anni – non hanno saputo trasformarsi da forza propulsiva a organizzazione politica. Così al potere per tutti questi mesi di transizione è rimasto l’esercito, con Mohammed Hussein Tantawi, non solo comandante in capo dell’Esercito, ma ministro della Difesa e della Produzione Militare, nonché presidente della Corte suprema. Carica di cui si è servito per sciogliere nei giorni scorsi il Parlamento (eletto il gennaio) in cui la Fratellanza musulmana godeva di una forte maggioranza. La corte ha anche ammesso al ballottaggio per le Presidenziali il candidato dell’esercito Ahmed Shafik. Le elezioni sono state vinte dal candidato dei Fratelli Musulmani Mohammed Morsy, che rimane però senza il Parlamento, già conquistata dalla Fratellanza.
Fin qui un riassunto dei fatti. Tanti. Non ancora del tutto inquadrabili e definitivi. Una, almeno, la riflessione obbligatoria. La vittoria in Tunisia, Marocco ed Egitto di partiti islamisti e dell’Islam politico rende l’Occidente inquieto. Soprattutto per la grande confusione che si fa tra partito islamista ’moderato’ – confessionale dunque – e movimento estremista, se non terrorista. Tanto rumore per nulla dunque, per parafrasare Shakespeare?
Secondo la tesi formulata dallo studioso Olivier Roy, sì. Roy, infatti, già nel celebre saggio ’L’echoc de l’Islam politique’ affermava che il “mondo arabo vive ormai in una fase post-islamista derivata dal fallimento dell’Islam politico. Una fase che ha spezzato il legame fra impegno religioso e rivendicazione politica”.
Lo studioso Massimo Campanini, autore del saggio ’L’alternativa islamica’, sostiene invece che per quanto la tesi del post-islamismo “contenga una parte di verità perché durante le manifestazioni tunisini ed egiziani chiedevano ’Pane, giustizia e libertà’, quindi rivendicazioni del tutto laiche. Tuttavia, quando il movimento rivoluzionario si è istituzionalizzato l’Islam è tornato alla ribalta”. Ma c’è Islam e Islam. E senza dubbio la vittoria dei partiti islamisti è avvenuta soprattutto per ragioni sociali e politiche (le organizzazioni dei Fratelli Musulmani o di Ennahda, hanno sempre svolto un’azione sociale, di supporto e aiuto alla popolazione più povera) e identitarie.
E il 70% della popolazione nel mondo arabo ha meno di 25 anni. Una nuova generazione che fa comunque parte della società globale e rivendica una democrazia declinata secondo le proprie esigenze e non imposta dall’Occidente. Anche questi giovani, o almeno una parte, hanno votato per i partiti islamici. Dovranno essere loro, come protagonisti dell’Islam politico (post o comunque rinnovato) a dover cercare l’equazione fra Islam e democrazia. Cambiamenti, contraddizioni, incertezze. Ma la regione mediorientale sta vivendo un momento storico. È in fase di transizione. L’Occidente non deve trarre conclusioni affrettate. E soprattutto non deve intervenire per guidare i processi di cambiamento, piegandoli alle proprie visioni.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro La primavera non è finita (riproducibile citando la fonte)
Karman: “La vera rivoluzione comincia ora”
Si definisce “Giornalista, madre e islamica”. E dice che a far la differenza nel suo paese sono state le donne ed i giovani yemeniti
Indossa una elegante tunica nera, un hijab rosa chiaro, ricamato a fiori rossi, e si presenta subito come: “yemenita, giovane donna, madre, e musulmana“.
Sorridente e serena ma anche decisa, a tratti ’infuocata’. Una vera pasionaria, Tawakkol Karman, Premio Nobel per la Pace 2011. Protagonista della Primavera araba yemenita, attivista per i diritti umani, giornalista. E che giornalista. In Paese arretrato come lo Yemen, con una popolazione di 24 milioni di abitanti, di cui la metà è analfabeta, Karman ha fondato l’associazione Giornaliste senza catene per favorire la libertà di espressione delle donne che lavorano nel campo della comunicazione.
Esponente del partito islamico Al Islah, che rappresenta il primo gruppo di opposizione in Yemen, il Premio Nobel insiste sul fatto che “a fare la rivoluzione in Yemen sono stati i giovani e le donne”. E scandisce senza apparente emozione i nomi delle compagne scomparse ed uccise nelle manifestazioni. “Più ne uccidevano, più il regime ci diceva di restare a casa e più il numero di donne che scendeva in piazza aumentava. Ed ogni donna ha gridato:”Saleh. Prepara la valigia. E vai via“.
Donne e giovani. Sono stati i giovani, certo. In un Paese dove la metà degli abitanti non supera i 18 anni è indiscutibile. Le donne. I dati parlano del maggior numero di donne imprigionate. La stessa Tawakkol Karman era stata arrestata nel gennaio 2011 e liberata in seguito alle pressioni dei suoi sostenitori. E ha continuato l’attività di opposizione diventando presto una leader. Una delle più carismatiche leader della protesta femminile nel suo Paese.”Sono stati i giovani e le donne,” ripete Karman.
“Ma non possiamo parlare ancora di vittoria. E’ stato l’inizio della rivoluzione” afferma convinta. In effetti lo Yemen deve affrontare molte sfide. E’ il più povero fra i paesi arabi. Tribale, settario. Le modeste scorte di petrolio si stanno esaurendo e anche quelle di acqua, fondamentali per l’irrigazione.